ELABORAZIONE DELLE PAGHE CON HR PORTAL

Elaboriamo le paghe e i contributi con il più avanzato sistema web-based attualmente sul mercato: HR PORTAL … continua

CONSULENZA DEL LAVORO E SINDACALE

Lo studio fornisce consulenza nell’ambito del lavoro e del Diritto Sindacale e industriale, seguendo e consigliando il cliente… continua

È ARRIVATO IL PORTALE CENTURION!

Autore: syrus

regolarizzazioni contributive sulle stock options

regolarizzazioni contributive sulle stock options

SI PARTE CON LE REGOLARIZZAZIONI CONTRIBUTIVE SULLE STOCK OPTIONS.

Si parte con le regolarizzazioni contributive sulle stock options. L’Inps offre una bussola sulla spinosa questione dell’esenzione contributiva per i redditi da lavoro dipendente derivanti dall’esercizio di piani di stock option.
La circolare n. 123 dell’11 dicembre 2009 fornisce dei chiarimenti sul regime contributivo e precisa che, entro il 16 marzo 2010, i datori di lavoro che hanno assegnato azioni, possono regolarizzare eventuali situazioni debitorie che si sono venute a creare a seguito di incertezze interpretative.
Ricordiamo che a partire dal 25 giugno 2008 opera il regime di esenzione contributiva, infatti, il decreto legge 25 giugno 2008 n. 112, convertito in legge 6 agosto 2008 n. 133 ha disposto, all’articolo 82, c. 23, l’abrogazione della lettera g-bis) del comma 2 dell’art. 51 del Tuir che prevedeva il regime fiscale agevolato per le stock option che non interessano la generalità dei lavoratori. Si applicava, quindi, sia ai fini fiscali che contributivi il principio di armonizzazione delle basi imponibili fiscale e contributiva, introdotto dall’articolo 6 del decreto legislativo n. 314/1997.
Lo stesso articolo 82, a seguito dell’abrogazione del regime fiscale agevolato, ha disposto l’esenzione contributiva di tali redditi a decorrere dalla data di entrata in vigore del dl n. 112/2008 ossia dal 25 giugno 2008, in relazione alle azioni assegnate a decorrere dalla suddetta data.

La circolare n. 123/2009 è intervenuta nel merito stabilendo che l’esenzione si applica anche per i piani azionari non generalizzati che prevedono l’assegnazione a titolo gratuito delle azioni.
La data di assegnazione è importante come spartiacque per regolarizzare i periodi precedenti. Con l’introduzione della circolare 123 l’Inps ci tiene a precisare però che le disposizioni del dl 223/2006 continuano a produrre effetti anche dopo l’entrata in vigore del dl 262/2006, la ratio della norma è quella di evitare che le restrizioni al regime fiscale di favore determinino per i datori di lavoro un aumento del costo del lavoro sulla base di impegni che questi ultimi avevano già assunto nei confronti del loro personale per i piani deliberati prima del 5 luglio 2006 e, contemporaneamente che l’ampliamento della base imponibile per i piani deliberati dal 5 luglio 2006 produca effetti sulle anzianità maturate prima di tali date.
Pertanto, anche per gli esercizi di opzione effettuati dal 3 ottobre 2006 e fino al 24 giugno 2008, in base al dl 223/2006, trovano applicazione le diposizioni dell’art. 51, a condizione però che si tratti di assegnazioni di azioni effettuate con piani di incentivazione deliberati prima del 5 luglio 2006.
Per i piani deliberati dal 3 ottobre 2006 con assegnazione delle azioni fino al 24 giugno 2008, il reddito derivante rileva anche ai fini contributivi, con esclusivo riferimento alle anzianità maturate dal 5 luglio 2006. Le aziende che in relazione alle assegnazioni in esame hanno assolto gli obblighi contributivi in difformità di quanto stabilito dalla circolare 123 possono regolarizzare la propria posizione contributiva utilizzando la procedura prevista per la regolarizzazioni contributive, quindi il DM10/V.

Nel momento in cui per l’azienda scaturisca una somma a debito, la regolarizzazione potrà essere effettuata, senza aggravio di oneri aggiuntivi, entro il 16 marzo 2010. Il maggior imponibile assoggettato a contribuzione utile ai fini pensionistici per le sole anzianità maturate dal 5 luglio 2006 in poi, dovrà essere evidenziato nelle denunce individuali separatamente, secondo le modalità che verranno comunicate prossimamente dall’istituto.

DOTT.SSA MONICA MELANI

Irpef, c’è il codice tributo

Irpef, c’è il codice tributo

IRPEF, C’E’ IL CODICE TRIBUTO
Ok al recupero per i maggiori acconti del 2009

Il credito d’imposta per i maggiori acconti irpef 2009 trova il codice. Attraverso la risoluzione n. 248/e di ieri l’agenzia delle entrate ha infatti istituito l’apposito codice tributo che le persone fisiche potranno utilizzare per recuperare l’importo pari al 20% del maggiore acconto irpef pagato per l’anno 2009.
L’articolo 1, comma 1, del decreto legge n. 168 del 2009 ha introdotto la riduzione di venti punti percentuali dei versamenti dovuti a titolo di acconto dell’Irpef per l’anno 2009 da parte delle persone fisiche. L’effetto di tale disposizione è ovviamente quella di consentire a questa categoria di contribuenti il differimento di tali importi, nei limiti di quanto effettivamente dovuto, al momento della determinazione dell’imposta dovuta a saldo per la stessa annualità.
Il credito d’imposta in parola è diretta conseguenza del fatto che il provvedimento citato è entrato in vigore a fine novembre quando ormai molti contribuenti avevano già provveduto al versamento della seconda o unica rata di acconto irpef dovuta per l’esercizio in corso. Per questi ultimi infatti il comma 2 del citato articolo 1 ha previsto la possibilità che gli stessi possano recuperare detti maggiori versamenti sotto forma di un credito d’imposta utilizzabile in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del credito legislativo 9 luglio 1997 n. 241.

Naturalmente anche l’utilizzo di detto credito d’imposta così come la riduzione dell’acconto irpef dovuto per l’anno 2009 dal 99 al 79%, costituisce una mera facoltà per il contribuente che potrebbe aver deciso di versare comunque l’acconto nella misura originariamente prevista e di non avvalersi del suddetto credito d’imposta.
Naturalmente una volta attribuito il credito d’imposta è stabilito che lo stesso è pari alla riduzione del 20% degli acconti Irpef dovuti per l’anno 2009, la possibilità di utilizzo concreto dello stesso era condizionata all’istituzione dell’apposito codice tributo al quale ha provveduto la risoluzione n. 284/e di ieri. Il codice istituito è il 4035 denominato: “Irpef – utilizzo in compensazione del credito d’imposta di cui l’articolo 1, comma 2, dl 168/2009”. Detto codice tributo, precisa la risoluzione in commento, dovrà essere indicato all’interno del modello F24 nella sezione “Erario” in corrispondenza degli importi a credito compensati con indicazione dell’anno di riferimento che ovviamente sarà il 2009.
Naturalmente tale codice non è immediatamente utilizzabile. Occorrerà il tempo tecnico necessario perché lo stesso venga inserito nei sistemi software di creazione e di controllo dei pagamenti relativi ai modelli F24.
Da notare che in attesa della pratica fruibilità di detto nuovo credito d’imposta la bozza della dichiarazione Unico 2010, disponibile sul sito internet delle entrate, ne aveva già recepito gli effetti concreti. Infatti nel rigo RN38 dedicato agli acconti versati per il periodo d’imposta 2009 è stato introdotto un apposito campo denominato “eccedenza di versamento compensata in F24”. All’interno dello stesso il contribuente dovrà indicare quanta parte del suddetto credito d’imposta è stato utilizzato in compensazione per evitare di scomputare a titolo di acconto la quota parte di esso già utilizzata per il pagamento di altre imposte o contributi.

Sfumata quindi la possibilità del recupero di tale credito d’imposta con il pagamento del saldo dell’Ici dovuta per il 2009, il cui termine di pagamento è in scadenza proprio oggi, i contribuenti potranno utilizzare per la prima volta il nuovo codice tributo in occasione dei prossimi versamenti quali, ad esempio, l’acconto Iva in scadenza per il prossimo 28 dicembre.

DOTT.SSA MONICA MELANI

Chi scegli il RLS?

Chi scegli il RLS?

