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CONSULENZA DEL LAVORO E SINDACALE

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Categoria: Circolari

Rls, comunicazione una-tantum

Rls, comunicazione una-tantum

RLS, COMUNICAZIONI UNA TANTUM

Via libera alla comunicazione dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (Rls). Con circolare n. 43, ieri l’Inail ha fornito le istruzioni operative per adempiere all’obbligo in base alle modifiche introdotte dal correttivo al T.u. sicurezza (DLgs n. 106/2009 di modifica del DLgs n. 81/2008). Tra le novità, la comunicazione diventa una tantum fino a modifiche (non ha più cadenza annuale), e non è più dovuta dalle aziende in cui non sia presente un Rls. Resta in stand-by, invece la comunicazione dei rappresentanti territoriali (Rlst) su cui l’Inail fa riserva di successive istruzioni.

La comunicazione. L’obbligo è stato introdotto dal T.u. sicurezza con cadenza annuale il cui termine era fissato al 16 Agosto scorso. Tuttavia poiché il correttivo ha modificato in più parti l’adempimento, la scadenza è stata sospesa rinviando la decorrenza dell’obbligo alle nuove (e ora pronte) istruzioni dell’Inail. L’adempimento è disciplinato dall’articolo 18 del T.u. La norma stabilisce che il datore di lavoro e i dirigenti che organizzano e dirigono attività secondo attribuzioni e competenze loro conferite, sono tenuti a comunicare all’Inail (all’Ipsema per il settore marittimo) i nominativi dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza.

Soggetti obbligati. Rientrano nell’obbligo della comunicazione tutti i datori di lavoro (ovvero i dirigenti, se delegati) di qualsiasi settore privato o pubblico. Sono escluse le amministrazioni, gli istituti e le organizzazioni individuate dall’articolo 3, commi 2 e 3-bis (forze armate, vigili del fuoco, cooperative sociali ecc.) del T.u.

Chi, quando e come. In via di principio, l’adempimento è dovuto in occasione di nomina di uno o più Rls. Al riguardo, l’Inail evidenzia che tale elezione non costituisce un obbligo per il datore di lavoro ma una facoltà dei lavoratori, ai quali e solo ai quali spetta dunque di esercitarla. In sede di prima applicazione, l’adempimento riguarda i nominativi dei Rls già eletti o designati. L’Inail spiega che nessun obbligo ricade sulle aziende che non hanno Rls eletti; in tal caso, l’obbligo scatterà alla prima nomina o designazione. Per le aziende o unità produttive in cui già sia presente un Rls, invece, l’adempimento va osservato se non già adempiuto in base alla vecchia procedura, per essere ripetuto in occasione di modifiche (per chi ha già fatto la denuncia, le modifiche rilevano dal 1° Gennaio 2009, poiché il vecchio adempimento riguardava la situazione in essere al 31 Dicembre 2008).
La denuncia va fatta on-line sul sito dell’Inail (www.inail.it), al quale occorre essere registrati. Eccezionalmente, è consentito inviare la denuncia anche via fax al numero 800657657

LA COMUNICAZIONE
L’ADEMPIMENTO Comunicazione all’Inail dei nominativi dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (Rls). Resta ancora in stand-by la comunicazione dei rappresentanti territoriali (Rlst)
LA NOVITA’ Il T.u. aveva dato cadenza annuale all’adempimento. Il correttivo ha previsto invece che la comunicazione va effettuata solo in caso di nuova elezione o designazione.
PRIMO APPUNTAMENTO In caso di prima applicazione del correttivo (dlgs n. 106/2009), l’obbligo di comunicazione riguarda i nominativi dei Rls già eletti o designati
ISTRUZIONI OPERATIVE Aziende o unità produttive in cui SIA presente uno o più Rls:
· Se la comunicazione è già stata fatta (la vecchia scadenza era fissata al 16 agosto, poi sospesa, con riferimento alla situazione al 31 dicembre 2008), non è necessario fare nuovamente la comunicazione salvo che, dal 1° gennaio 2009, non siano intervenute variazioni;
· Se la comunicazione non è stata fatta è necessario farla secondo le nuove modalità.
Aziende o unità produttive in cui NON SIA presente uno o più Rls:
· La comunicazione non è dovuta: l’obbligo scatterà in occasione della prima elezione o designazione del Rls.
SANZIONE La mancata comunicazione è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 50 a 300.

