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CONSULENZA DEL LAVORO E SINDACALE

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Categoria: Circolari

Chi scegli il RLS?

Chi scegli il RLS?

RLS, NON E’ IL DATORE A DECIDERE
L’elezione o la designazione è una facoltà dei dipendenti

Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza? È solo una facoltà dei lavoratori, non un obbligo per i datori di lavoro. Ciò che va garantito in azienda, infatti è la “rappresentanza dei lavoratori”. Pertanto il datore di lavoro non ha più titoli decisionali, una volta che ha richiesto l’elezione o la designazione del rappresentante ai lavoratori.

LA PARTECIPAZIONE DEI LAVORATORI.
Tra i principi della disciplina della sicurezza in azienda emerge quello del maggiore coinvolgimento dei lavoratori. Questa maggiore partecipazione del lavoratori, è affidata al “rappresentante dei lavoratori per la sicurezza”, figura che il T.u. ha aggiornato e diviso in tre tipologie:
1. il Rappresentante Aziendale, è la figura prevista in tutte le aziende o unità produttive con più di 15 lavoratori. Viene eletto o designato dai lavoratori nell’ambito delle rappresentanze sindacali aziendali; in mancanza di queste ultime, è eletto dai lavoratori dell’azienda al loro interno. Il numero (c’è un minimo che va rispettato), le modalità di designazione o elezione nonché il tempo di lavoro retributivo e gli strumenti per l’espletamento delle funzioni vengonostabiliti in sede di contrattazione collettiva.

2. il Rappresentante Territoriali, esercita le competenze proprie del rappresentante per la sicurezza con la particolarità di essere impegnato in più aziende o unità produttive (con meno di 16 lavoratori). La sua designazione o elezione avviene con le modalità che saranno fissate con accordi collettivi o, in via sostitutiva, con un decreto ministeriale.

Tutte le aziende, o le unità produttive, nel cui ambito non sia stato eletto o designato il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza sono tenute a partecipare (finanziarie) al nuovo fondo di sostegno delle pmi.
3. il Rappresentante di sito, è la figura obbligatoria, che si aggiunge al rappresentante aziendale o territoriale, in specifici contesti produttivi caratterizzati dalla compresenza di più aziende o cantieri. È individuato, su loro iniziativa, tra i rappresentanti dei lavoratori della aziende operanti nel sito produttivo.

LA NOMINA.
Le disposizioni ministeriali (articolo 47 del dlgs n. 81/2008, il T.u. sicurezza) stabiliscono che in ogni azienda o unità produttiva deve essere garantita la rappresentanza dei lavoratori per la sicurezza, e ciò indipendentemente dalle dimensioni e dalla composizione di riferimento e, quindi, anche nei casi in cui l’azienda o l’unità produttiva abbia un solo lavoratore. Alla luce di tale disposizione il ministero evidenzia che l’elezione o la designazione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza è una facoltà dei lavoratori e non certo un obbligo del datore di lavoro, il quale, peraltro, una volta chiesta ai lavoratori tale elezione o designazione, non ha alcun titolo decisionale al riguardo.

Quindi, aggiunge il ministero, ove i lavoratori non abbiano eletto o designato un rappresentante dei lavoratori “interno” all’azienda, si applicheranno le disposizioni di cui all’art. 48 del T.u., in virtù delle quali nell’azienda o nell’unità produttiva, a svolgere le funzioni di rappresentanza ai fini della sicurezza, sarà un rappresenta ai fini della sicurezza, sarà un rappresentante “esterno”, nel rispetto delle previsioni di contratto collettivo che regolamenteranno l’elezione o designazione, una volta che saranno emanate (al momento non risultano predisposte).

UNA “TASSA” SULLE PICCOLE AZIENDE.
Il T.u. prevede l’istituzione presso l’Inail di uno specifico fondo a sostegno delle pmi, dei rappresentanti per la sicurezza e della pariteticità, con lo scopo di favorire e finanziare, tra l’altro, le attività dei rappresentanti, la formazione dei datori di lavoro, dei piccoli imprenditori, dei lavoratori stagionali agricoli e dei lavoratori autonomi, infine le attività degli organismi paritetici. Il fondo è previsto che venga finanziato, tra l’altro, da un contributo a carico delle aziende (quelle con meno di 16 lavoratori) che, non avendone l’obbligo, non avranno eletto né designato il rappresentante per la sicurezza.. costerà due ore lavorative annue per lavoratore. Al riguardo, sempre il ministero del lavoro ha precisato che, in caso assenza del rappresentante dei lavoratori “interno”, il datore di lavoro è tenuto a versare questa somma al fondo per il sostegno alla rappresentanza ed alla pariteticità, ma non prima dell’entrata in vigore del previsto decreto (al momento in fase di preparazione).

DOTT.SSA MONICA MELANI

LA MISURA
Il rappresentante dei lavoratori aziendale
È alternativo al rappresentante territoriale nelle aziende o unità produttive che occupano fino a 15 lavoratori.
È obbligatorio in tutte le aziende con almeno 16 lavoratori.
Il numero minimo dei rappresentanti è:
· 1 nelle aziende ovvero unità produttive fino a 200 lavoratori
· 3 nelle aziende ovvero unità produttive da 201 fino a 1.000 lavoratori
· 6 nelle aziende ovvero unità produttive oltre 1.000 lavoratori (misura fissata con accordi interconfederali o contrattazione collettiva)
Il rappresentante dei lavoratori territoriale
È la figura alternativa al rappresentante aziendale nelle aziende o unità produttive che occupano fino a 15 lavoratori
Il rappresentante dei lavoratori di sito
È obbligatorio, ed è individuato tra i rappresentanti delle aziende che operano in un sito produttivo, nei seguenti contesti in cui vi sia compresenza di aziende o cantieri: porti, centri intermodali di trasporto; impianti siderurgici; cantieri con almeno 30 mila uomini-giorno; contesti con problematiche di interferenza delle lavorazioni e con oltre 500 addetti