RLS, NON E’ IL DATORE A DECIDERE
L’elezione o la designazione è una facoltà dei dipendenti

Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza? È solo una facoltà dei lavoratori, non un obbligo per i datori di lavoro. Ciò che va garantito in azienda, infatti è la “rappresentanza dei lavoratori”. Pertanto il datore di lavoro non ha più titoli decisionali, una volta che ha richiesto l’elezione o la designazione del rappresentante ai lavoratori.

LA PARTECIPAZIONE DEI LAVORATORI.
Tra i principi della disciplina della sicurezza in azienda emerge quello del maggiore coinvolgimento dei lavoratori. Questa maggiore partecipazione del lavoratori, è affidata al “rappresentante dei lavoratori per la sicurezza”, figura che il T.u. ha aggiornato e diviso in tre tipologie:
1. il Rappresentante Aziendale, è la figura prevista in tutte le aziende o unità produttive con più di 15 lavoratori. Viene eletto o designato dai lavoratori nell’ambito delle rappresentanze sindacali aziendali; in mancanza di queste ultime, è eletto dai lavoratori dell’azienda al loro interno. Il numero (c’è un minimo che va rispettato), le modalità di designazione o elezione nonché il tempo di lavoro retributivo e gli strumenti per l’espletamento delle funzioni vengonostabiliti in sede di contrattazione collettiva.

2. il Rappresentante Territoriali, esercita le competenze proprie del rappresentante per la sicurezza con la particolarità di essere impegnato in più aziende o unità produttive (con meno di 16 lavoratori). La sua designazione o elezione avviene con le modalità che saranno fissate con accordi collettivi o, in via sostitutiva, con un decreto ministeriale.

Tutte le aziende, o le unità produttive, nel cui ambito non sia stato eletto o designato il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza sono tenute a partecipare (finanziarie) al nuovo fondo di sostegno delle pmi.
3. il Rappresentante di sito, è la figura obbligatoria, che si aggiunge al rappresentante aziendale o territoriale, in specifici contesti produttivi caratterizzati dalla compresenza di più aziende o cantieri. È individuato, su loro iniziativa, tra i rappresentanti dei lavoratori della aziende operanti nel sito produttivo.

LA NOMINA.
Le disposizioni ministeriali (articolo 47 del dlgs n. 81/2008, il T.u. sicurezza) stabiliscono che in ogni azienda o unità produttiva deve essere garantita la rappresentanza dei lavoratori per la sicurezza, e ciò indipendentemente dalle dimensioni e dalla composizione di riferimento e, quindi, anche nei casi in cui l’azienda o l’unità produttiva abbia un solo lavoratore. Alla luce di tale disposizione il ministero evidenzia che l’elezione o la designazione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza è una facoltà dei lavoratori e non certo un obbligo del datore di lavoro, il quale, peraltro, una volta chiesta ai lavoratori tale elezione o designazione, non ha alcun titolo decisionale al riguardo.

Quindi, aggiunge il ministero, ove i lavoratori non abbiano eletto o designato un rappresentante dei lavoratori “interno” all’azienda, si applicheranno le disposizioni di cui all’art. 48 del T.u., in virtù delle quali nell’azienda o nell’unità produttiva, a svolgere le funzioni di rappresentanza ai fini della sicurezza, sarà un rappresenta ai fini della sicurezza, sarà un rappresentante “esterno”, nel rispetto delle previsioni di contratto collettivo che regolamenteranno l’elezione o designazione, una volta che saranno emanate (al momento non risultano predisposte).

UNA “TASSA” SULLE PICCOLE AZIENDE.
Il T.u. prevede l’istituzione presso l’Inail di uno specifico fondo a sostegno delle pmi, dei rappresentanti per la sicurezza e della pariteticità, con lo scopo di favorire e finanziare, tra l’altro, le attività dei rappresentanti, la formazione dei datori di lavoro, dei piccoli imprenditori, dei lavoratori stagionali agricoli e dei lavoratori autonomi, infine le attività degli organismi paritetici. Il fondo è previsto che venga finanziato, tra l’altro, da un contributo a carico delle aziende (quelle con meno di 16 lavoratori) che, non avendone l’obbligo, non avranno eletto né designato il rappresentante per la sicurezza.. costerà due ore lavorative annue per lavoratore. Al riguardo, sempre il ministero del lavoro ha precisato che, in caso assenza del rappresentante dei lavoratori “interno”, il datore di lavoro è tenuto a versare questa somma al fondo per il sostegno alla rappresentanza ed alla pariteticità, ma non prima dell’entrata in vigore del previsto decreto (al momento in fase di preparazione).

DOTT.SSA MONICA MELANI

LA MISURA
Il rappresentante dei lavoratori aziendale
È alternativo al rappresentante territoriale nelle aziende o unità produttive che occupano fino a 15 lavoratori.
È obbligatorio in tutte le aziende con almeno 16 lavoratori.
Il numero minimo dei rappresentanti è:
· 1 nelle aziende ovvero unità produttive fino a 200 lavoratori
· 3 nelle aziende ovvero unità produttive da 201 fino a 1.000 lavoratori
· 6 nelle aziende ovvero unità produttive oltre 1.000 lavoratori (misura fissata con accordi interconfederali o contrattazione collettiva)
Il rappresentante dei lavoratori territoriale
È la figura alternativa al rappresentante aziendale nelle aziende o unità produttive che occupano fino a 15 lavoratori
Il rappresentante dei lavoratori di sito
È obbligatorio, ed è individuato tra i rappresentanti delle aziende che operano in un sito produttivo, nei seguenti contesti in cui vi sia compresenza di aziende o cantieri: porti, centri intermodali di trasporto; impianti siderurgici; cantieri con almeno 30 mila uomini-giorno; contesti con problematiche di interferenza delle lavorazioni e con oltre 500 addetti

IL NOMINATIVO VA COMUNICATO ALL’INAIL
Il datore di lavoro e i dirigenti sono tenuti a comunicare all’Inail (all’Ipsema per il settore marittimo) i nominativi dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza. Rientrano nell’obbligo i datori di lavoro (ovvero i dirigenti, se delegati) di qualsiasi settore privato o pubblico. Sono escluse le amministrazioni, gli istituti e le organizzazioni individuate dall’articolo 3, commi 2 e 3-bis (forze armate, vigili del fuoco, cooperative sociali) del T.u. L’adempimento è dovuto in occasione di nomina di uno o più Rls. In sede di prima applicazione (l’adempimento è stato riscritto dal DLgs n. 103/2009), riguarda i nominativi dei Rls già eletti o designati. L’Inail spiega che nessun obbligo ricade sulle aziende che hanno Rls eletti; in tal caso, l’obbligo scatterà alla prima nomina o designazione. Per le aziende o unità produttive in cui già sia presente un Rls, invece, l’adempimento va osservato se non già adempiuto per essere poi ripetuto in occasione di modifiche (per chi ha già fatto la denuncia, le modifiche rilevano dal 1° gennaio 2009, poiché il vecchio adempimento riguardava la situazione in essere al 31 dicembre 2008). La denuncia va fatta sul sito dell’Inail, al quale occorre essere registrati. Eccezionalmente, è consentito la denuncia anche via fax (numero 800657657)
STESSE TUTELE DELLE RAPPRESENTANZE SINDACALI
Il T.u. sicurezza prevede le attribuzioni del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, fermo restando quando stabilito in sede di contrattazione collettiva. Compiti del Rls dunque, sono la facoltà di accedere ai luoghi di lavoro in cui si svolgono le lavorazioni; il diritto:
· a essere consultato preventivamente e tempestivamente in ordine alla valutazione dei rischi, all’individuazione, alla programmazione, alla realizzazione e alla verifica delle prevenzione nella azienda o unità produttiva;
· a essere consultato sulla designazione del responsabile e degli addetti al servizio di prevenzione, all’attività di prevenzione incendi, al primo soccorso, alla evacuazione dei luoghi di lavoro e del medico competente;
· a essere consultato in merito all’organizzazione della formazione;
Ancora riceve:
· le informazioni e la documentazione aziendale inerente alla valutazione dei rischi e le misure di prevenzione relative, nonché quelle inerenti alle sostanze e ai preparati pericolosi, alle macchine, agli impianti, alla organizzazione e agli ambienti di lavoro, agli infortuni e alle malattie professionali; le informazioni provenienti dai servizi di vigilanza
· una formazione adeguata.
Infine:
· promuove l’elaborazione, l’individuazione e l’attuazione delle misure di prevenzione idonee a tutelare la salute e l’integrità fisica dei lavoratori;
· formula osservazioni in occasione di visite e verifiche effettuate dalle autorità competenti, delle quali è, di norma, sentito, partecipa alla riunione periodica; fa proposte in merito all’attività di prevenzione;
· avverte il responsabile della azienda dei rischi individuati nel corso della sua attività;
· può fare ricorso alle autorità competenti qualora ritenga che le misure di prevenzione e protezione dai rischi adottate dal datore di lavoro o dai dirigenti e i mezzi impiegati per attuarle non siano idonei a garantire la sicurezza e la salute durante il lavoro.
Ai fini dello svolgimento di queste attività, i rappresentante dei lavoratori dispone del tempo necessario allo svolgimento dell’incarico senza perdita di retribuzione, nonché dei mezzi e degli spazi necessari per l’esercizio delle funzioni e delle facoltà riconosciutegli, anche tramite l’accesso ai dati contenuti in applicazioni informatiche. Non può subire pregiudizio alcuno a causa dello svolgimento della propria attività e nei suoi confronti si applicano le stesse tutele previste dalla legge per le rappresentanze sindacali. Ultima nota, l’esercizio delle funzioni di rappresentante dei lavoratori per la sicurezza è incompatibile con la nomina di responsabile o addetto al servizio di prevenzione o protezione.