DOTT.SSA MONICA MELANI

Amministratore di sistema, outsourcing a due via

Amministratore di sistema, outsourcing a due via

AMMINISTRATORI DI SISTEMA, OUTSOURCING A DUE VIE

Contratti ad hoc o nomina di responsabili esterni per avere in outsourcing il servizio di amministrazione del sistema. E controllo sui singoli tecnici affidato ai gestori esterni.
Sono le novità previste dal provvedimento del garante del 25 giugno 2009, che ha modificato il provvedimento del 27 novembre 2008 recante prescrizioni ai titolari dei trattamenti effettuati con strumenti elettronici relativamente alle attribuzioni di amministratore di sistema e che ha prorogato i termini per il loro adempimento al 15 dicembre 2009.
La proroga (il termine originario era il 30 giugno 2009) è stata ritenuta necessaria per dare tempo di adeguarsi alle modifiche introdotte.
Modifiche che toccano soprattutto il caso in cui il servizio di amministratore di sistema è affidato in outsourcing a un operatore esterno, magari di grandi dimensioni, che si avvale di numerosi addetti con funzione di amministratore di sistema.
Il provvedimento del garante indicava una sola forma di nomina dell’amministratore di sistema e cioè la nomina individuale di una persona fisica. La nomina, persona per persona, se è semplice in una piccola organizzazione, diventa oggettivamente complicata quando ci si rivolge a una società esterna che ha un numero alto di dipendenti.
Secondo il provvedimento nella versione originaria bisognava lo stesso osservare la regola della nomina individuale, anche se non vi era nessuna garanzia di scelta effettiva da parte del titolare del trattamento, pur responsabile dell’operato dell’amministratore di sistema e tenuto al controllo della attività di quest’ultimo.
Nel testo modificato del provvedimento è stato inserito, il n. 3-bis, con il quale il garante dispone che l’eventuale attribuzione al responsabile del compito di dare attuazione alle prescrizioni di conservazione dei nominativi delle persone fisiche amministratori di sistema e di monitoraggio sulle stesse avvenga nell’ambito della designazione del responsabile da parte del titolare del trattamento, ai sensi dell’articolo 29 del Codice della privacy, o anche tramite opportune clausole contrattuali.
In sostanza il titolare del trattamento (impresa, ente pubblico, professionista) nominano amministratore di sistema un soggetto esterno (ad esempio la società di grosse dimensioni) e vi sono due possibilità: o il soggetto esterno è nominato responsabile del trattamento oppure si stipulano con lo stesso “opportune clausole contrattuali”.
Se il soggetto esterno è nominato responsabile del trattamento, allora, in questa veste terrà l’elenco delle persone fisiche che svolgono in concreto le attività di amministratore di sistema e ne controllerà l’operato; se il soggetto non è nominato responsabile del trattamento, comunque, occorrono clausole e impegni contrattuali, che obblighino il soggetto esterno a tenere l’elenco delle persone fisiche, che svolgono in concreto le attività di amministratore di sistema, e a effettuare vigilanza e monitoraggio sulle stesse.
Insomma, se si nomina una società esterna responsabile del trattamento o se si stipula un contratto di amministrazione di sistema, i compiti (conservazione elenchi e controlli periodici) sono assegnati al soggetto esterno. Occorre, però, appunto fare una nomina di responsabile del trattamento ad hoc o stipulare clausole contrattuali apposite. Questi adempimenti iniziali permangono sempre (peraltro sono compiti ragionevoli perché in sostanza si fa “entrare qualcuno in casa propria” e occorre prendere tutte le cautele del caso).

Con un altro intervento si elimina l’obbligo di inserire nel documento programmatico sulla sicurezza gli estremi identificativi delle persone fisiche amministratori di sistema, con l’elenco delle funzioni ad essi attribuite: è sufficiente che tali informazioni siano riportate in un documento interno da mantenere aggiornato e disponibile in caso di accertamenti da parte del Garante.
Inoltre si consente di rendere nota o conoscibile ai propri dipendenti l’identità degli amministratori di sistema tramite “procedure formalizzate a istanza del lavoratore”. Questo significa che sarà il lavoratore a chiedere l’informativa e il datore di lavoro sarà tenuto a fornirla. In sostanza si trasforma l’informativa da tradizionale “atto” ad “attività” obbligatoria per il titolare del trattamento.

