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PILLOLE (avvelenate?) di GIURISPRUDENZA

PILLOLE (avvelenate?) di GIURISPRUDENZA

Cari clienti,
di seguito alcune delle sentenze degli ultimi giorni che ritengo utile mettere in evidenza.
Buona lettura.

MONICA MELANI

CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 17438/2012: Con questa sentenza, la Corte di
Cassazione ha riconosciuto al responsabile commerciale di una multinazionale il diritto alla
rendita per malattia professionale (certificata dal Ctu), in quanto è stato riconosciuto il nesso
eziologico tra l’uso prolungato del cellulare e l’insorgenza del tumore benigno al nervo
trigemino “neurinoma del Ganglio di Gasser”(scoperto dal manager una mattina, quando si è
accorto di avere uno strano formicolio al mento mentre si faceva la barba); nonostante il
tumore sia stato rimosso, il manager è costretto a convivere con il dolore nella zona operata,
dolore che non gli consente più di effettuare l’attività lavorativa. Nel caso in esame alla corte
di cassazione, il manager utilizzava il cellulare in media 5/6 ore al giorno per un periodo di 12
anni e concentrava l’esposizione alle radiofrequenze sull’orecchio sinistro. La malattia
professionale in oggetto non è tabellata dall’Inail, ma i giudici dopo avere valutato il caso,
hanno ravvisato gli estremi per un possibile nesso causale tra l’uso del cellulare e la malattia
professionale. In altre parole, la Corte di Cassazione in questo caso, ha ritenuto valide le
perizie effettuate dal Ctu. Questo caso è importante come precedente, ma al momento, non
possiamo dire che costituisca “rischio di estensione per analogia” ad altri casi di tumore
cerebrale.

CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 18927/2012: Si al risarcimento anche senza la prova
del mobbing: la Cassazione, in questo caso, con una sentenza che crea un precedente
gravissimo, ha riconosciuto, lo scorso 5 novembre, il diritto del lavoratore al risarcimento dei

danni subiti a causa di “comportamenti vessatori e mortificanti” del capo, anche se non è
raggiunta la prova che, tali comportamenti, costituiscano mobbing.
Nel caso specifico, una farmacista chiedeva il risarcimento del danno esistenziale e del danno
derivante dall’anticipato pensionamento, a causa delle azioni vessatorie poste in essere, nei
suoi confronti, da dipendenti e titolari della farmacia ove lavorava. Vessazioni che, secondo la
lavoratrice, le causarono una sindrome depressiva, culminata nel tentativo di suicidio.
Gli Ermellini, dopo avere ribadito il concetto di mobbing e, gli elementi che lo costituiscono,
affermano che: “ se anche le condotte denunciate dal lavoratore, non si compongono in un
unicum e non risultano, pertanto, cumulativamente e complessivamente, idonee a
destabilizzare l’equilibrio psico-fisico del lavoratore o a mortificare la sua dignità, ciò non
esclude che tali condotte o alcune di esse, ancorchè finalisticamente non accomunate, possano
risultare lesive dei diritti fondamentali del lavoratore”.
“Nell’ipotesi in cui il lavoratore chieda il danno patito alla propria integrità psico-fisica in
conseguenza di una pluralità di comportamenti del datore di lavoro e dei colleghi di lavoro di
natura asseritamente vessatoria, il giudice di merito, pur nella accertata insussistenza di un
accertamento persecutorio idoneo a unificare tutti gli episodi addotti dall’interessato e quindi
della configurabilità del mobbing, è tenuto a valutare se alcuni comportamenti denunciati,
esaminati singolarmente ma sempre in relazione agli altri, pur non essendo accomunati dal
medesimo fine persecutorio, possano essere considerati vessatori e mortificanti per il
lavoratore e come tali siano ascrivibili alla responsabilità del datore di lavoro che possa essere
chiamato a risponderne, ovviamente nei soli limiti dei danni a lui imputabili.
L’eccessivo “garantismo” colpisce ancora e nel momento economico più sbagliato.

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