Apprendistato professionalizzante nel terziario

Apprendistato professionalizzante nel terziario

APPRENDISTATO PROFESSIONALIZZANTE NEL TERZIARIO: AL VIA LA FORMAZIONE IN AZIENDA

Confcommercio e le Organizzazioni sindacali, il 23 settembre 2009, hanno raggiunto un’intesa a livello nazionale sull’apprendistato professionalizzante esclusivamente aziendale, dando attuazione a quanto previsto dall’articolo 49, comma 5-ter del D.lgs. n. 276/2003, introdotto dal DL n. 112/2008 (c.d. manovra d’estate), convertito nella Legge n. 133/2008.
Si tratta del primo accordo nazionale per la formazione esclusivamente aziendale, gestita interamente dall’impresa al suo interno o all’esterno (in tutto o in parte), con la semplificazione delle procedure attuative, senza la necessità di ricorrere alla formazione esterna gestita dalle Regioni. Attraverso l’apprendistato professionalizzante “aziendale” è possibile ottemperare alle reali esigenze professionali dell’impresa e ottimizzare la formazione dei lavoratori. Di seguito si illustrano i termini del suddetto accordo che definisce contenuti, criteri attuativi, durata, modalità di erogazione dell’attività formativa.

NOVITA’ In data 23 settembre 2009 tra CONFCOMMERCIO, FILCAMS CGIL, FISASCAT CISL, UILTUCS UIL, è stato sottoscritto il primo accordo nazionale per la formazione esclusivamente in azienda nel contratto di apprendistato professionalizzante.

Ne consegue che un’attività formativa professionalizzante più specifica permette il raggiungimento di competenze più adeguate alle mansioni da parte dei soggetti coinvolti e un vantaggio per la stessa realtà aziendale.

QUADRO NORMATIVO
Dopo aver esaminato la normativa in teme di apprendistato, comprese le disposizioni della contrattazione collettiva, e tenuto conto delle indicazioni ministeriali e giurisprudenziali al riguardo, la Commissione Paritetica costituita in base alla dichiarazione a verbale n. 1 in calce all’articolo 60 del CCNL Terziario del 18 luglio 2008 ha concluso un apposito accordo.
Con tale intesa le Parti sociali hanno dato attuazione alle previsioni contenute nell’articolo 49, comma 5-ter, del D.Lgs. n. 276/2003, aggiunto dall’articolo 23, comma 2, del DL n. 112/2008 (convertito in legge n. 133/2008), che permette l’utilizzo di questa fattispecie contrattuale senza la regolamentazione dei profili formativi a livello regionale.
Infatti, secondo il dettato normativo, l’attuazione dell’apprendistato professionalizzante elusivamente aziendale è demandata alla contrattazione collettiva ovvero agli enti bilaterali:
· “in caso di formazione esclusivamente aziendale non opera quanto previsto dal comma 5. in questa ipotesi i profili formativi dell’apprendistato professionalizzante sono rimessi integralmente ai contatti collettivi di lavoro stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale da associazioni dei datori di lavoro e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale ovvero agli enti bilaterali. I contratti collettivi e gli enti bilaterali definiscono la nozione di formazione aziendale e determinano, per ciascun profilo formativo, la durata e le modalità di erogazione della formazione, le modalità di riconoscimento della qualifica professionale ai fini contrattuali e la registrazione nel libretto formativo.”
ATTENZIONE: quanto disposto in materia di profili formativi dal comma 5 dell’articolo 49 del D.Lgs. n. 276/2003, risulta superato dal presente accordo. Quindi, grazie tale intesa con validità su tutto il territorio nazionale possono essere superate diversità e lacune presenti nei sistemi regionali, con semplificazione delle procedure e modifiche alle previsioni in materia, ad esempio, di tutor e qualità della formazione.

La gestione diretta del contratto di apprendistato da parte dell’azienda comporta la possibilità di prevedere una durata inferiore di ore di formazione di base per realizzare un’attività formativa più appropriata alla competenza da conseguire, con innegabile vantaggio sia per il datore che per il lavoratore.
Le Parti hanno chiarito che la contrattazione integrativa di secondo livello può derogare all’accordo soltanto riguardo l’individuazione di profili formativi specifici, non ricompresi nell’accordo.
ATTENZIONE: viene anche evidenziato il ruolo decisivo degli Enti Bilaterali ai fini dell’ottenimento del parere di conformità nell’ambito della procedura di attuazione dell’apprendistato professionalizzante, come già disposto dal CCnl del Terziario (art. 47).

PREMESSA
Viene sottolineato che il piano formativo individuale può caratterizzarsi per specifiche competenze di settore, di area e di profilo, fra quelle appositamente individuate nelle declaratorie, rispondenti alla qualifica professionale da conseguire e alla struttura organizzativa aziendale.
NOVITA’ Nell’ambito dello steso piano, inoltre, potranno essere incluse “competenze di profilo” di altri profili formativi coerenti con le mansioni effettive che svolgerà l’apprendista qualificato, oppure potranno essere escluse competenze di area, di settore o di profilo non coerenti con le competenze di acquisire.

ATTIVITA’ FORMATIVA
Secondo il documento sottoscritto dalle parti tale attività si caratterizza per una
· Formazione trasversale, identica per tutti gli apprendisti, articolata in cinque aree di contenuti;
· Formazione professionalizzante, nell’ambito della quale si individua una distinzione di settore, di area, di profilo del percorso formativo, in ragione della qualifica professionale da raggiungere.
La distinzione dei contenuti formativi, individuati dalle Parti, è descritta nella seguente tabella

ATTIVITA’ FORMATIVA
CONTENUTI

FORMAZIONE TRASVERSALE, DI BASE

Accoglienza, valutazione del livello di ingresso e definizione del patto formativo
Competenze relazionali
Disciplina del rapporto di lavoro
Organizzazione ed economia
Sicurezza sul lavoro


FORMAZIONE PROFESSIONALIZZANTE

OBBIETTIVI
Conoscenza dei prodotti, dei servizi e del contesto aziendale
Conoscenza delle basi tecniche e scientifiche della professionalità
Conoscenza e utilizzo delle tecniche e dei metodi di lavoro
Conoscenza e utilizzo degli strumenti e delle tecnologie di lavoro (attrezzature, macchinari, strumenti di lavoro, ecc.)
Conoscenza e utilizzo delle misure di sicurezza individuali e di tutela ambientale specifiche del settore
Conoscenza delle innovazioni di prodotto, di processo e di contesto

FORMAZIONE ESCLUSIVAMENTE AZIENDALE
La formazione (sia trasversale di base che professionalizzante) impartita all’apprendista è gestita interamente dall’azienda, senza ricorso a finanziamenti pubblici, e viene erogata:
· All’interno dalle stessa struttura aziendale;
· In tutto o in parte all’esterno dalla stessa .
In entrambi i casi i soggetti coinvolti, interni od esterni, dovranno possedere adeguate competenze professionali, in linea con i contenuti dell’attività formativa e dovranno essere previste modalità idonee per il suo svolgimento.
All’azienda è consentito rivolgersi a strutture esterne, purché accreditate per la formazione continua, secondo la normativa regionale vigente, presso la Regione in cui viene svolta l’attività formativa.

DURATA E CONTENUTI DELLA FORMAZIONE.