DOTT.SSA MONICA MELANI

La tutela dell’handicap

La tutela dell’handicap

LA TUTELA DELL’HANDICAP

La legge n. 104/92 è un provvedimento controtendenza. Quando già si era iniziato a intaccare lo stato sociale, venne emanata questa legge sufficientemente armonica ed avanzata, che costituisce la carta dei diritti dell’invalido, ponendo l’Italia, almeno sul piano normativo, all’avanguardia in Europa.
La finalità che ci si prefigge di raggiungere è l’integrazione sociale della “persona handicappata”, la sua massima autonomia e partecipazione alla vita collettiva, con riguardo a tutti i suoi diritti.
La legge afferma principi di equità molto elevati, in particolare quando stabilisce il diritto alle prestazioni in relazione al bisogno del soggetto, alla residua capacità e all’efficacia della riabilitazione, e principi di solidarietà, quando determina la priorità degli interventi dei programmi pubblici in favore dei casi gravi, ove le necessità di assistenza siano permanenti, continuative e globali.
Sono perseguite la prevenzione, la diagnosi precoce e la ricerca sistematica sulle cause delle minoranze, per applicare, col massimo di tempestività, la terapia e la riabilitazione, d’intesa con la famiglia che deve perciò essere adeguatamente informata. E proprio il mantenimento della persona nel suo ambito familiare e sociale è il fine cui devono concorrere congiuntamente servizi sanitari e sociali e tutti i servizi territoriali (scolastici, sanitari, socio-assistenziali, culturali, ricreativi, sportivi ed altri ancora, pubblici o privati).

Al fine di realizzare gli obbiettivi di cui sopra, la legge sceglie di valorizzare appunto la famiglia e il volontario, e sollecita l’apporto degli enti e delle associazioni per accrescere l’informazione e soprattutto la partecipazione civile, quale reale garanzia contro l’emarginazione sociale.
Gli interventi di prevenzione sono disciplinati dalle regioni.
Viene avviata la sperimentazione didattica che dovrà sviluppare le tecniche speciali che sono necessarie per superare al meglio gli handicap specifici. Attenzione è riservata anche alla formazione professionale che può avvenire in classi o in corsi prelavorativi.
Viene affrontato il problema delle barriere architettoniche e dei trasporti pubblici e individuali; sono regolamentati i parcheggi riservati, il diritto di voto, la concessione di contributi per un’idonea tipologia di edilizia privata, nuova o riattata, e la facoltà di detrarre dal reddito imponibile le spese mediche e quelle di assistenza specifica.
L’ACCERTAMENTO SANITARIO Va precisato che la situazione della persona handicappata può ritenersi con connotazione di gravità, qualora la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l’autonomia personale, correlata all’età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale, nella sfera individuale o in quella di relazione.
CERTIFICAZIONE PROVVISORIA L’accertamento di tale situazione di gravità compete alle commissioni mediche per l’invalidità civile costituite presso le Asl. Ma le commissioni mediche preposte possono accumulare ritardi; il ministero del Lavoro, con circ. n. 28/93, ha autorizzato, perciò, l’accertamento da parte di un medico specialista nella patologia denunciata e in servizio presso l’Asl competente, qualora siano trascorsi 90 giorni dalla presentazione della richiesta senza la commissione medica si sia pronunciata. Con la circ. n. 53/2008 l’Inps ha precisato che la certificazione provvisoria è efficace fino all’accertamento definitivo da parte della commissione.
Con la circ. n. 32/2006 l’Inps ha comunicato che anche il medico dell’ospedale può emettere la certificazione provvisoria, con la precisazione che “il medico dipendente dell’ospedale che visita ambulatorialmente, in tale veste, la persona oggetto di valutazione per handicap per poter validamente emettere la certificazione provvisoria, deve essere specialista nella disciplina medica/chirurgica cui afferisce la patologia”, mentre “nel caso del medico che segue in corsia il soggetto per quel ricovero alla conclusione del quale si stia procedendo all’emissione di certificato provvisorio di handicap in situazione di gravità, il requisito specialistico transita dal medico al reparto in cui il soggetto è stato ricoverato: in sostanza è sufficiente che quest’ultimo sia “specializzato” nelle patologie di interesse”.
“Qualora – puntualizza l’Inps – la Commissione medica di verifica non dovesse ritenere di condividere il riconoscimento della gravità dell’handicap, si dovrà procedere al recupero delle prestazioni erogate, poiché divenute indebite”. Per patologie oncologiche l’art. 6, c. 3-bis, L. n. 80/2006 ha dettato una speciale normativa.
ALUNNI CON HANDICAP: ACCERTAMENTI ASL IN 30 GIORNI
Gli art. 12 e 13, L. n. 104/92 garantiscono il diritto all’educazione e all’istruzione della persona handicappata nelle sezioni di scuola materna, nelle classi comuni delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado e nelle istituzioni universitarie. L’art. 2, Dpcm n. 185/2006 ha stabilito che ai fini della individuazione dell’alunno come soggetto in situazioni di handicap, le Asl dispongono, su richiesta documentata dei genitori o degli esercenti la potestà parentale o la tutela dell’alunno medesimo, appositi accertamenti collegiali da effettuarsi in tempi utili rispetto all’inizio dell’anno scolastico e comunque non oltre trenta giorni dalla ricezione della richiesta.