IL NOMINATIVO VA COMUNICATO ALL’INAIL
Il datore di lavoro e i dirigenti sono tenuti a comunicare all’Inail (all’Ipsema per il settore marittimo) i nominativi dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza. Rientrano nell’obbligo i datori di lavoro (ovvero i dirigenti, se delegati) di qualsiasi settore privato o pubblico. Sono escluse le amministrazioni, gli istituti e le organizzazioni individuate dall’articolo 3, commi 2 e 3-bis (forze armate, vigili del fuoco, cooperative sociali) del T.u. L’adempimento è dovuto in occasione di nomina di uno o più Rls. In sede di prima applicazione (l’adempimento è stato riscritto dal DLgs n. 103/2009), riguarda i nominativi dei Rls già eletti o designati. L’Inail spiega che nessun obbligo ricade sulle aziende che hanno Rls eletti; in tal caso, l’obbligo scatterà alla prima nomina o designazione. Per le aziende o unità produttive in cui già sia presente un Rls, invece, l’adempimento va osservato se non già adempiuto per essere poi ripetuto in occasione di modifiche (per chi ha già fatto la denuncia, le modifiche rilevano dal 1° gennaio 2009, poiché il vecchio adempimento riguardava la situazione in essere al 31 dicembre 2008). La denuncia va fatta sul sito dell’Inail, al quale occorre essere registrati. Eccezionalmente, è consentito la denuncia anche via fax (numero 800657657)
STESSE TUTELE DELLE RAPPRESENTANZE SINDACALI
Il T.u. sicurezza prevede le attribuzioni del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, fermo restando quando stabilito in sede di contrattazione collettiva. Compiti del Rls dunque, sono la facoltà di accedere ai luoghi di lavoro in cui si svolgono le lavorazioni; il diritto:
· a essere consultato preventivamente e tempestivamente in ordine alla valutazione dei rischi, all’individuazione, alla programmazione, alla realizzazione e alla verifica delle prevenzione nella azienda o unità produttiva;
· a essere consultato sulla designazione del responsabile e degli addetti al servizio di prevenzione, all’attività di prevenzione incendi, al primo soccorso, alla evacuazione dei luoghi di lavoro e del medico competente;
· a essere consultato in merito all’organizzazione della formazione;
Ancora riceve:
· le informazioni e la documentazione aziendale inerente alla valutazione dei rischi e le misure di prevenzione relative, nonché quelle inerenti alle sostanze e ai preparati pericolosi, alle macchine, agli impianti, alla organizzazione e agli ambienti di lavoro, agli infortuni e alle malattie professionali; le informazioni provenienti dai servizi di vigilanza
· una formazione adeguata.
Infine:
· promuove l’elaborazione, l’individuazione e l’attuazione delle misure di prevenzione idonee a tutelare la salute e l’integrità fisica dei lavoratori;
· formula osservazioni in occasione di visite e verifiche effettuate dalle autorità competenti, delle quali è, di norma, sentito, partecipa alla riunione periodica; fa proposte in merito all’attività di prevenzione;
· avverte il responsabile della azienda dei rischi individuati nel corso della sua attività;
· può fare ricorso alle autorità competenti qualora ritenga che le misure di prevenzione e protezione dai rischi adottate dal datore di lavoro o dai dirigenti e i mezzi impiegati per attuarle non siano idonei a garantire la sicurezza e la salute durante il lavoro.
Ai fini dello svolgimento di queste attività, i rappresentante dei lavoratori dispone del tempo necessario allo svolgimento dell’incarico senza perdita di retribuzione, nonché dei mezzi e degli spazi necessari per l’esercizio delle funzioni e delle facoltà riconosciutegli, anche tramite l’accesso ai dati contenuti in applicazioni informatiche. Non può subire pregiudizio alcuno a causa dello svolgimento della propria attività e nei suoi confronti si applicano le stesse tutele previste dalla legge per le rappresentanze sindacali. Ultima nota, l’esercizio delle funzioni di rappresentante dei lavoratori per la sicurezza è incompatibile con la nomina di responsabile o addetto al servizio di prevenzione o protezione.

Riposi per allattamento

Riposi per allattamento

RIPOSI PER ALLATTAMENTO UNISEX
Il diritto del papà a prescindere dall’impossibilità del coniuge

È incondizionato il diritto al padre di beneficiare dei riposi giornalieri (allattamento) anche nel caso in cui la madre sia casalinga. Lo precisa il ministero del lavoro nella nota protocollo n. 19605/2009, superando di fatto le indicazioni dell’Inps (circolare n. 112/2009) che avevano vincolato la fruizione dei permessi alla “oggettiva impossibilità della madre casalinga di dedicarsi alla cura del neonato”.

I RIPOSI GIORNALIERI (COSIDDETTO ALLATTAMENTO).
Tra le tutele a favore della maternità, il T.u. (dlgs n. 151/2001) prevede i cosiddetti riposi giornalieri. In pratica, durante il primo anno di vita del bimbo (dopo, evidentemente, aver fruito del congedo di maternità) la lavoratrice dipendente madre ha diritto a fruire di riposi giornalieri retribuiti (Inps):
· Di 2 ore al giorno se l’orario di lavoro è pari o superiore a 6 ore quotidiane; le due ore possono essere fruite separatamente (ad esempio un’ora in entrata e una in uscita) o cumulate;
· Di un’ora al giorno se l’orario di lavoro quotidiano è inferiore a 6 ore.
Se il datore di lavoro mette a disposizione all’interno dell’azienda un asilo nido o un’altra
struttura idonea, i riposi giornalieri si riducono della metà.

Il T.u. stabilisce che i riposi giornalieri siano riconosciuti al padre, in alternativa alla madre, quando:
· I figli sono affidati al solo padre;
· La madre è deceduta o è gravemente malata;
· La madre non è lavoratrice dipendente, cioè è autonoma o libera professionista;
In caso di parto plurimo i riposi sono raddoppiati e le ore aggiuntive possono essere riconosciute al padre anche durante i periodi di astensione obbligatoria e di congedo parentale della madre (si veda tabella). Le ore fruibili sono conteggiate sulla base dell’orario di lavoro del genitore che si avvale dei riposi.

LA GIURISPRUDENZA.
Il T.u., come visto, non riconosce al padre il diritto ai riposi giornalieri nel caso in cui la moglie sia casalinga.
A tale carenza ha provveduto la giurisprudenza. Il Consiglio di stato, in particolare, con sentenza n. 4293/2008 ha stabilito che l’ipotesi contemplata dal T.u. (lettera c dell’articolo 40 del dlgs n. 151/2001 concernente i riposi giornalieri del padre nel caso in cui “la madre non sia lavoratrice dipendente”) deve ritenersi comprensiva anche del caso in cui la madre svolga lavoro casalingo.
Sulla questione è intervenuto anche il ministero del lavoro (circolare B/2009) spiegando che la conclusione appare in sintonia con il consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità, che aveva precedentemente sottolineato come in numerosi ambiti ordinamentali la casalinga sia considerata come lavoratrice (cassazione sentenza n. 20324/2005), in quanto impegnata in attività che comunque la distolgono dalla cura del neonato.

Pertanto, concludeva il ministero, l’interpretazione estensiva derivante dalla pronuncia del Consiglio di stato risulta maggiormente aderente alla ratio legis, volta a garantire al lavoratore padre la cura del bambino in tutte le ipotesi in cui l’altro genitore sia impegnato in attività lavorative che lo distolgano dall’assolvimento di tale compito.