Stock option senza contributi

Stock option senza contributi

LE STOCK OPTION SENZA CONTRIBUTI
Esenzione totale per le azioni assegnate dal 25 giugno 2008

L’abolizione del regime fiscale agevolato per le stock option non riguarda anche l’imponibile contributivo dei lavoratori dipendenti. Per cui, la differenza tra il valore di mercato delle azioni al momento dell’esercizio del diritto di opzione e il prezzo pagato dal dipendente è escluso dalla base imponibile contributiva. Lo precisa l’Inps nella circolare n. 123/2009.

LA NORMATIVA.
Il dl n. 112/2008 (convertito in legge n. 133/2008), in vigore dal 25 giugno 2008, ha abrogato la lettera g-bis) del comma 2 dell’art. 51 del Tuir, disposizione che prevedeva un regime fiscale agevolato in materia di imponibilità delle stock option. Detto regime, in virtù del principio di armonizzazione delle basi imponibili fiscale e contributiva, previsto dal dlgs n. 314/1997 (art. 6), ha trovato applicazione anche ai fini contributivi. Inoltre il comma 24-bis del predetto articolo 82, inserito in sede di conversione dalla legge n. 133/2008, ha previsto l’esenzione contributiva per i redditi da lavoro dipendente derivanti dall’esercizio di piani di stock option.

REGIME CONTRIBUTIVO.
Il nuovo regime fiscale delle stock option, si legge nella circolare, avrebbe dovuto trovare applicazione anche ai fini previdenziali.
Tuttavia, il comma 24-bis dell’art. 82 del dl n. 112/2008, mediante l’aggiunta della lettera g-bis) al comma 4 dell’art. 27 del dpr n. 797/1955 (T.u. sugli assegni familiari) ha inserito tra le tassative fattispecie di esclusione dalla base imponibile ai fini contributivi, una nuova esclusione per i “redditi da lavoro dipendente derivanti dall’esercizio di piani di stock option”. Tale previsione costituisce una deroga al predetto principio dell’armonizzazione delle basi imponibili dettato da ragioni di politica previdenziale. La norma, precisa la nota dell’Inps, non subordina ad alcuna condizione l’esclusione dell’imponibile contributivo dei redditi derivanti dall’esercizio di piani di stock option; pertanto, la differenza tra il valore di mercato delle azioni al momento dell’esercizio del diritto di opzione e il prezzo pagato dal dipendente è escluso dalla base imponibile contributiva.

DECORRENZA.
Il nuovo regime contributivo si applica alle azioni assegnate a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto, cioè dal 25 giugno 2008. ciò che rivela ai fini dell’applicabilità della nuova disciplina è, in base al disposto normativo, la data di assegnazione delle azioni. Il nuovo regime contributivo, pertanto, si applica anche in relazione ai piani già deliberati alla data di entrata in vigore del decreto con riferimento alle azioni assegnate a decorrere dal 25 giugno 2008.

ASSEGNAZIONI DI AZIONI EFFETTUATE DAL 5 LUGLIO 2006 AL 2 OTTOBRE 2006.
Le azioni assegnate in questo periodo sono soggette al regime previsto dall’art. 51 comma 2 lett. g-bis) del Tuir come modificato dall’art. 36, comma 25, del dl n. 223/2006.

La norma predetta subordinava l’applicabilità del regime fiscale e contributivo agevolato al verificarsi di due ulteriori condizioni ovvero:
· Il possesso di azioni da parte del dipendente per un periodo minimo (cinque anni), nell’ambito del quale non è possibile procedere alla dismissione dei titoli;
· Il valore delle azioni acquistate che non deve superare quello della retribuzione lorda annua percepita dal dipendente nel periodo di imposta precedente a quello di assegnazione.
Pertanto laddove non siano soddisfatti i “vecchi” (lettera g-bis dell’art. 51 nel testo previgente al dl 223/2006) e i predetti “nuovi” requisiti previsti in materia la differenza tra il valore delle azioni al momento dell’assegnazione e il prezzo pagato dal dipendente concorre interamente alla formazione del reddito imponibile. Inoltre ai sensi di quanto previsto dal comma 25-bis del predetto atr. 36, del dl 223/2006, introdotto in sede di conversione dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, il reddito derivante dal comma 25 rileva anche ai fini contributivi, con esclusivo riferimento alle assegnazioni di azioni effettuate in virtù di piani deliberati successivamente al 4 luglio 2006 (data di entrata in vigore del dl n. 223/2006), e, ai fini del calcolo delle prestazioni con esclusivo riferimento alle anzianità maturate successivamente alla predetta data (dal 5 luglio 2006). Da ciò consegue che per i piani di stock option deliberati anteriormente al 5 luglio indipendentemente dalla data di esercizio dell’opzione, trovano applicazione le originarie previsioni dell’art. 51, comma 2 lett. g-bis) del Tuir contenute nel testo previgente al dl 223/2006.

ASSEGNAZIONI DI AZIONI EFFETTUATE DAL 3 OTTOBRE 2006 AL 24 GIUGNO 2008.
Tali assegnazioni ricadono nell’ambito del dl n. 262/006, convertito in legge n. 286/2006 che ha modificato le condizioni dell’applicazione del regime agevolato, ovvero:
· L’opzione deve essere esercitata non prima che siano scaduti tre anni dalla sua attribuzione;

· Al momento in cui l’opzione è esercitata la società deve risultare quotata in mercati regolamentati;
· Il beneficiario deve mantenere per almeno i cinque anni successivi all’esercizio dell’opzione un investimento nei titoli oggetto di opzione non inferiore alla differenza tra il valore delle azioni al momento dell’assegnazione e l’ammontare corrisposto dal dipendente.

REGOLARIZZAZIONI.
Le aziende che in relazione alle assegnazioni in esame hanno assolto gli obblighi contributivi in difformità di quanto stabilito con la nuova circolare possono regolarizzare la propria posizione contributiva utilizzando la procedura prevista per le regolarizzazioni contributive (Dm 10/V). Inoltre, ove dalla stessa scaturisca una somma a debito, detta regolarizzazione potrà essere effettuata, senza aggravio di oneri aggiuntivi, entro il 16 marzo 2010.

DOTT.SSA MONICA MELANI

Riposi per allattamento

Riposi per allattamento

RIPOSI PER ALLATTAMENTO UNISEX
Il diritto del papà a prescindere dall’impossibilità del coniuge

È incondizionato il diritto al padre di beneficiare dei riposi giornalieri (allattamento) anche nel caso in cui la madre sia casalinga. Lo precisa il ministero del lavoro nella nota protocollo n. 19605/2009, superando di fatto le indicazioni dell’Inps (circolare n. 112/2009) che avevano vincolato la fruizione dei permessi alla “oggettiva impossibilità della madre casalinga di dedicarsi alla cura del neonato”.

I RIPOSI GIORNALIERI (COSIDDETTO ALLATTAMENTO).
Tra le tutele a favore della maternità, il T.u. (dlgs n. 151/2001) prevede i cosiddetti riposi giornalieri. In pratica, durante il primo anno di vita del bimbo (dopo, evidentemente, aver fruito del congedo di maternità) la lavoratrice dipendente madre ha diritto a fruire di riposi giornalieri retribuiti (Inps):
· Di 2 ore al giorno se l’orario di lavoro è pari o superiore a 6 ore quotidiane; le due ore possono essere fruite separatamente (ad esempio un’ora in entrata e una in uscita) o cumulate;
· Di un’ora al giorno se l’orario di lavoro quotidiano è inferiore a 6 ore.
Se il datore di lavoro mette a disposizione all’interno dell’azienda un asilo nido o un’altra
struttura idonea, i riposi giornalieri si riducono della metà.

Il T.u. stabilisce che i riposi giornalieri siano riconosciuti al padre, in alternativa alla madre, quando:
· I figli sono affidati al solo padre;
· La madre è deceduta o è gravemente malata;
· La madre non è lavoratrice dipendente, cioè è autonoma o libera professionista;
In caso di parto plurimo i riposi sono raddoppiati e le ore aggiuntive possono essere riconosciute al padre anche durante i periodi di astensione obbligatoria e di congedo parentale della madre (si veda tabella). Le ore fruibili sono conteggiate sulla base dell’orario di lavoro del genitore che si avvale dei riposi.