ASSISTENZA AI FIGLI MINORI CON HANDICAP

PROLUNGAMENTO ASTENSIONE FACOLTATIVA
Il genitore lavoratore, anche adottivo o affidatario, di bambino portatore di handicap in situazione di gravità ha diritto, a condizione che il bambino non sia ricoverato a tempo pieno presso istituti specializzati – precisa l’inps con circ. n. 133/2000 – di fruire del prolungamento (suscettibile di frazionamento) dell’astensione facoltativa o dei riposi orari fino ai 3 anni di età del bambino nonché dei giorni di permesso dopo i 3 anni e fino ai 18, anche qualora l’altro genitore non abbia diritto a tali benefici (perché, ad esempio, è casalinga, non svolge attività lavorativa, è lavoratore autonomo, ecc.).
Nel caso in cui, invece, entrambi i genitori siano lavoratori dipendenti, i permessi continuano a spettare ad entrambi, ma in maniera alternativa.
L’Inps aggiunge che è possibile ammettere il prolungamento da parte di un genitore (alternativamente, madre o padre) anche quando non sia stato in precedenza esaurito il periodo della “normale” astensione facoltativa e ne spiega le modalità applicate.
RAPPORTO DI LAVORO IN ESSERE. L’Inps ulteriormente rammenta che, “trattandosi di astensione facoltativa, sia pure prolungata ,con diritto alla indennità pari al 30% della retribuzione per tutto il periodo, il rapporto di lavoro deve continuare ad essere in atto, con obbligo di prestazione dell’attività lavorativa, anche durante il prolungamento.
Per i lavoratori agricoli a tempo determinato il diritto alla astensione facoltativa ed al suo prolungamento è subordinato all’iscrizione negli elenchi validi per ciascun anno di riferimento (anno precedente a quello di astensione)”.

DECORRENZA. Il prolungamento decorre “dal termine del periodo corrispondente alla durata massima del congedo parentale” spettante al richiedente.
Con il msg. n. 22578/2007 l’Inps ha chiarito che, di conseguenza, esso “è riconoscibile, indipendentemente dal diritto dell’altro genitore:
· Alla madre, trascorsi 6 mesi dalla fine del congedo di maternità;
· Al padre, trascorsi 7 mesi dalla data di nascita del figlio;
· Al genitore solo, trascorsi 10 mesi decorrenti;
– in caso di madre “sola”, dalla fine del congedo di maternità;
– in caso di padre “solo”, dalla nascita del minore o dalla fruizione dell’eventuale congedo di paternità”.
RIPOSI ORARI FINO A TRE ANNI DI ETA’ DEL BAMBINO CON HANDICAP
I riposi alternativi al prolungamento della facoltativa sono di 2 ore al giorno in caso di orario di lavoro pari o superiore a 6 ore, di 1 ora in caso contrario. Nessun riposo può essere invece concesso per le giornate non lavorate, compresa la sesta giornata in caso di settimana corta.
I riposi, ed anche i permessi (fruibili dalla fine del periodo massimo previsto per il normale congedo parentale di maternità), possono essere cumulati con il congedo parentale ordinario e con il congedo per la malattia del figlio. È possibile godere, contemporaneamente, da parte di un genitore dell’astensione facoltativa e da parte dell’altro dei permessi di cui alla legge n. 104/92, mentre non è possibile da parte dello genitore, nella stessa giornata, fruire contemporaneamente dell’astensione facoltativa e dei permessi.

Con il msg. n. 11784/2007 l’Inps, nel ribadire,in via generale, l’incompatibilità tra permessi orari ex lege 104/92 e permessi orari per allattamento nel corso del primo anno di vita del bambino, precisa che se, in particolari casi, il sanitario competente ravvisi in capo al bambino, in relazione alla speciale gravità dell’handicap, la necessità di cure che non possano essere garantite durante le sole ore di allattamento previste per la generalità dei neonati, è possibile autorizzare il cumulo della fruizione dei permessi. In tale caso, i due benefici sono previsti per due situazioni completamente diverse e non contemporaneamente tutelabili con un solo istituto. Il bambino, infatti, ha bisogno di due tipi di cure: dei riposi per allattamento, in quanto di età inferiore all’anno, e dei permessi giornalieri, in quanto portatore di speciali difficoltà nello svolgere le funzioni tipiche della piccola età.
RETRIBUITI Riguardo ai permessi di due ore al giorno, fruibili in alternativa al prolungamento dell’astensione facoltativa, l’Inps precisa che essi vanno equiparati a quelli per allattamento e per i medesimi spetta un’indennità economica pari alla retribuzione perduta, che è a carico dell’Inps ma viene anticipata dal datore di lavoro.
Questi permessi, così come il prolungamento della facoltativa con computi nell’anzianità di servizio. A tal fine, i permessi orari vanno rapportati a giorni interi.
NON SI PERDONO FERIE E TREDICESIMA
Durante la fruizione dei permessi ex art. 33, L. n. 104/92 si maturano sia ferie che la tredicesima mensilità. Lo ha chiarito il ministero del Lavoro con circ. del 6/2/2006. unica esclusione per i genitori di minori con handicap che optano per il prolungamento del congedo parentale (fino al terzo anno di vita del bimbo); in tal caso, infatti, ferie e tredicesima sono soggette a decurtazione.