LE ISTRUZIONI (I VINCOLI) DELL’INPS.
Sulla novità introdotta dalla sentenza del Consiglio di stato, l’Inps è intervenuto con la circolare n. 112/2009 per dettare le istruzioni operative ai fini delle richieste del beneficio di allattamento.
In quella nota, l’istituto spiega che l’interpretazione estensiva operata dal Consiglio di stato consente di riconoscere al padre lavoratore dipendente il diritto a fruire dei riposi giornalieri, oltre che nelle ipotesi già previste dalle norme vigenti, anche in altri casi di “oggettiva impossibilità da parte della madre casalinga di dedicarsi alla cura del neonato”, perché impegnata in altre attività (ad esempio accertamenti sanitari, partecipazione a pubblici concorsi, cure mediche ed altre simili).
Pertanto, precisava l’Inps, “in presenza delle predette condizioni, opportunamente documentate”, il padre dipendente può fruire dei riposi giornalieri nei limiti di due ore o un’ora al giorno a seconda dell’orario giornaliero di lavoro, entro il primo anno di vita del bambino o entro il primo anno dall’ingresso in famiglia del minore adottato o affidato.
Pertanto, concludeva l’ente di previdenza, analogamente a quanto avviene in caso di madre lavoratrice autonoma, anche nell’ipotesi di madre casalinga, il padre dipendente può utilizzare i riposi a partire dal giorno successivo ai tre mesi dopo il parto (ossia a partire dal giorno successivo alla fine del periodo di maternità riconosciuto per legge). E che, in caso di parto plurimo, anche nell’ipotesi di madre casalinga, il padre dipendente può fruire del raddoppio dei riposi e le ore aggiuntive possono essere utilizzate dal padre stesso anche durante i tre mesi dopo il parto.
IL DIRITTO E’ SENZA CONDIZIONI.
Il ministero del lavoro non ha condiviso il fatto che l’Inps (con la citata circolare n. 112/2009) abbia condizionato la fruizione dei riposi da parte del padre a una serie di limiti (“oggettiva impossibilità della madre casalinga di dedicarsi alla cura del neonato”, perché impegnata in altre attività, quali accertamenti sanitari, partecipazione a pubblici concorsi) e oneri (produzione di documentazione medica, attestato di partecipazione a corso e concorsi, e simili). Pertanto, con una nuova nota (protocollo n. 19605 del 16 novembre 2009) è ritornato sulla questione per meglio chiarire quanto esplicitato nella precedente lettera circolare B/2009 alla luce della ratio sottesa alla sentenza del Consiglio di stato.
Come si legge nella sentenza, spiega il ministero, la ratio dell’articolo 40, lettera c) del T.u. maternità (dlgs n. 151/2001) è quella di beneficiare il padre dei permessi per la cura del figlio allorquando la madre “non ne abbia diritto in quanto lavoratrice non dipendente e pur tuttavia impegnata in attività che la distolgano dalla cura del neonato”.
Tale ultima affermazione, secondo il ministero del lavoro, non sembra avere lo scopo di porre dei limiti o delle condizioni alla possibilità di fruire del beneficio, ma solo quella di esplicitare l’intenzione del legislatore. Ed aggiunge: coerentemente alle finalità di favor per il ruolo genitoriale ribadite dalla sentenza, per le ipotesi in cui a fruire del riposo giornaliero sia il padre coniugato con donna lavoratrice dipendente o lavoratrice autonoma, l’Inps non richiede alcuna documentazione in merito alle ragioni che hanno impedito alla madre di occuparsi del bambino e che hanno, dunque, reso necessario l’intervento del padre; né esiste una norma che imponga di provare e documentare le ragioni che impediscono alla madre lavoratrice non dipendente di occuparsi del bambino. In conclusione, il ministero precisa che la richiesta dell’Inps di produrre, nelle sole ipotesi di madre casalinga, documenti attestanti l’effettiva impossibilità della stessa di occuparsi del figlio non appare supportata da alcuna diposizione normativa in tal senso.
Peraltro, aggiunge il ministero, neanche in via interpretativa può essere avallata tale richiesta, in quanto una simile interpretazione può facilmente ingenerare questioni di costituzionalità (ai sensi dell’articolo 3 della Costituzione) per evidente disparità di trattamento dei soggetti destinatari della norma (le lavoratrici non dipendenti).

I RIPOSI GIORNALIERI NEI PARTI PLURIMI
MADRE PADRE
Orario di lavoro Permessi Almeno 6 ore Meno di 6 ore

Almeno 6 ore giornaliere

4 ore 0 ore 0 ore
3 ore 1 ora 1 ora
2 ore 2 ore 2 ore
1 ora 3 ore 3 ore
0 ore 4 ore 4 ore
In astensione facoltativa o obbligatoria 2 ore 1 ora

Meno di 6 ore giornaliere

2 ore 0 ore 0 ore
1 ora 2 ore 1 ora
0 ore 4 ore 2 ore
In astensione facoltativa o obbligatoria 2 ore 1 ora

Tutele anche per le nascite già avvenute
L’estensione del diritto ai riposi al padre nel caso della moglie casalinga è immediatamente operativo anche per le situazioni in essere. Tenuto conto del limite temporale entro il quale è possibile fruire dei riposi giornalieri, qualora non sia ancora decorso il primo anno di vita del bambino (o il primo anno di ingresso in famiglia del minore adottato/affidato), il padre dipendente può beneficiare dei riposi giornalieri fino al termine del suddetto anno, ma non potrà, invece, recuperare in alcun modo le ore di riposo precedentemente godute.
Qualora, invece, il padre dipendente avesse già fruito di

Visite mediche, l’irreperibilita’ costa cara

Visite mediche, l’irreperibilita’ costa cara

VISITE MEDICHE, L’IRREPERIBILITA’ COSTA CARA

La mancata o l’inattesa indicazione dell’indirizzo presso cui è reperibile il lavoratore sul certificato di malattia, comporta la perdita dell’indennità di malattia, per tutte le giornate attestate dalla stessa certificazione. Lo precisa l’Inps nel messaggio n. 22747/2009.

I chiarimenti sono stati sollecitati da una sede territoriale dell’istituto di previdenza. La normativa in materia (illustrata dall’Inps, tra l’altro, nella circolare n. 129/1990) stabilisce che, quando la visita medica di controllo non sia esperibile perché la certificazione medica risulta carente di indirizzo o lo riporti incompleto o inesatto, il lavoratore perde il diritto dell’indennità di malattia fino a quando non venga segnalato l’indirizzo mancante o incompleto o inesatto. Nel quesito, in particolare, si chiedono precisazioni operative sui termini di decorrenza di tale sanzione, termini non indicati dalla normativa, anche al fine di uniformare il comportamento sull’intero territorio nazionale poiché alcune sedi sanzionano l’intero evento di malattia, mentre altre sedi applicano la sanzione soltanto sul singolo certificato oggetto di visita di controllo. La sede Inps interpellante, peraltro, ritiene che, se il lavoratore è sanzionabile in quanto negligente nel non fornire correttamente il proprio indirizzo di reperibilità (e quindi i certificato è da considerarsi mancante di un requisito essenziale, come previsto dalla normativa), la sanzione non possa essere limitata al singolo certificato oggetto di visita medica di controllo, se anche i precedenti manchino dello stesso requisito essenziale.

RISPOSTA DELL’INPS:
L’Inps ricerca la risposta in giurisprudenza. Secondo quanto affermato dalla costante giurisprudenza della corte di cassazione, spiega, l’indicazione dell’esatto indirizzo di reperibilità è un requisito essenziale della certificazione di malattia, in quanto strumentale alla regolare effettuazione delle eventuali visite mediche di controllo. Pertanto, la mancanza o l’inesattezza oppure l’incompletezza dell’indirizzo (purché tale da impedire il reperimento del lavoratore) comporta senz’altro la perdita della prestazione previdenziale per l’intero evento di malattia, o comunque per tutte quelle giornate di malattia attestate da una certificazione priva di requisito in questione. Tuttavia, aggiunge l’Inps, l’applicazione della sanzione secondo queste modalità può non aver luogo solo qualora l’istituto (la sede) sia in grado di reperire altrimenti e agevolmente nei propri archivi il dato mancante (per esempio, da precedenti eventi di malattia o da precedenti accessi domiciliari).
Diversa è l’ipotesi di indicazione di un indirizzo insufficiente per il reperimento del lavoratore, ma uguale a quello riportato sul certificato di residenza: in tal caso, ove si tratti di prima malattia, il lavoratore può essere giustificato sebbene con l’avvertenza che, per eventuali successivi eventi di malattia, dovrà assolutamente indicare l’indirizzo esatto e completo.

DOTT.SSA MONICA MELANI

Influenza A, misure sui luoghi di lavoro

Influenza A, misure sui luoghi di lavoro

INFLUENZA A, MISURE SUI LUOGHI DI LAVORO
Informazione e valutazione dei rischi per prevenire contagi

La sicurezza sul lavoro impone un test sull’influenza A. I datori di lavoro, in particolare, sono tenuti ad aggiornare la valutazione dei rischi per individuare se e per quali lavoratori si rende necessaria la vaccinazione. A raccomandarlo è il ministero del lavoro, in una nota dell’11 settembre, con cui fornisce le linee guida per la riduzione del rischio espositivo nei luoghi di lavoro al nuovo virus A(H1N1). Le imprese, inoltre, sono tenute ad informare i propri dipendenti sulla nuova influenza e a garantire sul posto di lavoro disponibilità di detergenti liquidi, salviettine monouso e mascherine. E se c’è contagio, devono attivare tutte le misure cautelative (compresa una nuova informazione ai dipendenti) per evitare la diffusione tra i lavoratori.