LA GIURISPRUDENZA.
Il T.u., come visto, non riconosce al padre il diritto ai riposi giornalieri nel caso in cui la moglie sia casalinga.
A tale carenza ha provveduto la giurisprudenza. Il Consiglio di stato, in particolare, con sentenza n. 4293/2008 ha stabilito che l’ipotesi contemplata dal T.u. (lettera c dell’articolo 40 del dlgs n. 151/2001 concernente i riposi giornalieri del padre nel caso in cui “la madre non sia lavoratrice dipendente”) deve ritenersi comprensiva anche del caso in cui la madre svolga lavoro casalingo.
Sulla questione è intervenuto anche il ministero del lavoro (circolare B/2009) spiegando che la conclusione appare in sintonia con il consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità, che aveva precedentemente sottolineato come in numerosi ambiti ordinamentali la casalinga sia considerata come lavoratrice (cassazione sentenza n. 20324/2005), in quanto impegnata in attività che comunque la distolgono dalla cura del neonato.

Pertanto, concludeva il ministero, l’interpretazione estensiva derivante dalla pronuncia del Consiglio di stato risulta maggiormente aderente alla ratio legis, volta a garantire al lavoratore padre la cura del bambino in tutte le ipotesi in cui l’altro genitore sia impegnato in attività lavorative che lo distolgano dall’assolvimento di tale compito.

LE ISTRUZIONI (I VINCOLI) DELL’INPS.
Sulla novità introdotta dalla sentenza del Consiglio di stato, l’Inps è intervenuto con la circolare n. 112/2009 per dettare le istruzioni operative ai fini delle richieste del beneficio di allattamento.
In quella nota, l’istituto spiega che l’interpretazione estensiva operata dal Consiglio di stato consente di riconoscere al padre lavoratore dipendente il diritto a fruire dei riposi giornalieri, oltre che nelle ipotesi già previste dalle norme vigenti, anche in altri casi di “oggettiva impossibilità da parte della madre casalinga di dedicarsi alla cura del neonato”, perché impegnata in altre attività (ad esempio accertamenti sanitari, partecipazione a pubblici concorsi, cure mediche ed altre simili).
Pertanto, precisava l’Inps, “in presenza delle predette condizioni, opportunamente documentate”, il padre dipendente può fruire dei riposi giornalieri nei limiti di due ore o un’ora al giorno a seconda dell’orario giornaliero di lavoro, entro il primo anno di vita del bambino o entro il primo anno dall’ingresso in famiglia del minore adottato o affidato.
Pertanto, concludeva l’ente di previdenza, analogamente a quanto avviene in caso di madre lavoratrice autonoma, anche nell’ipotesi di madre casalinga, il padre dipendente può utilizzare i riposi a partire dal giorno successivo ai tre mesi dopo il parto (ossia a partire dal giorno successivo alla fine del periodo di maternità riconosciuto per legge). E che, in caso di parto plurimo, anche nell’ipotesi di madre casalinga, il padre dipendente può fruire del raddoppio dei riposi e le ore aggiuntive possono essere utilizzate dal padre stesso anche durante i tre mesi dopo il parto.
IL DIRITTO E’ SENZA CONDIZIONI.
Il ministero del lavoro non ha condiviso il fatto che l’Inps (con la citata circolare n. 112/2009) abbia condizionato la fruizione dei riposi da parte del padre a una serie di limiti (“oggettiva impossibilità della madre casalinga di dedicarsi alla cura del neonato”, perché impegnata in altre attività, quali accertamenti sanitari, partecipazione a pubblici concorsi) e oneri (produzione di documentazione medica, attestato di partecipazione a corso e concorsi, e simili). Pertanto, con una nuova nota (protocollo n. 19605 del 16 novembre 2009) è ritornato sulla questione per meglio chiarire quanto esplicitato nella precedente lettera circolare B/2009 alla luce della ratio sottesa alla sentenza del Consiglio di stato.
Come si legge nella sentenza, spiega il ministero, la ratio dell’articolo 40, lettera c) del T.u. maternità (dlgs n. 151/2001) è quella di beneficiare il padre dei permessi per la cura del figlio allorquando la madre “non ne abbia diritto in quanto lavoratrice non dipendente e pur tuttavia impegnata in attività che la distolgano dalla cura del neonato”.
Tale ultima affermazione, secondo il ministero del lavoro, non sembra avere lo scopo di porre dei limiti o delle condizioni alla possibilità di fruire del beneficio, ma solo quella di esplicitare l’intenzione del legislatore. Ed aggiunge: coerentemente alle finalità di favor per il ruolo genitoriale ribadite dalla sentenza, per le ipotesi in cui a fruire del riposo giornaliero sia il padre coniugato con donna lavoratrice dipendente o lavoratrice autonoma, l’Inps non richiede alcuna documentazione in merito alle ragioni che hanno impedito alla madre di occuparsi del bambino e che hanno, dunque, reso necessario l’intervento del padre; né esiste una norma che imponga di provare e documentare le ragioni che impediscono alla madre lavoratrice non dipendente di occuparsi del bambino. In conclusione, il ministero precisa che la richiesta dell’Inps di produrre, nelle sole ipotesi di madre casalinga, documenti attestanti l’effettiva impossibilità della stessa di occuparsi del figlio non appare supportata da alcuna diposizione normativa in tal senso.
Peraltro, aggiunge il ministero, neanche in via interpretativa può essere avallata tale richiesta, in quanto una simile interpretazione può facilmente ingenerare questioni di costituzionalità (ai sensi dell’articolo 3 della Costituzione) per evidente disparità di trattamento dei soggetti destinatari della norma (le lavoratrici non dipendenti).

I RIPOSI GIORNALIERI NEI PARTI PLURIMI
MADRE PADRE
Orario di lavoro Permessi Almeno 6 ore Meno di 6 ore

Almeno 6 ore giornaliere

4 ore 0 ore 0 ore
3 ore 1 ora 1 ora
2 ore 2 ore 2 ore
1 ora 3 ore 3 ore
0 ore 4 ore 4 ore
In astensione facoltativa o obbligatoria 2 ore 1 ora

Meno di 6 ore giornaliere

2 ore 0 ore 0 ore
1 ora 2 ore 1 ora
0 ore 4 ore 2 ore
In astensione facoltativa o obbligatoria 2 ore 1 ora

Tutele anche per le nascite già avvenute
L’estensione del diritto ai riposi al padre nel caso della moglie casalinga è immediatamente operativo anche per le situazioni in essere. Tenuto conto del limite temporale entro il quale è possibile fruire dei riposi giornalieri, qualora non sia ancora decorso il primo anno di vita del bambino (o il primo anno di ingresso in famiglia del minore adottato/affidato), il padre dipendente può beneficiare dei riposi giornalieri fino al termine del suddetto anno, ma non potrà, invece, recuperare in alcun modo le ore di riposo precedentemente godute.
Qualora, invece, il padre dipendente avesse già fruito di

Influenza A, misure sui luoghi di lavoro

Influenza A, misure sui luoghi di lavoro

INFLUENZA A, MISURE SUI LUOGHI DI LAVORO
Informazione e valutazione dei rischi per prevenire contagi

La sicurezza sul lavoro impone un test sull’influenza A. I datori di lavoro, in particolare, sono tenuti ad aggiornare la valutazione dei rischi per individuare se e per quali lavoratori si rende necessaria la vaccinazione. A raccomandarlo è il ministero del lavoro, in una nota dell’11 settembre, con cui fornisce le linee guida per la riduzione del rischio espositivo nei luoghi di lavoro al nuovo virus A(H1N1). Le imprese, inoltre, sono tenute ad informare i propri dipendenti sulla nuova influenza e a garantire sul posto di lavoro disponibilità di detergenti liquidi, salviettine monouso e mascherine. E se c’è contagio, devono attivare tutte le misure cautelative (compresa una nuova informazione ai dipendenti) per evitare la diffusione tra i lavoratori.