IN CASO DI RICOVERO
Il ricovero in ospedale del portatore di handicap esclude solitamente i familiari dal diritto ai permessi ex art. 33, L. n. 104/92.
L’Inps, con il msg. n. 228/2006, indica che è “possibile concedere i benefici solo nei casi in cui:
– il richiedente assista un handicappato in tenera età (prima infanzia, ovvero di età inferiore a tre anni)
– il soggetto handicappato sia ricoverato per finalità diagnostiche-terapeutiche (nel quel caso le finalità assistenziali legate all’età travalicano quelle legate all’handicap);
– la presenza della madre o del padre sia richiesta dall’ospedale per necessità effettive;
L’Inps, con il msg. n. 256/2006, ha precisato inoltre che:
· per ricovero a tempo pieno è da intendersi quello in cui il disabile trascorre tutta la giornata o gran parte della stessa presso una struttura adibita all’accoglimento degli handicappati (quindi anche ad un Centro socio-riabilitativo diurno per disabili);
· il rientro a casa del disabile, se pure nelle ore serali, non esclude il ricovero a tempo pieno;
· anche il ricovero presso una qualsiasi struttura ospedaliera (anche se non legato, direttamente o indirettamente, all’handicap), è da intendersi effettuato presso “istituti specializzati”.
COMPATIBILI PERMESSI L. 104 E PER ALLATTAMENTO (ALTRO FIGLIO)
Vi è compatibilità tra i permessi orari ex lege 104/92 per un figlio handicappato di età inferiore a 3 anni e permessi orari (c.d. per allattamento) per altro figlio. “è possibile la fruizione di entrambi i benefici da parte di un genitore – chiarisce l’Inps con circ. n. 128/2003 – dal momento che si tratta di due soggetti (figli) diversi, entrambi bisognosi di cure, per i quali è legislativamente prevista la possibilità di fruire di due diversi tipi di permessi.
Ovviamente la fruizione dei benefici in parola di una o due ore è legata all’orario di lavoro: se questo è pari o superiore alle 6 ore darà diritto alla fruizione di 2 ore di permesso per “allattamento” e 2 ore di permesso ex lege 104/90; se invece inferiore a 6 ore darà diritto alla fruizione di un’ora di permesso per allattamento e un’ora di permesso ex lege 104/92.
Tale criterio trova applicazione anche nel caso di lavoratore handicappato che fruisca per se stesso dei permessi orari ex lege 104/92 ed è genitore di un bambino per il quale spettano i permessi per allattamento”.
TRE GIORNI DI PERMESSO MENSILE TRA IL 3° E IL 18° ANNO DI ETA’ DEL FIGLIO HANDICAPPATO
Per i periodi successivi al terzo anno di età del bambino portatore di handicap in situazione di gravità, la madre lavoratrice, anche adottiva o affidataria (o, in alternativa, il padre) ha diritto, a condizione che il bambino non sia ricoverato a tempo pieno presso istituti specializzati, a tre giorni di permesso mensile indennizzato (retribuzione globale di fatto), fruibili anche in maniera continuativa.
“Analogamente al prolungamento dell’astensione facoltativa ed ai riposi orari, i giorni di permesso possono essere usufruiti dai genitori (di figli minorenni) alternativamente, ma il numero massimo mensile (3gg.) può essere ripartito tra i genitori stessi anche con assenze contestuali dal rispettivo lavoro (ad esempio, madre 2 giorni, padre 1 giorno, anche coincidente con uno dei due giorni della madre).
L’alternatività, in sostanza, si intende riferita solo al numero complessivo dei giorni di riposo fruibili nel mese (tre).
I giorni di permesso possono essere utilizzati da un genitore anche quando l’altro fruisce della “normale “ astensione facoltativa”.
Il diritto è riconosciuto al genitore anche qualora l’altro ne sia escluso (perché casalinga, disoccupato, lavoratore autonomo).
In caso di genitori entrambi lavoratoti e di un figlio minorenne con handicap grave, la presenza di familiari non lavoratori non pregiudica la possibilità, per uno dei due genitori, di fruire, secondo le condizioni previste, dei permessi per assistere tale figlio.
IL DATORE VERIFICA I PRESUPPOSTI
Con la circ. n. 53/2008 l’Inps ha precisato che “sul datore di lavoro incombe il diritto-dovere di verificare in concreto l’esistenza dei presupposti di legge per la concessione dei permessi rispetto alla quale non ha alcuna ulteriore discrezionalità, al di là della verifica della sussistenza dei requisisti di legge”.
GENITORI DI FIGLI MAGGIORENNI E FAMILIARI DI PERSONE HANDICAPPATI. (parenti o affini entro il 3° grado)
L’art. 42, c. 6, D.lgs. n. 151/2001 ha definitivamente sancito che “i riposi, i permessi ed i congedi spettano al genitore lavoratore anche quando l’altro genitore non ne abbia diritto” e ciò a prescindere dalla minore o dalla maggiore età del figlio portatore di handicap grave. “Le innovazioni introdotte – ha sottolineato l’Inps, con la circ. n. 138/2001 – riguardano in particolare i genitori di figli disabili maggiorenni, prevedendo la possibilità di fruire dei permessi retribuiti di cui alla legge 104/92 e dei benefici di cui l’art. 80, c. 2, L. n. 388/2000, anche nel caso in cui uno dei genitori non abbia diritto ai permessi (ad esempio, perché non lavora).
Ai sensi della L. n. 54/2006 (sull’affido condiviso), per beneficiare dei tre giorni di permesso mensile non è più richiesta, per i figli – anche maggiorenni – la condizione della convivenza o della assistenza continuativa ed esclusiva.
PARENTI E AFFINI L’art. 20, L. n. 53/2000 ha stabilito che i permessi spettano anche “ai familiari lavoratori, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assistono con continuità e in via esclusiva un parente o un affine entro il terzo grado portatore di handicap, ancorché non convivente” sempre che non sia ricoverato a tempo in istituti specializzati.
CONTINUITA’ La “continuità” consiste nell’effettiva assistenza del soggetto handicappato, per le sue necessità quotidiane, da parte del lavoratore, genitore o parente del soggetto stesso, per il quale vengono richiesti i giorni di permesso. Riguardo al requisito della continuità dell’assistenza nei confronti del familiare di handicappato non convivente, l’Inps, con circ. n. 128/2003, precisa che l’eventuale lontananza “non va intesa solo in senso spaziale ma anche temporale; pertanto se in tempi individuabili in circa un’ora è possibile coprire la distanza tra le due abitazioni del soggetto prestatore di assistenza e l’handicappato, è possibile riconoscere che sussiste un’assistenza quotidiana che concretizza il requisito di continuità dell’assistenza, il quale insieme a quello dell’esclusività, dà diritto alla fruizione dei permessi di cui alla legge 104/92 anche in caso di non convivenza.
In caso contrario l’assistenza quotidiana non può essere di per sé esclusa, ma occorre rigorosa prova da parte dell’interessato sia dei rientri giornalieri sia dell’effettiva assistenza che è possibile fornire in tale situazione di lontananza”.
Con msg. n. 8236/2004 l’Inps ha chiarito che, quando la residenza ufficiale è diversa dalla dimora abituale, è a quest’ultima che occorre riferirsi.
ANCHE SE VI SONO FAMILIARI CONVIVENTI NON LAVORATORI
L’Inps a lungo aveva sostenuto che la presenza in famiglia di altra persona che sia tenuto o possa provvedere all’assistenza del parente con disabilità in situazioni di gravità escludesse il diritto ai tre permessi mensili retribuiti.