MISURE DA METTERE IN ATTO SUI LUOGHI DI LAVORO:
Nei luoghi di lavoro, spiega il ministero, il rischio di trasmissione dell’influenza (pandemica o stagionale) è in gran parte condizionato dalla condivisione di spazi in ambienti confinati e da attività che espongano a contatto con il pubblico. In ogni caso, in qualsiasi luogo di lavoro è fondamentale il rispetto di elementari norme igieniche quali l’igiene delle mani e l’adozione di comportamenti di buona educazione igienica per limitare le occasioni di contagio attraverso starnuti o colpi di tosse. Le mani vanno lavate frequentemente (ed ogni volta che sia necessario, in particolare dopo aver usati i servizi igienici e prima dei pasti) con acqua e sapone o con soluzioni detergenti a base di alcool (concentrazione 60-90%).
Pertanto sui luoghi di lavoro lavabi e detergenti a base di alcool debbono essere sempre disponibili e facilmente accessibili. Il ministero ricorda che, nel caso di lavaggio con acqua e sapone, va usata acqua calda e le mani insaponate debbono essere strofinate per 15-20 secondi, usando poi asciugamani monouso o asciugatori ad aria calda (da mettere a disposizione nei luoghi di lavoro a cura delle aziende) mentre nel caso di detergenti a base di alcool non va aggiunta acqua e le mani debbono essere strofinate tra loro fino a che non ritornano asciutte. Tutte le informazioni utili alla prevenzione delle infezioni sul luogo di lavoro, aggiungono la linea guida, vanno utilmente illustrate ai lavoratori attraverso poster che mostrino le pratiche appropriate per il lavaggio delle mani e i comportamenti igienici di buona educazione da adottare.

IN CASO DI CONTAGIO:
Ove si dovesse verificare più di un caso confermato, probabile o sospetto di influenza nel periodo di contagiosità, il ministero spiega ai datori di lavoro che occorrerà informare i dipendenti circa la loro possibile esposizione al contagio sul luogo di lavoro, nel rispetto della riservatezza dei dati sensibili (dlgs n. 196/2003). Quindi, bisognerà invitare i dipendenti risultanti esposti a tenere sotto controllo il proprio stato di salute per rilevare la prima comparsa di sintomi sospetti e ricordare opportunamente la necessità di consultare il proprio medico di famiglia in caso di situazioni che potrebbero costituire un maggior rischio di forme gravi e complicate di influenza quali ad esempio: stato di gravidanza, malattie croniche del metabolismo, malattie cardiovascolari, asma, enfisema, etc. Capitolo a parte è riservato dalle linee guida, infine, alle donne in stato di gravidanza, in particolare a quelle al secondo e terzo trimestre di gravidanza, le quali sono a maggior rischio di complicazioni da influenza stagionale.

GLI OBBLGHI PER I DATORI DI LAVORO
Provvedere all’aggiornamento del documento di valutazione dei rischi in relazione al rischio espositivo ad agenti biologici in collaborazione con il medico competente, se presente, prevedendo protocolli per la gestione di dipendenti con sintomi di influenza manifestati sul posto di lavoro.
Verificare vi sia corretta informazione per l’uso di mascherine (in ambiti lavorativi non sanitari)
Identificare, in collaborazione con il medico competente, i dipendenti essenziali al ciclo produttivo da sottoporre a vaccinazione, per garantire il mantenimento delle attività socialmente utili (vedere al riguardo il Piano Nazionale di preparazione e risposta ad una pandemia influenzale)
Verificare i siti del ministero del lavoro e del ministero degli affari esteri per informazioni su specifiche situazioni di rischio in paesi esteri che potrebbero essere mete di trasferte all’estero di dipendenti
Come misura organizzativa, se attuabile, pianificare la possibilità di fruire di assenze che non disincentivino lavoratori a rimanere a casa per prendersi cura in caso di necessità di assistenza di propri familiari ammalati o di figli minorenni in caso di interruzione di attività didattiche per focolai epidemici.

DOTT.SSA MONICA MELANI

Pausa d’obbligo se si lavora al PC

Pausa d’obbligo se si lavora al PC

PAUSA D’OBBLIGO SE SI LAVORA AL PC

CHI OPERA CON IL MONITOR HA DIRITTO A INTERRUZIONI OGNI DUE ORE
Passare al lavoro 20 ore a settimana davanti a un computer basta per aver diritto alla sorveglianza sanitaria. E se il datore di lavoro nega questo diritto è prevista la pena dell’arresto (da 3 a 6 mesi) o quella dell’ammenda da 2.500 a 6.400 euro. All’accertamento delle violazioni non è competente il ministero del lavoro (le direzioni provinciali del lavoro, dpl) ma gli uffici territoriali delle aziende sanitarie locali (Asl) o la procura della repubblica per l’effettuazione delle procedure di controllo. A precisarlo sono le Faq del ministero del lavoro, presenti sul sito internet istituzionale, in risposta a appositi quesiti in tema di sicurezza sul lavoro e attrezzature munite di viedeoterminali.

TUTELA AD HOC PER I VIDEOTERMINALISTI.
Accanto alle norme generali di tutela che si applicano in via ordinaria in ogni luogo di lavoro, il Tu sicurezza prevede disposizioni specifiche quando l’attività lavorativa venga svolta con l’ausilio di attrezzature munite di videoterminali (l’attrezzature più comune e ricorrente è il computer, il pc), ad eccezione dei lavoratori addetti ai posti di guida di veicoli o di macchine, ai sistemi informatici montati a bordo di un mezzo di trasporto, ai sistemi informatici destinati in modo prioritario all’utilizzazione da parte del pubblico, alle macchine calcolatrici, ai registratori di cassa e a tutte le attrezzature munite di un piccolo dispositivo di visualizzazione dei dati o delle misure, necessario all’uso diretto di tale attrezzatura e alle macchine di videoscrittura senza schermo separato. In modo particolare, il Tu sicurezza si preoccupa di disciplinare le attività lavorative svolte mediante l’uso di videoterminali, per tale dovendosi intendere gli schemi alfanumerici o grafici a prescindere dal tipo di procedimento di visualizzazione utilizzato; i posti di lavoro che, nell’insieme, comprende tutte le attrezzature munite di videoterminale, eventualmente con tastiera o altro sistema di immissione dati, incluso il mouse, il software per l’interfaccia uomo-macchina, accessori opzionali, apparecchiature connesse comprendenti l’unità a dischi, il telefono, il modem, la stampante, il supporto per i documenti, la sedia, il piano di lavoro, nonché l’ambiente di lavoro immediatamente circostante.
Variabile fondamentale infine è l’intensità di utilizzo di videoterminali: l’applicazione delle norme specifiche, infatti, riguarda i lavoratori che utilizzano un’attrezzatura munita di videoterminali, in modo sistematico o abituale, per 20 ore settimanali nette (cioè dedotte le interruzioni previste e di cui si dice appresso)

COME LAVORATORE AI VIDEOTERMINALI.
Dunque, perché il lavoratore rientri nella sfera di applicazione delle disposizioni specifiche previste dal Tu a proposito degli addetti a videoterminali è necessario che egli utilizzi per non meno di 20 ore settimanali un’attrezzatura munita di tale video. Questo limite è calcolato al netto delle pause cui ha diritto il lavoratore: quest’ultimo, infatti, ha titolo a un’interruzione dell’attività mediante pause ovvero cambiamento di attività. Le modalità delle predette interruzioni sono stabilite dalla contrattazione collettiva, anche aziendale; in mancanza di un disposizione contrattuale specifica circa le interruzioni, il lavoratore ha comunque diritto a una pausa di 15 minuti ogni 120 minuti di applicazione continuativa al videoterminale.