MISURE DA METTERE IN ATTO SUI LUOGHI DI LAVORO:
Nei luoghi di lavoro, spiega il ministero, il rischio di trasmissione dell’influenza (pandemica o stagionale) è in gran parte condizionato dalla condivisione di spazi in ambienti confinati e da attività che espongano a contatto con il pubblico. In ogni caso, in qualsiasi luogo di lavoro è fondamentale il rispetto di elementari norme igieniche quali l’igiene delle mani e l’adozione di comportamenti di buona educazione igienica per limitare le occasioni di contagio attraverso starnuti o colpi di tosse. Le mani vanno lavate frequentemente (ed ogni volta che sia necessario, in particolare dopo aver usati i servizi igienici e prima dei pasti) con acqua e sapone o con soluzioni detergenti a base di alcool (concentrazione 60-90%).
Pertanto sui luoghi di lavoro lavabi e detergenti a base di alcool debbono essere sempre disponibili e facilmente accessibili. Il ministero ricorda che, nel caso di lavaggio con acqua e sapone, va usata acqua calda e le mani insaponate debbono essere strofinate per 15-20 secondi, usando poi asciugamani monouso o asciugatori ad aria calda (da mettere a disposizione nei luoghi di lavoro a cura delle aziende) mentre nel caso di detergenti a base di alcool non va aggiunta acqua e le mani debbono essere strofinate tra loro fino a che non ritornano asciutte. Tutte le informazioni utili alla prevenzione delle infezioni sul luogo di lavoro, aggiungono la linea guida, vanno utilmente illustrate ai lavoratori attraverso poster che mostrino le pratiche appropriate per il lavaggio delle mani e i comportamenti igienici di buona educazione da adottare.

IN CASO DI CONTAGIO:
Ove si dovesse verificare più di un caso confermato, probabile o sospetto di influenza nel periodo di contagiosità, il ministero spiega ai datori di lavoro che occorrerà informare i dipendenti circa la loro possibile esposizione al contagio sul luogo di lavoro, nel rispetto della riservatezza dei dati sensibili (dlgs n. 196/2003). Quindi, bisognerà invitare i dipendenti risultanti esposti a tenere sotto controllo il proprio stato di salute per rilevare la prima comparsa di sintomi sospetti e ricordare opportunamente la necessità di consultare il proprio medico di famiglia in caso di situazioni che potrebbero costituire un maggior rischio di forme gravi e complicate di influenza quali ad esempio: stato di gravidanza, malattie croniche del metabolismo, malattie cardiovascolari, asma, enfisema, etc. Capitolo a parte è riservato dalle linee guida, infine, alle donne in stato di gravidanza, in particolare a quelle al secondo e terzo trimestre di gravidanza, le quali sono a maggior rischio di complicazioni da influenza stagionale.

GLI OBBLGHI PER I DATORI DI LAVORO
Provvedere all’aggiornamento del documento di valutazione dei rischi in relazione al rischio espositivo ad agenti biologici in collaborazione con il medico competente, se presente, prevedendo protocolli per la gestione di dipendenti con sintomi di influenza manifestati sul posto di lavoro.
Verificare vi sia corretta informazione per l’uso di mascherine (in ambiti lavorativi non sanitari)
Identificare, in collaborazione con il medico competente, i dipendenti essenziali al ciclo produttivo da sottoporre a vaccinazione, per garantire il mantenimento delle attività socialmente utili (vedere al riguardo il Piano Nazionale di preparazione e risposta ad una pandemia influenzale)
Verificare i siti del ministero del lavoro e del ministero degli affari esteri per informazioni su specifiche situazioni di rischio in paesi esteri che potrebbero essere mete di trasferte all’estero di dipendenti
Come misura organizzativa, se attuabile, pianificare la possibilità di fruire di assenze che non disincentivino lavoratori a rimanere a casa per prendersi cura in caso di necessità di assistenza di propri familiari ammalati o di figli minorenni in caso di interruzione di attività didattiche per focolai epidemici.

DOTT.SSA MONICA MELANI

Visite mediche, l’irreperibilita’ costa cara

Visite mediche, l’irreperibilita’ costa cara

VISITE MEDICHE, L’IRREPERIBILITA’ COSTA CARA

La mancata o l’inattesa indicazione dell’indirizzo presso cui è reperibile il lavoratore sul certificato di malattia, comporta la perdita dell’indennità di malattia, per tutte le giornate attestate dalla stessa certificazione. Lo precisa l’Inps nel messaggio n. 22747/2009.

I chiarimenti sono stati sollecitati da una sede territoriale dell’istituto di previdenza. La normativa in materia (illustrata dall’Inps, tra l’altro, nella circolare n. 129/1990) stabilisce che, quando la visita medica di controllo non sia esperibile perché la certificazione medica risulta carente di indirizzo o lo riporti incompleto o inesatto, il lavoratore perde il diritto dell’indennità di malattia fino a quando non venga segnalato l’indirizzo mancante o incompleto o inesatto. Nel quesito, in particolare, si chiedono precisazioni operative sui termini di decorrenza di tale sanzione, termini non indicati dalla normativa, anche al fine di uniformare il comportamento sull’intero territorio nazionale poiché alcune sedi sanzionano l’intero evento di malattia, mentre altre sedi applicano la sanzione soltanto sul singolo certificato oggetto di visita di controllo. La sede Inps interpellante, peraltro, ritiene che, se il lavoratore è sanzionabile in quanto negligente nel non fornire correttamente il proprio indirizzo di reperibilità (e quindi i certificato è da considerarsi mancante di un requisito essenziale, come previsto dalla normativa), la sanzione non possa essere limitata al singolo certificato oggetto di visita medica di controllo, se anche i precedenti manchino dello stesso requisito essenziale.

RISPOSTA DELL’INPS:
L’Inps ricerca la risposta in giurisprudenza. Secondo quanto affermato dalla costante giurisprudenza della corte di cassazione, spiega, l’indicazione dell’esatto indirizzo di reperibilità è un requisito essenziale della certificazione di malattia, in quanto strumentale alla regolare effettuazione delle eventuali visite mediche di controllo. Pertanto, la mancanza o l’inesattezza oppure l’incompletezza dell’indirizzo (purché tale da impedire il reperimento del lavoratore) comporta senz’altro la perdita della prestazione previdenziale per l’intero evento di malattia, o comunque per tutte quelle giornate di malattia attestate da una certificazione priva di requisito in questione. Tuttavia, aggiunge l’Inps, l’applicazione della sanzione secondo queste modalità può non aver luogo solo qualora l’istituto (la sede) sia in grado di reperire altrimenti e agevolmente nei propri archivi il dato mancante (per esempio, da precedenti eventi di malattia o da precedenti accessi domiciliari).
Diversa è l’ipotesi di indicazione di un indirizzo insufficiente per il reperimento del lavoratore, ma uguale a quello riportato sul certificato di residenza: in tal caso, ove si tratti di prima malattia, il lavoratore può essere giustificato sebbene con l’avvertenza che, per eventuali successivi eventi di malattia, dovrà assolutamente indicare l’indirizzo esatto e completo.

DOTT.SSA MONICA MELANI

Pausa d’obbligo se si lavora al PC

Pausa d’obbligo se si lavora al PC

PAUSA D’OBBLIGO SE SI LAVORA AL PC

CHI OPERA CON IL MONITOR HA DIRITTO A INTERRUZIONI OGNI DUE ORE
Passare al lavoro 20 ore a settimana davanti a un computer basta per aver diritto alla sorveglianza sanitaria. E se il datore di lavoro nega questo diritto è prevista la pena dell’arresto (da 3 a 6 mesi) o quella dell’ammenda da 2.500 a 6.400 euro. All’accertamento delle violazioni non è competente il ministero del lavoro (le direzioni provinciali del lavoro, dpl) ma gli uffici territoriali delle aziende sanitarie locali (Asl) o la procura della repubblica per l’effettuazione delle procedure di controllo. A precisarlo sono le Faq del ministero del lavoro, presenti sul sito internet istituzionale, in risposta a appositi quesiti in tema di sicurezza sul lavoro e attrezzature munite di viedeoterminali.