Con la circ. n. 90/2007 detti istituto si è uniformato ad una cospicua giurisprudenza di legittimità dettando i “seguenti nuovi criteri:
1. che a nulla rilevi che nell’ambito del nucleo familiare della persona con disabilità in situazione di gravità si trovino conviventi familiari non lavoratori idonei a fornire l’aiuto necessario;
2. che la persona con disabilità in situazione di gravità – ovvero il suo amministratore di sostegno ovvero il suo tutore legale – possa liberamente effettuare la scelta su chi, all’interno della stessa famiglia, debba prestare l’assistenza prevista dai termini della legge;
3. che tale assistenza non debba essere necessariamente quotidiana, purché assuma i caratteri della sistematicità e dell’adeguatezza rispetto alle concrete esigenze della persona con disabilità in situazione grave;
4. che i benefici previsti si debbano riconoscere altresì a quei lavoratori che – pur risiedendo o lavorando in luoghi anche distanti da quello in cui risiede di fatto la persona con disabilità in situazione di gravità (come, per esempio, nel caso del personale di volo delle linee aeree, del personale viaggiante delle ferrovie o dei marittimi) – offrano allo stesso un’assistenza sistematica ed adeguata, stante impregiudicato il potere organizzativo del datore di lavoro, non attenendo la fruizione dei benefici de quo all’esercizio di un diritto potestativo del lavoratore;
5. che il requisito dell’esclusività della stessa non si debba far coincidere con l’assenza di qualsiasi altra forma di assistenza pubblica o privata, essendo compatibile con la fruizione dei benefici in questione il ricorso alle strutture pubbliche, al cosiddetto “no profit” ed a personale badante;
6.