LE INTERRUZIONI.
Modalità e durata delle interruzioni possono essere stabilite temporaneamente a livello individuale, se il medico competente ne evidenzi la necessità. Resta comunque esclusa la cumulabilità delle interruzioni all’inizio e al termine dell’orario di lavoro. Nel computo dei tempi di interruzione dei tempi di interruzione non sono compresi i tempi di attesa della risposta da parte del sistema elettronico, che sono considerati, a tutti gli effetti, tempo di lavoro, ove il lavoratore non possa abbandonare il posto di lavoro. La pausa è considerata a tutti gli effetti parte integrante dell’orario di lavoro e, come tale, non è riassorbibile all’interno di accordi che prevedono la riduzione dell’orario complessivo di lavoro.

LA SORVEGLIANZA SANITARIA.
I lavoratori addetti ai videoterminali, secondo le precedenti definizioni e limitazioni, sono sottoposti alla sorveglianza sanitaria (la disciplina è dettata all’articolo 41 del T.u.), con particolare riferimento:
a. Ai rischi per la vista e per gli occhi;
b. Ai rischi per l’apparato muscolo – scheletrico,
Sulla base delle risultanze degli accertamenti medici, in conseguenza della predetta sorveglianza
sanitaria, i lavoratori vengono classificati dal medico competente in uno dei seguenti giudizi relativi alla mansione svolta:
a) Idoneità;
b) Idoneità parziale, temporanea o permanente, con prescrizioni o limitazioni;
c) Idoneità temporanea;
d) Idoneità permanente;

Salvi i casi particolari che richiedono una frequenza diversa stabilita dal medico competente, la periodicità delle visite di controllo è biennale per i lavoratori classificati come idonei con prescrizioni o limitazioni (punto b precedente) e per quelli che abbiano compiuto il cinquantesimo anno di età; la periodicità è quinquennale negli altri casi. Per i casi di inidoneità temporanea il medico competente stabilisce il termine per la successiva visita di idoneità.
Il lavoratore, inoltre, ha diritto a essere sottoposto a visita di controllo, dietro sua richiesta, qualora la stessa sia ritenuta dal medico competente correlata ai rischi professionali o alle sue condizioni di salute, suscettibili di peggioramento a causa dell’attività lavorativa svolta, al fine di esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica.
Infine, il datore di lavoro è tenuto a fornire a sue spese ai lavoratori tutti i dispositivi speciali di correzione visiva, in funzione dell’attività svolta, quando l’esito delle visite mediche ne evidenziano la necessità e non sia possibile utilizzare i dispositivi normali di correzione.

DOTT.SSA MONICA MELANI

LE SANZIONI PER DATORI E DIRIGENTI
Arresto da 3 a 6 mesi o con ammenda da 2.500 fino a 6.400 euro
· Non adottare le misure appropriate per ovviare ai rischi riscontrati in base alla valutazione dei rischi (datore di lavoro)
· Non organizzare né predisporre i posti di lavoro in conformità ai requisiti minimi di legge (datore i lavoro)
· Non garantire al lavoratore il diritto a un’interruzione della sua attività mediante pause ovvero cambiamento di attività; oppure a una pausa di 15 minuti ogni 120 minuti (2 ore) di applicazione continuativa al videoterminale
· Non sottoporre i lavoratori alla sorveglianza sanitaria con riferimento ai rischi per la vista e per gli occhi; ai rischi per l’apparato muscolo-scheletrico
· Non garantire la periodicità minima delle visite di controllo per i lavoratori
· Non sottoporre a visita di controllo il lavoratore a sua richiesta
· Violare i requisiti di sicurezza relativi alle attrezzature munite di videoterminali
Arresto da 2 a 4 mesi o l’ammenda da 750 a 4.000 euro
· Non fornire, a proprie spese, ai lavoratori i dispositivi speciali di correzione visiva, in funzione dell’attività svolta,quando l’esito delle visite di controllo ne evidenzi la necessità e non sia possibile utilizzare i dispositivi normali di correzione (datore di lavoro)
· Non fornire ai lavoratori informazioni circa le misure applicabili al posto di lavoro, le modalità di svolgimento dell’attività e protezione degli occhi e della vista
· Non assicurare ai lavoratori una formazione adeguata

ATTENZIONE A SEDIE, TASTIERE E MOUSE

I computer portatili? Non sono sicuri se utilizzati senza schermo e senza tastiera esterna. Serve una miriade di controlli per garantire la sicurezza ai lavoratori. Partiamo dallo schermo. La risoluzione deve essere tale da garantire una buona definizione, una forma chiara, una grandezza sufficiente dei caratteri e, inoltre, uno spazio adeguato tra essi. L’immagine sullo schermo deve essere stabile; esente da farfallamento, tremolio o da altre forme di instabilità. La brillanza e/o il contrasto di luminanza tra i caratteri e lo sfondo dello schermo devono essere facilmente regolabili da parte dell’utilizzatore del videoterminale e facilmente adattabili alle condizioni ambientali. Ancora, lo schermo deve essere orientabile e inclinabile liberamente per adeguarsi facilmente alle esigenze dell’utilizzatore. È possibile utilizzare un sostegno separatorio per lo schermo o un piano regolabile. Sullo schermo non devono essere presenti riflessi e riverberi che possano causare disturbi all’utilizzatore durante lo svolgimento della propria attività. Passiamo alla testiera e mouse. La tastiera deve essere separata dallo schermo e facilmente regolabile e dotata di meccanismo di variazione della pendenza onde consentire al lavoratore di assumere una posizione confortevole e tale da non provocare l’affaticamento delle braccia e delle mani. Lo spazio sul piano di lavoro deve consentire un appoggio degli avambracci davanti la tastiera nel corso della digitazione, tenendo conto delle caratteristiche antropometriche dell’operatore. La tastiera deve avere una superficie opaca onde evitare riflessi. Il mouse o qualsiasi dispositivo di puntamento deve essere posto sullo stesso piano della tastiera, in posizione facilmente raggiungibile e disporre di uno spazio adeguato per il suo uso. E il piano di lavoro? Il piano di lavoro deve avere una superficie a basso indice di riflessione, essere stabile, di dimensioni sufficienti a permettere una disposizione flessibile dello schermo, della tastiera, dei documenti e del materiale accessorio. L’altezza del piano di lavoro fissa o regolabile deve essere indicativamente compresa tra i 70 e 80 cm. Lo spazio a disposizione deve permettere l’alloggiamento e il movimento degli arti inferiori, nonché l’ingresso del sedile e dei braccioli se presenti. La profondità del piano di lavoro deve essere tale da assicurare una adeguata distanza visiva dallo schermo. Il supporto per i documenti deve essere stabile e regolabile e deve essere collocato in modo tale da ridurre al minimo i movimenti della testa e degli occhi.
Dulcis in fundo il software: deve essere adeguato alla mansione da svolgere; di facile uso adeguato al livello di conoscenza e di esperienza dell’utilizzatore e deve essere strutturato in modo tale da fornire ai lavoratori indicazioni comprensibili sul corretto svolgimento dell’attività.