TUTELA AD HOC PER I VIDEOTERMINALISTI.
Accanto alle norme generali di tutela che si applicano in via ordinaria in ogni luogo di lavoro, il Tu sicurezza prevede disposizioni specifiche quando l’attività lavorativa venga svolta con l’ausilio di attrezzature munite di videoterminali (l’attrezzature più comune e ricorrente è il computer, il pc), ad eccezione dei lavoratori addetti ai posti di guida di veicoli o di macchine, ai sistemi informatici montati a bordo di un mezzo di trasporto, ai sistemi informatici destinati in modo prioritario all’utilizzazione da parte del pubblico, alle macchine calcolatrici, ai registratori di cassa e a tutte le attrezzature munite di un piccolo dispositivo di visualizzazione dei dati o delle misure, necessario all’uso diretto di tale attrezzatura e alle macchine di videoscrittura senza schermo separato. In modo particolare, il Tu sicurezza si preoccupa di disciplinare le attività lavorative svolte mediante l’uso di videoterminali, per tale dovendosi intendere gli schemi alfanumerici o grafici a prescindere dal tipo di procedimento di visualizzazione utilizzato; i posti di lavoro che, nell’insieme, comprende tutte le attrezzature munite di videoterminale, eventualmente con tastiera o altro sistema di immissione dati, incluso il mouse, il software per l’interfaccia uomo-macchina, accessori opzionali, apparecchiature connesse comprendenti l’unità a dischi, il telefono, il modem, la stampante, il supporto per i documenti, la sedia, il piano di lavoro, nonché l’ambiente di lavoro immediatamente circostante.
Variabile fondamentale infine è l’intensità di utilizzo di videoterminali: l’applicazione delle norme specifiche, infatti, riguarda i lavoratori che utilizzano un’attrezzatura munita di videoterminali, in modo sistematico o abituale, per 20 ore settimanali nette (cioè dedotte le interruzioni previste e di cui si dice appresso)

COME LAVORATORE AI VIDEOTERMINALI.
Dunque, perché il lavoratore rientri nella sfera di applicazione delle disposizioni specifiche previste dal Tu a proposito degli addetti a videoterminali è necessario che egli utilizzi per non meno di 20 ore settimanali un’attrezzatura munita di tale video. Questo limite è calcolato al netto delle pause cui ha diritto il lavoratore: quest’ultimo, infatti, ha titolo a un’interruzione dell’attività mediante pause ovvero cambiamento di attività. Le modalità delle predette interruzioni sono stabilite dalla contrattazione collettiva, anche aziendale; in mancanza di un disposizione contrattuale specifica circa le interruzioni, il lavoratore ha comunque diritto a una pausa di 15 minuti ogni 120 minuti di applicazione continuativa al videoterminale.

LE INTERRUZIONI.
Modalità e durata delle interruzioni possono essere stabilite temporaneamente a livello individuale, se il medico competente ne evidenzi la necessità. Resta comunque esclusa la cumulabilità delle interruzioni all’inizio e al termine dell’orario di lavoro. Nel computo dei tempi di interruzione dei tempi di interruzione non sono compresi i tempi di attesa della risposta da parte del sistema elettronico, che sono considerati, a tutti gli effetti, tempo di lavoro, ove il lavoratore non possa abbandonare il posto di lavoro. La pausa è considerata a tutti gli effetti parte integrante dell’orario di lavoro e, come tale, non è riassorbibile all’interno di accordi che prevedono la riduzione dell’orario complessivo di lavoro.

LA SORVEGLIANZA SANITARIA.
I lavoratori addetti ai videoterminali, secondo le precedenti definizioni e limitazioni, sono sottoposti alla sorveglianza sanitaria (la disciplina è dettata all’articolo 41 del T.u.), con particolare riferimento:
a. Ai rischi per la vista e per gli occhi;
b. Ai rischi per l’apparato muscolo – scheletrico,
Sulla base delle risultanze degli accertamenti medici, in conseguenza della predetta sorveglianza
sanitaria, i lavoratori vengono classificati dal medico competente in uno dei seguenti giudizi relativi alla mansione svolta:
a) Idoneità;
b) Idoneità parziale, temporanea o permanente, con prescrizioni o limitazioni;
c) Idoneità temporanea;
d) Idoneità permanente;

Salvi i casi particolari che richiedono una frequenza diversa stabilita dal medico competente, la periodicità delle visite di controllo è biennale per i lavoratori classificati come idonei con prescrizioni o limitazioni (punto b precedente) e per quelli che abbiano compiuto il cinquantesimo anno di età; la periodicità è quinquennale negli altri casi. Per i casi di inidoneità temporanea il medico competente stabilisce il termine per la successiva visita di idoneità.
Il lavoratore, inoltre, ha diritto a essere sottoposto a visita di controllo, dietro sua richiesta, qualora la stessa sia ritenuta dal medico competente correlata ai rischi professionali o alle sue condizioni di salute, suscettibili di peggioramento a causa dell’attività lavorativa svolta, al fine di esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica.
Infine, il datore di lavoro è tenuto a fornire a sue spese ai lavoratori tutti i dispositivi speciali di correzione visiva, in funzione dell’attività svolta, quando l’esito delle visite mediche ne evidenziano la necessità e non sia possibile utilizzare i dispositivi normali di correzione.

DOTT.SSA MONICA MELANI

LE SANZIONI PER DATORI E DIRIGENTI
Arresto da 3 a 6 mesi o con ammenda da 2.500 fino a 6.400 euro
· Non adottare le misure appropriate per ovviare ai rischi riscontrati in base alla valutazione dei rischi (datore di lavoro)
· Non organizzare né predisporre i posti di lavoro in conformità ai requisiti minimi di legge (datore i lavoro)
· Non garantire al lavoratore il diritto a un’interruzione della sua attività mediante pause ovvero cambiamento di attività; oppure a una pausa di 15 minuti ogni 120 minuti (2 ore) di applicazione continuativa al videoterminale
· Non sottoporre i lavoratori alla sorveglianza sanitaria con riferimento ai rischi per la vista e per gli occhi; ai rischi per l’apparato muscolo-scheletrico
· Non garantire la periodicità minima delle visite di controllo per i lavoratori
· Non sottoporre a visita di controllo il lavoratore a sua richiesta
· Violare i requisiti di sicurezza relativi alle attrezzature munite di videoterminali
Arresto da 2 a 4 mesi o l’ammenda da 750 a 4.000 euro
· Non fornire, a proprie spese, ai lavoratori i dispositivi speciali di correzione visiva, in funzione dell’attività svolta,quando l’esito delle visite di controllo ne evidenzi la necessità e non sia possibile utilizzare i dispositivi normali di correzione (datore di lavoro)
· Non fornire ai lavoratori informazioni circa le misure applicabili al posto di lavoro, le modalità di svolgimento dell’attività e protezione degli occhi e della vista
· Non assicurare ai lavoratori una formazione adeguata

ATTENZIONE A SEDIE, TASTIERE E MOUSE

I computer portatili? Non sono sicuri se utilizzati senza schermo e senza tastiera esterna. Serve una miriade di controlli per garantire la sicurezza ai lavoratori. Partiamo dallo schermo. La risoluzione deve essere tale da garantire una buona definizione, una forma chiara, una grandezza sufficiente dei caratteri e, inoltre, uno spazio adeguato tra essi. L’immagine sullo schermo deve essere stabile; esente da farfallamento, tremolio o da altre forme di instabilità. La brillanza e/o il contrasto di luminanza tra i caratteri e lo sfondo dello schermo devono essere facilmente regolabili da parte dell’utilizzatore del videoterminale e facilmente adattabili alle condizioni ambientali. Ancora, lo schermo deve essere orientabile e inclinabile liberamente per adeguarsi facilmente alle esigenze dell’utilizzatore. È possibile utilizzare un sostegno separatorio per lo schermo o un piano regolabile. Sullo schermo non devono essere presenti riflessi e riverberi che possano causare disturbi all’utilizzatore durante lo svolgimento della propria attività. Passiamo alla testiera e mouse. La tastiera deve essere separata dallo schermo e facilmente regolabile e dotata di meccanismo di variazione della pendenza onde consentire al lavoratore di assumere una posizione confortevole e tale da non provocare l’affaticamento delle braccia e delle mani. Lo spazio sul piano di lavoro deve consentire un appoggio degli avambracci davanti la tastiera nel corso della digitazione, tenendo conto delle caratteristiche antropometriche dell’operatore. La tastiera deve avere una superficie opaca onde evitare riflessi. Il mouse o qualsiasi dispositivo di puntamento deve essere posto sullo stesso piano della tastiera, in posizione facilmente raggiungibile e disporre di uno spazio adeguato per il suo uso. E il piano di lavoro? Il piano di lavoro deve avere una superficie a basso indice di riflessione, essere stabile, di dimensioni sufficienti a permettere una disposizione flessibile dello schermo, della tastiera, dei documenti e del materiale accessorio. L’altezza del piano di lavoro fissa o regolabile deve essere indicativamente compresa tra i 70 e 80 cm. Lo spazio a disposizione deve permettere l’alloggiamento e il movimento degli arti inferiori, nonché l’ingresso del sedile e dei braccioli se presenti. La profondità del piano di lavoro deve essere tale da assicurare una adeguata distanza visiva dallo schermo. Il supporto per i documenti deve essere stabile e regolabile e deve essere collocato in modo tale da ridurre al minimo i movimenti della testa e degli occhi.
Dulcis in fundo il software: deve essere adeguato alla mansione da svolgere; di facile uso adeguato al livello di conoscenza e di esperienza dell’utilizzatore e deve essere strutturato in modo tale da fornire ai lavoratori indicazioni comprensibili sul corretto svolgimento dell’attività.

