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L’iscritto all’aire non sfugge al fisco

L’iscritto all’aire non sfugge al fisco

L’ISCRITTO ALL’AIRE NON SFUGGE AL FISCO
La Cassazione: per la residenza fiscale conta il domicilio

Ai fini della verifica del luogo di residenza fiscale, assume rilievo preminente il centro degli interessi vitali del contribuente. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, quinta sezione tributaria, con la sentenza 15 giugno 2010 n. 14434.

LA SENTENZA.
Nella sentenza n. 14434 la Corte affronta diverse problematiche legate alla nozione di residenza fiscale. In primo luogo, i giudici rilevano, in pieno accordo con la formulazione testuale della norma e il pensiero della giurisprudenza, che i tre presupposti indicati dalla norma (il primo formale, e gli altri due sostanziali) hanno carattere alternativo. In particolare, l’iscrizione all’anagrafe della popolazione residente all’estero, se pure è necessaria, non è però esaustiva, ben potendo il contribuente avere fissato il proprio domicilio nel territorio dello stato, inteso come sede principale degli affari e interessi economici, nonché delle proprie relazioni personali (Cass. 13803/2001 e 10179/2003).
Su questo passaggio, molto delicato, della norma, la Corte richiama la giurisprudenza comunitaria resa in materia di Imposta sul valore aggiunto, ma che detta principi applicabili anche sul fronte delle Imposte dirette.

È la nota sentenza “Louloudakis” (sentenza CGE 12 luglio 2001 causa C-262/99) nella quale è stato affermato che, ai fini della determinazione del luogo di residenza, devono essere presi in considerazione sia i legali professionali e personali dell’interessato in un luogo determinato, e sia anche la loro durata; soprattutto, la sentenza afferma però che, qualora tali legami non siano concentrati in un solo stato membro, prevalgono i legami personali su quelli professionali.
Per la individuazione del centro principale degli interessi vitali della persona fisica, la Corte afferma che è necessario individuare il luogo in cui la gestione di detti interessi viene esercitata abitualmente, vale a dire in modo riconoscibile a terzi; di talché deve prevalere un criterio di effettività, analogamente a quanto accade in ordine alla individuazione del giudice competente per la dichiarazione di fallimento (Cass. 12285/2005).

LA NORMA DI RIFERIMENTO.
Il Testo unico delle imposte sui redditi disciplina la nozione di residenza fiscale all’art. 2. La norma risulta suddivisa in tre commi, rispettivamente dedicati alla individuazione dei soggetti passivi Irpef, alla nozione di residenza fiscale e alla previsione di uno specifico meccanismo presuntivo in materia di residenza.

· I SOGGETTI PASSIVI. Sono soggetti passivi Irpef tutte le persone fisiche, indipendentemente dalla circostanza che risiedano o meno nel territorio dello stato. Il concetto di residenza entra in gioco solo nella misura in cui determina il reddito tassabile: soggetti residenti (tassano tutti i redditi, indipendentemente dal luogo di produzione); soggetti non residenti (tassano solo i redditi prodotti in Italia).

LA NOZIONE DI RESIDENZA.
La legge fissa tre requisiti, in presenza di almeno uno dei quali il soggetto persona fisica si considera residente in Italia: iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente, domicilio nel territorio dello stato; residenza nel territorio dello stato.

L’AIRE.
Il cittadino italiano che cancella la propria iscrizione nell’anagrafe comunale e trasferisce la residenza all’estero è tenuto alla registrazione presso l’anagrafe degli italiani residenti all’estero disciplinata dalla n. 470/1998 e dal regolamento di attuazione dpr n. 325/1989 (cd. Aire). La cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente costituisce requisito necessario per far valere la propria residenza all’estero: necessario ma non sufficiente. In questo senso sono sia la prassi ministeriale (circ. n. 304/E del 1997) e sia anche la giurisprudenza (Cass. 13803/2001).
Purtroppo la norma è molto rigida: se il contribuente che si trasferisce all’estero dimentica di iscriversi all’Aire, resta legato al territorio dello stato (Cass. 1215/1998), e dunque mantiene la residenza italiana, con la conseguenza sopra indicata.
Questa affermazione è talmente consolidata che la stessa Corte di cassazione, con la sentenza n. 9316/2006, ha stabilito che il contribuente, pur effettivamente emigrato, che è rimasto iscritto all’anagrafe della popolazione residente, non è ammesso a fornire la prova contraria. Tanto che secondo la stessa Corte vanno imputati al contribuente gli errori commessi dall’amministrazione nella trasmissione al comune di provenienza dei dati necessari per la cancellazione dall’anagrafe (Cass. 1215/1998).

· IL DOMICILIO. Il domicilio nel territorio dello stato costituisce il secondo dei requisiti indicati dal comma 2 dell’art. 2 Tuir. Secondo la norma il domicilio è la sede principale degli affari e interessi del contribuente: in questo senso è l’art. 43, primo comma, Tuir. La giurisprudenza ha ritenuto che il domicilio non si identifica nel luogo in cui il contribuente è fisicamente presente, essendo determinante l’elemento psicologico, che consiste nella volontà di stabilire e conservare il quel luogo la sede principale dei propri affari od interessi (Cass. 884/1968).
· LA RESIDENZA. Il terzo e ultimo requisito contemplato dalla norma è la residenza, cioè, ai sensi dell’art. 43 comma 2 codice civile, il luogo in cui la persona fisica ha la propria dimora abituale. Non occorre, al riguardo, che la dimora sia continuativa o definitiva, purché la persona vi conservi la propria abitazione, vi ritorni quando possibile e mostri l’intenzione di mantenervi il centro delle proprie relazioni familiari e sociali (Cass. 1738/1986).

IL FATTORE TEMPORALE.
Requisiti indicati sopra devono sussistere per la maggior parte del periodo di imposta, e quindi per almeno 183/365 giorni (184 in caso di anno bisestile).

LA PRESUNZIONE DI RESIDENZA.
Ai sensi dell’art. 2, comma 2-bis Tuir, si considerano altresì residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e trasferiti in Stati o territori diversi da quelli individuati del Ministero dell’economia e delle finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale. Per effetto di tale presunzione, si considerano residenti in Italia i cittadini che hanno trasferito la propria residenza o il proprio domicilio in un cosiddetto paradiso fiscale, cioè in un paese a fiscalità privilegiata.
Il contribuente può naturalmente dimostrare l’inesistenza della residenza nel territorio dello stato provando che non si tratta di un trasferimento fittizio, e quindi dando contezza di tutti gli elementi di fatto idonei a dimostrare che la perdita di residenza è effettiva.

DOTT.SSA MONICA MELANI

“TRATTO DA ITALIA OGGI DEL 28.06.2010”
AUTORE MASSIMILIANO TASINI

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