  • Cosa è tenuto a fare il datore di lavoro. Il datore di lavoro, all’atto della valutazione del rischio complessivamente riferita alla sua azienda, è tenuto ad analizzare i posti di lavoro con particolare riguardo ai rischi per la vista e per gli occhi; ai problemi legati alla postura e all’affaticamento fisico o mentale; alle condizioni ergonomiche e di igiene ambientale. Di conseguenza, inoltre, è tenuto ad adottare le misure appropriate per ovviare ai rischi riscontrati in base alle valutazioni, tenendo conto della somma ovvero della combinazione della incidenza dei rischi riscontrati. Il datore di lavoro, ancora, è tenuto a organizzare e predisporre i posti di lavoro in conformità ai requisiti minimi previsti dal T.u. sicurezza. Infine, il datore di lavoro è tenuto a fornire ai lavoratori informazioni, in particolare per quanto riguarda le misure applicabili al posto di lavoro, le modalità di svolgimento dell’attività e la protezione degli occhi e della vista, e ad assicurare ai lavoratori medesimi una formazione adeguata.
  • La formazione sposa la flessibilita’

    La formazione sposa la flessibilita’

    LA FORMAZIONE SPOSA LA FLESSIBILITA’

    Più flessibilità nei fondi interprofessionali per la formazione continua. L’impresa può decidere anche in corso di anno se appartenere a un fondo piuttosto che a un altro, come può ora aderire e revocare l’iscrizione in qualsiasi momento. Le novità, già in vigore, sono state introdotte dal dl n. 185/2008 e illustrate nei dettagli operativi dall’Inps con la circolare n. 107/2009.

    I FONDI INTERPROFESSIONALI.
    I fondi paritetici interprofessionali nazionali per la formazione continua sono organismi di natura associativa promossi dalle organizzazioni di rappresentanza delle parti sociali attraverso specifici accordi interconfederali stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori maggiormente rappresentative sul piano nazionale. Possono essere istituiti fondi paritetici per ciascuno dei settori economici dell’industria, dell’agricoltura, del terziario e dell’artigianato; gli accordi interconfederali possono prevedere l’istituzione di fondi anche per settori diversi, nonché, all’interno degli stessi, la costituzione di un’apposita sezione per la formazione dei dirigenti. Nel corso dell’anno 2003, con l’istituzione dei primi dieci fondi, si realizza quanto previsto dalla legge 388/2000, che consente alle imprese di destinare la quota dello 0,30% dei contributi versati all’Inps (il cosiddetto “contributo obbligatorio per la disoccupazione involontaria”) alla formazione dei propri dipendenti. I datori di lavoro possono, infatti, chiedere all’Inps di trasferire il contributo a uno dei fondi paritetici interprofessionali, che provvederà a finanziare le attività formative per i lavoratori delle imprese aderenti.
    I fondi fino ad oggi costituiti e autorizzati, rappresentativi di una larga parte del mondo delle imprese e dia lavoratori, sono indicati in tabella, unitamente ai codici utili per l’adesione. In sostanza, dunque, i fondi paritetici finanziano piani formativi aziendali, settoriali e territoriali, che le imprese in forma singola o associata decideranno di realizzare per i propri dipendenti. Oltre a finanziare, in tutto o in parte, i piani formativi aziendali, settoriali e territoriali, con le modifiche introdotte dalla legge n. 289/2002, i fondi possono finanziare anche i piani formativi individuali, nonché ulteriori attività propedeutiche o comunque connesse alle iniziative formative.

    LA FORMAZIONE LA FINANZIANO LE IMPRESE.
    Come accennato, i fondi interprofessionali sono finanziati attraverso le risorse derivanti dal gettito dell’apposito contributo integrativo (previsto dall’articolo 25, quarto comma, della legge n. 845/1978), nella misura dello 0,30%, che i datori di lavoro sceglieranno, con le modalità di seguito indicate, di far canalizzare verso uno dei costituiti Fondi. Al predetto contributo sono obbligati tutti i datori di lavoro; l’adesione al Fondo è facoltativa e per i datori di lavoro che non aderiscono ad alcun fondo resterà comunque fermo l’obbligo di versare all’Inps il contributo integrativo. In particolare, per favorire l’avvio dell’operatività dei Fondi, è stata prevista la fase transitoria durante la quale è dato utilizzare una parte delle risorse destinate, negli anni 2003 e 2003, al fondo rotazione. Dall’anno 2004, i Fondi vengono finanziati esclusivamente attraverso il predetto gettito contributivo.

    FONDI PIU’ FLESSIBILI.
    Le nuove norme del dl n. 185/2008 (convertito dalla legge n. 2/2009) e dalla legge n. 33/2009 incidono sulla disciplina che regola il funzionamento dei fondi interprofessionali, sul fronte delle adesioni/revoche e degli effetti finanziari che da queste conseguono, anche in termini di modalità tra i fondi medesimi.
    Circa le modalità di adesione/revoca, l’Inps ha deciso di utilizzare la denuncia contributiva (Dm10) come strumento di comunicazione delle adesioni e/o revoche (da gennaio 2010 l’Uniemens). La nuova formulazione della norma supera implicitamente la precedente impostazione che, nel fissare al 31 ottobre di ogni anno il termine per esprimere le adesioni e/o le revoche, stabiliva che gli effetti delle stesse decorressero dall’1 gennaio dell’anno successivo. Pertanto, l’Inps ritiene ora di: consentire alle aziende l’utilizzo della denuncia contributiva (Dm10) come strumento di comunicazione di adesioni, revoche dai fondi e/o revoche con contestuale trasferimento ad altro fondo, in continuità con la prassi sino a oggi utilizzata; fare esercitare le scelte durante l’intero anno solare; far decorrere gli effetti di queste ultime dal periodo di paga (mese di competenza del Dm10) nel quale le stesse vengono indicate, e non più dal 1 gennaio dell’anno successivo (in caso di tardiva trasmissione della denuncia telematica, viene presa in considerazione la data di effettivo inoltro).

    MOBILITA’ TRA FONDI INTERPROFESSIONALI.
    La principale novità legislativa riguarda la mobilità tra fondi interprofessionali. La legge introduce, infatti, per le aziende interessate, la possibilità di trasferire al nuovo fondo il 70% del totale delle somme confluite nel triennio antecedente al fondo in precedenza scelto, al netto dell’ammontare eventualmente già utilizzato per il finanziamento dei propri piani formativi.

    Detta possibilità trova, tuttavia, le seguenti limitazioni di legge: il trasferimento delle risorse non può riguardare le aziende che, in ciascuno dei tre anni precedenti, rispondono alla definizione comunitaria di micro e piccole imprese di cui alla raccomandazione dell’Unione europea n. 2003/361/Ce; l’importo da trasferire deve essere almeno pari a 3 mila euro; le quote oggetto di trasferimento non possono essere riferite a periodi antecedenti al 1° gennaio 2009.

    MODALITA’ OPERATIVE.
    Ai fini delle adesioni/revoche dunque è confermata la prassi in uso (in tabella i codici di adesione da indicare sul Dm10). Le aziende interessate alla mobilità tra fondi devono attenersi alle seguenti modalità: comunicare la revoca del precedente Fondo, utilizzando i già citati codici “Revo” e/o “Redi”; inserire, contestualmente, il codice del nuovo Fondo al quale intendono trasferirsi. Non possono in alcun modo essere prese in considerazione modifiche di adesioni a fondi che non siano accompagnate da espresse e contestuali indicazioni di revoca. Nei casi di mobilità tra fondi, l’Inps attribuirà al nuovo fondo prescelto le risorse economiche a partire dal periodo di paga (mese di competenza del Dm10) nel quale la mobilità viene indicata.