  • Cosa è tenuto a fare il datore di lavoro. Il datore di lavoro, all’atto della valutazione del rischio complessivamente riferita alla sua azienda, è tenuto ad analizzare i posti di lavoro con particolare riguardo ai rischi per la vista e per gli occhi; ai problemi legati alla postura e all’affaticamento fisico o mentale; alle condizioni ergonomiche e di igiene ambientale. Di conseguenza, inoltre, è tenuto ad adottare le misure appropriate per ovviare ai rischi riscontrati in base alle valutazioni, tenendo conto della somma ovvero della combinazione della incidenza dei rischi riscontrati. Il datore di lavoro, ancora, è tenuto a organizzare e predisporre i posti di lavoro in conformità ai requisiti minimi previsti dal T.u. sicurezza. Infine, il datore di lavoro è tenuto a fornire ai lavoratori informazioni, in particolare per quanto riguarda le misure applicabili al posto di lavoro, le modalità di svolgimento dell’attività e la protezione degli occhi e della vista, e ad assicurare ai lavoratori medesimi una formazione adeguata.
  • La formazione sposa la flessibilita’

    La formazione sposa la flessibilita’

    LA FORMAZIONE SPOSA LA FLESSIBILITA’

    Più flessibilità nei fondi interprofessionali per la formazione continua. L’impresa può decidere anche in corso di anno se appartenere a un fondo piuttosto che a un altro, come può ora aderire e revocare l’iscrizione in qualsiasi momento. Le novità, già in vigore, sono state introdotte dal dl n. 185/2008 e illustrate nei dettagli operativi dall’Inps con la circolare n. 107/2009.

    I FONDI INTERPROFESSIONALI.
    I fondi paritetici interprofessionali nazionali per la formazione continua sono organismi di natura associativa promossi dalle organizzazioni di rappresentanza delle parti sociali attraverso specifici accordi interconfederali stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori maggiormente rappresentative sul piano nazionale. Possono essere istituiti fondi paritetici per ciascuno dei settori economici dell’industria, dell’agricoltura, del terziario e dell’artigianato; gli accordi interconfederali possono prevedere l’istituzione di fondi anche per settori diversi, nonché, all’interno degli stessi, la costituzione di un’apposita sezione per la formazione dei dirigenti. Nel corso dell’anno 2003, con l’istituzione dei primi dieci fondi, si realizza quanto previsto dalla legge 388/2000, che consente alle imprese di destinare la quota dello 0,30% dei contributi versati all’Inps (il cosiddetto “contributo obbligatorio per la disoccupazione involontaria”) alla formazione dei propri dipendenti. I datori di lavoro possono, infatti, chiedere all’Inps di trasferire il contributo a uno dei fondi paritetici interprofessionali, che provvederà a finanziare le attività formative per i lavoratori delle imprese aderenti.
    I fondi fino ad oggi costituiti e autorizzati, rappresentativi di una larga parte del mondo delle imprese e dia lavoratori, sono indicati in tabella, unitamente ai codici utili per l’adesione. In sostanza, dunque, i fondi paritetici finanziano piani formativi aziendali, settoriali e territoriali, che le imprese in forma singola o associata decideranno di realizzare per i propri dipendenti. Oltre a finanziare, in tutto o in parte, i piani formativi aziendali, settoriali e territoriali, con le modifiche introdotte dalla legge n. 289/2002, i fondi possono finanziare anche i piani formativi individuali, nonché ulteriori attività propedeutiche o comunque connesse alle iniziative formative.

    LA FORMAZIONE LA FINANZIANO LE IMPRESE.
    Come accennato, i fondi interprofessionali sono finanziati attraverso le risorse derivanti dal gettito dell’apposito contributo integrativo (previsto dall’articolo 25, quarto comma, della legge n. 845/1978), nella misura dello 0,30%, che i datori di lavoro sceglieranno, con le modalità di seguito indicate, di far canalizzare verso uno dei costituiti Fondi. Al predetto contributo sono obbligati tutti i datori di lavoro; l’adesione al Fondo è facoltativa e per i datori di lavoro che non aderiscono ad alcun fondo resterà comunque fermo l’obbligo di versare all’Inps il contributo integrativo. In particolare, per favorire l’avvio dell’operatività dei Fondi, è stata prevista la fase transitoria durante la quale è dato utilizzare una parte delle risorse destinate, negli anni 2003 e 2003, al fondo rotazione. Dall’anno 2004, i Fondi vengono finanziati esclusivamente attraverso il predetto gettito contributivo.

    FONDI PIU’ FLESSIBILI.
    Le nuove norme del dl n. 185/2008 (convertito dalla legge n. 2/2009) e dalla legge n. 33/2009 incidono sulla disciplina che regola il funzionamento dei fondi interprofessionali, sul fronte delle adesioni/revoche e degli effetti finanziari che da queste conseguono, anche in termini di modalità tra i fondi medesimi.
    Circa le modalità di adesione/revoca, l’Inps ha deciso di utilizzare la denuncia contributiva (Dm10) come strumento di comunicazione delle adesioni e/o revoche (da gennaio 2010 l’Uniemens). La nuova formulazione della norma supera implicitamente la precedente impostazione che, nel fissare al 31 ottobre di ogni anno il termine per esprimere le adesioni e/o le revoche, stabiliva che gli effetti delle stesse decorressero dall’1 gennaio dell’anno successivo. Pertanto, l’Inps ritiene ora di: consentire alle aziende l’utilizzo della denuncia contributiva (Dm10) come strumento di comunicazione di adesioni, revoche dai fondi e/o revoche con contestuale trasferimento ad altro fondo, in continuità con la prassi sino a oggi utilizzata; fare esercitare le scelte durante l’intero anno solare; far decorrere gli effetti di queste ultime dal periodo di paga (mese di competenza del Dm10) nel quale le stesse vengono indicate, e non più dal 1 gennaio dell’anno successivo (in caso di tardiva trasmissione della denuncia telematica, viene presa in considerazione la data di effettivo inoltro).

    MOBILITA’ TRA FONDI INTERPROFESSIONALI.
    La principale novità legislativa riguarda la mobilità tra fondi interprofessionali. La legge introduce, infatti, per le aziende interessate, la possibilità di trasferire al nuovo fondo il 70% del totale delle somme confluite nel triennio antecedente al fondo in precedenza scelto, al netto dell’ammontare eventualmente già utilizzato per il finanziamento dei propri piani formativi.

    Detta possibilità trova, tuttavia, le seguenti limitazioni di legge: il trasferimento delle risorse non può riguardare le aziende che, in ciascuno dei tre anni precedenti, rispondono alla definizione comunitaria di micro e piccole imprese di cui alla raccomandazione dell’Unione europea n. 2003/361/Ce; l’importo da trasferire deve essere almeno pari a 3 mila euro; le quote oggetto di trasferimento non possono essere riferite a periodi antecedenti al 1° gennaio 2009.

    MODALITA’ OPERATIVE.
    Ai fini delle adesioni/revoche dunque è confermata la prassi in uso (in tabella i codici di adesione da indicare sul Dm10). Le aziende interessate alla mobilità tra fondi devono attenersi alle seguenti modalità: comunicare la revoca del precedente Fondo, utilizzando i già citati codici “Revo” e/o “Redi”; inserire, contestualmente, il codice del nuovo Fondo al quale intendono trasferirsi. Non possono in alcun modo essere prese in considerazione modifiche di adesioni a fondi che non siano accompagnate da espresse e contestuali indicazioni di revoca. Nei casi di mobilità tra fondi, l’Inps attribuirà al nuovo fondo prescelto le risorse economiche a partire dal periodo di paga (mese di competenza del Dm10) nel quale la mobilità viene indicata.

    DOTT.SSA MONICA MELANI

    I CODICI PER ADERIRE
    FONDO CAMPO DI APPLICAZIONE ADESIONE (1)
    Fondo Artigianato Formazione Imprese artigiane FART
    Foncoop Imprese cooperative FCOP
    For.te Commercio, turismo, servizi, credito, assicurazione, trasporto FITE
    Fondimpresa Imprese industriali FIMA
    Fondo Formazione Pmi Pmi industriali FAPI
    Fon.Ter Turismo e distribuzione servizi FTUS
    Fondirigenti Dirigenti industriali FDIR