Formazione e lavoro oltre la CIG

Formazione e lavoro oltre la CIG

FORMAZIONE E LAVORO OLTRE LA CIG

Formazione e lavoro per evitare licenziamenti. Le aziende in crisi potranno continuare ad utilizzare i dipendenti in cassa integrazione inserendoli in corsi di formazione o riqualificazione che prevedono anche attività di lavoro. In cambio, dovranno erogare a titolo retributivo la differenza tra il sostegno al reddito già percepito dai lavoratori (la cig normalmente) e la paga ordinaria. Si chiama “premio di occupazione” la misura approvata dal consiglio dei ministri nel pacchetto anticrisi, allo scopo di incentivare la conservazione e la valorizzazione del capitale umano. Sarà operativa per gli anni 2009 e 2010 e servirà un accordo sindacale per l’accesso. Per gli stessi anni, inoltre, il governo ha introdotto un bonus a favore dei lavoratori cassintegrati che vogliano intraprendere attività di lavoro autonomo anche in forma di cooperativa ed ha aumentato (+ 20%) la cig nei contratti di solidarietà.
PREMIO DI OCCUPAZIONE.
La misura, sperimentale per un biennio, consentirà dunque alle imprese di mantenere la forza lavoro in esubero, avviando per essa progetti di formazione o di riqualificazione. Progetti che potranno includere anche attività produttiva connessa all’apprendimento. La disciplina è ancora in divenire: uno specifico decreto interministeriale (lavoro ed economia), infatti, dovrà provvedere alla definizione entro 30 giorni dall’entrata in vigore del dl anticrisi, individuando i procedimenti dell’accordo sindacale attuativo, e le procedure di comunicazioni all’Inps. La nuova misura si rivolge ai lavoratori già destinatari di “trattamenti di sostegno al reddito in costanza di rapporto di lavoro”, quindi cassa integrazione.
Ai fini dell’attivazione occorrerà la stipulazione di uno specifico accordo in sede ministeriale (lavoro) da parte delle stesse parti sociali interessate alla stipula dell’accordo relativo agli ammortizzatori. Per l’azienda, dunque, il beneficio appare doppio: primo la possibilità di evitare licenziamenti (evitando così anche il rischio di perdere la manodopera già formata e, quindi, i costi connessi all’ingaggio di nuova manodopera); secondo la possibilità di continuare a utilizzare la manodopera in azienda, seppure in misura ridotta (parte del tempo, infatti, andrà necessariamente riservata alla formazione), in cambio dell’erogazione, a titolo retributivo, di una parte sola della retribuzione, pari alla differenza tra l’ordinaria paga spettante ai lavoratori e il trattamento di sostegno al reddito a loro riservato.

BONUS AVVIO ATTIVITA’/1
Con il dl n. 5/2009 è stato introdotto un incentivo (operativo per gli anni 2009 e 2010) a favore dei datori di lavoro che assumono, senza esservi tenuti, lavoratori destinanti alla cig in deroga, sospesi o licenziati. L’incentivo è di tipo economico ed è pari all’indennità spettante al lavoratore, esclusa la contribuzione figurativa, a titolo di ammortizzatore sociale per il numero di mensilità non ancora incassate. Il pacchetto anticrisi modifica il dl n. 5/2009 per prevedere che adesso l’incentivo possa essere erogato allo stesso lavoratore destinatario, qualora ne faccia richiesta per intraprendere una nuova attività autonoma, una micro impresa o per associarsi in cooperativa (il bonus è cumulabile con l’incentivo decrel credito alla cooperativa di cui alla legge n. 49/1985). In pratica, l’incentivo sta nella possibilità (per il lavoratore) di non perdere il diritto al trattamento di cui stia fruendo. Se destinatario di cig in deroga, per ottenere il bonus il lavoratore dovrà prima dimettersi dall’impresa di appartenenza.