    DOTT.SSA MONICA MELANI

    Lavoratori WEB, meno controlli

    Lavoratori WEB, meno controlli

    LAVORATORI E WEB, MENO CONTROLLI

    MONITORARE I SITI VISITATI E’ UNA ILLECITA VERIFICA A DISTANZA

    Il controllo sistematico e continuo dei siti internet visitati dai lavoratori è un illecito controllo a distanza. Viola la privacy e contrasta con lo statuto dei lavoratori, proprio in quanto realizzato con sistematicità e per lungo tempo. Questo il principio formulato dal garante della privacy, accogliendo il reclamo di un lavoratore, dipendente di una società, che ha monitorato per nove mesi la navigazione on-line la postazione di un suo dipendente attraverso un software di memorizzare in “chiaro”, tra l’altro, le pagine e i siti web visitati, il numero di connessioni, il tempo trascorso sulle singole pagine.
    Il provvedimento (di cui dà notizia la newsletter 328 del garante del 22 settembre 2009) ripropone la questione dei limiti dei controlli sui lavoratori.
    In materia il garante ha elaborato linee guida, che il datore di lavoro deve applicare con completezza. Tuttavia non si deve ritenere che i controlli sull’uso delle postazioni internet siano sempre e comunque vietati. Lo stesso garante nelle sue linee guida subordina la liceità dei controlli a una serie di presupposti: elaborazione di un regolamento aziendale, informativa al lavoratore sulle modalità di utilizzo dei computer e degli elaborati e della posta elettronica, informativa sulle modalità di controllo e soprattutto programmazione di controlli graduali (prima impersonali per unità produttiva e solo quando non è possibile altrimenti risolvere l’inconveniente, allora, controlli sulle singole impostazioni).
    Nel caso specifico il datore di lavoro, bacchettato dal garante, si è preoccupato di una sola cosa e cioè fornire le istruzioni sull’uso della posta elettronica e di internet, sottoscritte dai dipendenti per presa visione e accettazione.
    Tuttavia è risultato che lo stesso datore di lavoro ha installato un software che traccia sistematicamente e continuativamente gli accessi ad Internet, con la conseguente memorizzazione di tutte le pagine web. Questo costituisce violazione dell’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori, che vieta l’impiego di apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori.

    È risultato, anche, che la società non ha neanche effettuato le trattative sindacali, sempre previste dall’articolo 4 citato, nel caso di installazione di software necessario per esigenze organizzative e produttive. A ciò si aggiunga la sovrabbondanza di registrazioni (effettuate per ben nove mesi) in violazione del principio di non eccedenza previsto dal Codice della privacy (articolo 11). Da qui il blocco del trattamento da parte del garante.
    Si noti, però, che il provvedimento non vieta in maniera assoluta il controllo sui siti internet visitati dal lavoratore se estranei alle mansioni svolte: occorre, però, rispettare le condizioni previste dalle sopra riportate linee guida e occorre altresì attivare la trattativa sindacale prevista dall’articolo 4 della legge 300/1970. Si ricorda a quest’ultimo proposito che in mancanza di accordo ci si deve rivolgere alla Direzione provinciale del lavoro e ottenere il benestare. In ogni caso ciò che il garante ha voluto colpire è stato anche la continuità, la sistematicità e quindi la invasività del monitoraggio.

    TELECAMERE E BULLISMO

    Con altri due provvedimenti il garante si è occupato di telecamere e bullismo a scuola e di dati biometrici nei luoghi di lavoro.
    Con la prima pronuncia il garante ha stabilito che contro teppismo e atti vandalici nelle scuole le telecamere possono rappresentare uno strumento di prevenzione e deterrenza, ma vanno rispettate precise condizioni a tutela di ragazzi, docenti e personale scolastico. Le telecamere devono riprendere esclusivamente le mura esterne e funzionare solo negli orari di chiusura degli istituti.
    Quando ai dati biometrici il garante ha vietato l’uso, in forma centralizzata, dei dati biometrici raccolti da un importante centro orafo e ha imposto alla società che gestisce la struttura di adeguare anche il sistema di videosorveglianza e gli altri trattamenti dei dati personali alla normativa sulla privacy.
    Il garante ha indicato eventuali misure alternative per l’identificazione delle persone: ad esempio, attraverso l’uso di un codice numerico tratto dalle impronte digitali, registrato solo su una smart card in possesso esclusivo del singolo utente.

    DOTT.SSA MONICA MELANI

    Voucher, denunce per telefono

    Voucher, denunce per telefono

    VOUCHER, DENUNCE PER TELEFONO

    A partire dal 23.09.2009 i committenti di lavoro accessorio possono effettuare la comunicazione preventiva all’Inail (la dna) anche tramite call center (al numero 803.164 del Contac center Inps-Inail). Ne dà notizia l’istituto assicuratore nella nota protocollo n. 8625 del 22.09.2009.

    VOUCHER A MAGLIE PIU’ LARGHE.

    L’implementazione arriva in risposta ai recenti interventi normativi che hanno ampliato la platea si soggetti interessati dal lavoro accessorio, sia sotto il profilo soggettivo che oggettivo. Infatti, queste prestazioni, che inizialmente erano previste come attività lavorative occasionali svolte da soggetti a rischio di esclusione sociale o, comunque, non ancora entrati nel mercato del lavoro o in procinto di uscirne, sono oggi praticamente accessibili da tutti i lavoratori e non più soltanto dalla categoria di “soggetti deboli”.

    DNA AL TELEFONO.

    Dal 7 settembre, l’Inail ha predisposto un’apposita procedura telematica per l’acquisizione delle denunce nominative (dna) al fine di semplificare gli adempimenti all’utenza. I committenti, di prestazioni accessorie, infatti, hanno l’obbligo di comunicare all’Inail, prima dell’inizio della prestazione, i dati relativi al luogo e al periodo della prestazione,nonché i dati anagrafici propri e relativi al prestatore, anche in caso di variazioni del periodo di lavoro (per cessazione o modifica del periodo).
    Nella nota si legge che l’Inail, in considerazione dell’esigenza di potenziare ulteriormente i canali di comunicazione delle denunce (on-line, Call center integrato, fax) e comunque nell’ottica di una semplificazione degli adempimenti ai committenti, ha attivato un’applicazione telematica che permette agli operatori del Contac center di accedere alla procedura relativa alla comunicazione preventiva ed alle eventuali, successive variazioni.

    La novità consentirà ai committenti di lavoro occasionale accessorio, a decorrere dal 23 settembre 2009, di rivolgersi direttamente agli operatori del Contac center integrato Inps-Inail, raggiungibile al numero 803.164 nei consueti orari di servizio, al fine di effettuare, per il loro tramite, la comunicazione preventiva e le successive variazioni dei dati relativi alle prestazioni occasionali accessorie.

    DOTT.SSA MONICA MELANI

    Rls, comunicazione una-tantum

    Rls, comunicazione una-tantum

    RLS, COMUNICAZIONI UNA TANTUM

    Via libera alla comunicazione dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (Rls). Con circolare n. 43, ieri l’Inail ha fornito le istruzioni operative per adempiere all’obbligo in base alle modifiche introdotte dal correttivo al T.u. sicurezza (DLgs n. 106/2009 di modifica del DLgs n. 81/2008). Tra le novità, la comunicazione diventa una tantum fino a modifiche (non ha più cadenza annuale), e non è più dovuta dalle aziende in cui non sia presente un Rls. Resta in stand-by, invece la comunicazione dei rappresentanti territoriali (Rlst) su cui l’Inail fa riserva di successive istruzioni.

    La comunicazione. L’obbligo è stato introdotto dal T.u. sicurezza con cadenza annuale il cui termine era fissato al 16 Agosto scorso. Tuttavia poiché il correttivo ha modificato in più parti l’adempimento, la scadenza è stata sospesa rinviando la decorrenza dell’obbligo alle nuove (e ora pronte) istruzioni dell’Inail. L’adempimento è disciplinato dall’articolo 18 del T.u. La norma stabilisce che il datore di lavoro e i dirigenti che organizzano e dirigono attività secondo attribuzioni e competenze loro conferite, sono tenuti a comunicare all’Inail (all’Ipsema per il settore marittimo) i nominativi dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza.

    Soggetti obbligati. Rientrano nell’obbligo della comunicazione tutti i datori di lavoro (ovvero i dirigenti, se delegati) di qualsiasi settore privato o pubblico. Sono escluse le amministrazioni, gli istituti e le organizzazioni individuate dall’articolo 3, commi 2 e 3-bis (forze armate, vigili del fuoco, cooperative sociali ecc.) del T.u.

    Chi, quando e come. In via di principio, l’adempimento è dovuto in occasione di nomina di uno o più Rls. Al riguardo, l’Inail evidenzia che tale elezione non costituisce un obbligo per il datore di lavoro ma una facoltà dei lavoratori, ai quali e solo ai quali spetta dunque di esercitarla. In sede di prima applicazione, l’adempimento riguarda i nominativi dei Rls già eletti o designati. L’Inail spiega che nessun obbligo ricade sulle aziende che non hanno Rls eletti; in tal caso, l’obbligo scatterà alla prima nomina o designazione. Per le aziende o unità produttive in cui già sia presente un Rls, invece, l’adempimento va osservato se non già adempiuto in base alla vecchia procedura, per essere ripetuto in occasione di modifiche (per chi ha già fatto la denuncia, le modifiche rilevano dal 1° Gennaio 2009, poiché il vecchio adempimento riguardava la situazione in essere al 31 Dicembre 2008).
    La denuncia va fatta on-line sul sito dell’Inail (www.inail.it), al quale occorre essere registrati. Eccezionalmente, è consentito inviare la denuncia anche via fax al numero 800657657

    I CODICI PER ADERIRE
    FONDO CAMPO DI APPLICAZIONE ADESIONE (1)
    Fondo Artigianato Formazione Imprese artigiane FART
    Foncoop Imprese cooperative FCOP
    For.te Commercio, turismo, servizi, credito, assicurazione, trasporto FITE
    Fondimpresa Imprese industriali FIMA
    Fondo Formazione Pmi Pmi industriali FAPI
    Fon.Ter Turismo e distribuzione servizi FTUS
    Fondirigenti Dirigenti industriali FDIR
    LA COMUNICAZIONE
    L’ADEMPIMENTO Comunicazione all’Inail dei nominativi dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (Rls). Resta ancora in stand-by la comunicazione dei rappresentanti territoriali (Rlst)
    LA NOVITA’ Il T.u. aveva dato cadenza annuale all’adempimento. Il correttivo ha previsto invece che la comunicazione va effettuata solo in caso di nuova elezione o designazione.
    PRIMO APPUNTAMENTO In caso di prima applicazione del correttivo (dlgs n. 106/2009), l’obbligo di comunicazione riguarda i nominativi dei Rls già eletti o designati
    ISTRUZIONI OPERATIVE Aziende o unità produttive in cui SIA presente uno o più Rls:
    · Se la comunicazione è già stata fatta (la vecchia scadenza era fissata al 16 agosto, poi sospesa, con riferimento alla situazione al 31 dicembre 2008), non è necessario fare nuovamente la comunicazione salvo che, dal 1° gennaio 2009, non siano intervenute variazioni;
    · Se la comunicazione non è stata fatta è necessario farla secondo le nuove modalità.
    Aziende o unità produttive in cui NON SIA presente uno o più Rls:
    · La comunicazione non è dovuta: l’obbligo scatterà in occasione della prima elezione o designazione del Rls.
    SANZIONE La mancata comunicazione è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 50 a 300.

    DOTT.SSA MONICA MELANI

    Amministratore di sistema, outsourcing a due via

    Amministratore di sistema, outsourcing a due via

    AMMINISTRATORI DI SISTEMA, OUTSOURCING A DUE VIE

    Contratti ad hoc o nomina di responsabili esterni per avere in outsourcing il servizio di amministrazione del sistema. E controllo sui singoli tecnici affidato ai gestori esterni.
    Sono le novità previste dal provvedimento del garante del 25 giugno 2009, che ha modificato il provvedimento del 27 novembre 2008 recante prescrizioni ai titolari dei trattamenti effettuati con strumenti elettronici relativamente alle attribuzioni di amministratore di sistema e che ha prorogato i termini per il loro adempimento al 15 dicembre 2009.
    La proroga (il termine originario era il 30 giugno 2009) è stata ritenuta necessaria per dare tempo di adeguarsi alle modifiche introdotte.
    Modifiche che toccano soprattutto il caso in cui il servizio di amministratore di sistema è affidato in outsourcing a un operatore esterno, magari di grandi dimensioni, che si avvale di numerosi addetti con funzione di amministratore di sistema.
    Il provvedimento del garante indicava una sola forma di nomina dell’amministratore di sistema e cioè la nomina individuale di una persona fisica. La nomina, persona per persona, se è semplice in una piccola organizzazione, diventa oggettivamente complicata quando ci si rivolge a una società esterna che ha un numero alto di dipendenti.
    Secondo il provvedimento nella versione originaria bisognava lo stesso osservare la regola della nomina individuale, anche se non vi era nessuna garanzia di scelta effettiva da parte del titolare del trattamento, pur responsabile dell’operato dell’amministratore di sistema e tenuto al controllo della attività di quest’ultimo.
    Nel testo modificato del provvedimento è stato inserito, il n. 3-bis, con il quale il garante dispone che l’eventuale attribuzione al responsabile del compito di dare attuazione alle prescrizioni di conservazione dei nominativi delle persone fisiche amministratori di sistema e di monitoraggio sulle stesse avvenga nell’ambito della designazione del responsabile da parte del titolare del trattamento, ai sensi dell’articolo 29 del Codice della privacy, o anche tramite opportune clausole contrattuali.
    In sostanza il titolare del trattamento (impresa, ente pubblico, professionista) nominano amministratore di sistema un soggetto esterno (ad esempio la società di grosse dimensioni) e vi sono due possibilità: o il soggetto esterno è nominato responsabile del trattamento oppure si stipulano con lo stesso “opportune clausole contrattuali”.
    Se il soggetto esterno è nominato responsabile del trattamento, allora, in questa veste terrà l’elenco delle persone fisiche che svolgono in concreto le attività di amministratore di sistema e ne controllerà l’operato; se il soggetto non è nominato responsabile del trattamento, comunque, occorrono clausole e impegni contrattuali, che obblighino il soggetto esterno a tenere l’elenco delle persone fisiche, che svolgono in concreto le attività di amministratore di sistema, e a effettuare vigilanza e monitoraggio sulle stesse.
    Insomma, se si nomina una società esterna responsabile del trattamento o se si stipula un contratto di amministrazione di sistema, i compiti (conservazione elenchi e controlli periodici) sono assegnati al soggetto esterno. Occorre, però, appunto fare una nomina di responsabile del trattamento ad hoc o stipulare clausole contrattuali apposite. Questi adempimenti iniziali permangono sempre (peraltro sono compiti ragionevoli perché in sostanza si fa “entrare qualcuno in casa propria” e occorre prendere tutte le cautele del caso).

    Con un altro intervento si elimina l’obbligo di inserire nel documento programmatico sulla sicurezza gli estremi identificativi delle persone fisiche amministratori di sistema, con l’elenco delle funzioni ad essi attribuite: è sufficiente che tali informazioni siano riportate in un documento interno da mantenere aggiornato e disponibile in caso di accertamenti da parte del Garante.
    Inoltre si consente di rendere nota o conoscibile ai propri dipendenti l’identità degli amministratori di sistema tramite “procedure formalizzate a istanza del lavoratore”. Questo significa che sarà il lavoratore a chiedere l’informativa e il datore di lavoro sarà tenuto a fornirla. In sostanza si trasforma l’informativa da tradizionale “atto” ad “attività” obbligatoria per il titolare del trattamento.

    DOTT.SSA MONICA MELANI