BONUS AVVIO ATTIVITA’/2
Simile al precedente è il bonus introdotto dal dl anticrisi, sempre in via sperimentale per il biennio 2009/2010, a favore dei lavoratori percettori di cig per crisi aziendale a seguito di cessazione totale o parziale dell’impresa, di procedura concorsuale o nei casi in cui il lavoratore sia comunque dichiarato esubero strumentale. Su richiesta per intraprendere attività autonoma, avviare una auto o micro impresa o per associarsi in cooperativa, il lavoratore potrà ottenere la liquidazione della cig per un numero di mensilità pari a quelle deliberate e non ancora percepite.

MISURE PER L’OCCUPAZIONE
Premio
di occupazione
Le aziende in crisi potranno continuare a utilizzare i dipendenti in cig inserendoli in corsi di formazione o riqualificazione, anche con attività di lavoro
Bonus avvio attività/1 I lavoratori interessati da cig in deroga potranno conservare l’indennità per intraprendere attività di lavoro autonomo o cooperativo
Bonus avvio attività/2 I lavoratori interessati da cig per crisi aziendale potranno conservare l’indennità per intraprendere attività di lavoro autonomo o cooperativo
Solidarietà difensiva Aumentata del 20% la cig riservata ai lavoratori interessati da riduzione di orario lavoro in base a contratti di solidarietà

DOTT.SSA MONICA MELANI

Il telelavoro

Il telelavoro

IL TELELAVORO

Il telelavoro rappresenta un evidente effetto dell’impiego delle tecnologie telematiche ai processi produttivi d’impresa. Si tratta di una nuova modalità di svolgimento dell’attività lavorativa: il lavoratore esegue le prestazioni da un luogo distante dai locali aziendali avvalendosi di un personal computer. Le forme di telelavoro applicate sono diversificate. Una prima modalità è il telelavoro svolto dal domicilio del lavoratore. Il collegamento del lavoratore con l’azienda può essere interattivo – on line – ovvero i “contatti” possono essere meno intensi fino a giungere a modalità di collegamento complementare off line.

Vi è poi il lavoro remotizzato. In questo caso il lavoratore svolge l’attività in locali aziendali situati in un luogo distante dalla “sede” dalla quale dipende gerarchicamente. Si tratta di un “ufficio satellite” dove operano più telelavoratori.

Un’ulteriore applicazione è il working out che è l’unica forma di lavoro non stanziale in quanto il telelavoro non è vincolato ad una postazione di lavoro fissa. Lo scambio di informazioni e dati con la sede centrale avviene tramite un computer portatile collegabile via rete al sistema informativo aziendale.

Vi sono infine strutture che ospitano telelavoratori che dipendono da imprese diverse; tale modello viene comunemente definito centro di lavoro comunitario.
In questo caso le imprese usufruiscono delle postazioni di lavoro stipulando contratti di locazione con i proprietari/gestori del centro in relazione alle esigenze che si manifestano di volta in volta.
Con questa soluzione organizzativa vengono attenuati i problemi di isolamento cui normalmente è soggetto il telelavoratore.
Per il settore pubblico il telelavoro ha trovato regolamentazione legislativa tramite la L. n. 191/98 e il Dpr. n. 70/99, alle quali ha fatto seguito l’Accordo quadro nazionale del 23/3/2000. Per i rapporti di lavoro privati la regolamentazione è stata finora dettata dalla contrattazione collettiva.
Con la sentenza n. 11586/99 la Cassazione ha stabilito che la competenza giurisdizionale si determina con riferimento alla sede dell’impresa e non al domicilio del lavoratore.

FORME DI TELELAVORO
Telelavoro svolto dal domicilio del lavoratore (il collegamento del lavoratore con l’azienda può essere interattivo – on line – ovvero i “contatti” possono essere meno intensi fino a giungere a modalità di collegamento complementare off line)
Lavoro remotizzato (il lavoratore svolge l’attività in locali aziendali situati in un luogo distante dalla “sede” dalla quale dipende gerarchicamente, si tratta di un “ufficio satellite” dove operano più telelavoratori. Soluzione organizzativa particolarmente utile quando in un’unità produttiva si vuole mantenere in vita soltanto l’attività operativa)
Working out (è l’unica forma di telelavoro non stanziale. Il telelavoratore non è vincolato ad una postazione di lavoro fissa. Lo scambio di informazioni e dati con la sede centrale avviene tramite un computer portatile collegabile al sistema informatico aziendale attraverso un modem. Figura di telelavoratore che si accosta al lavoro parasubordinato)
Centro di lavoro comunitario (struttura che ospita lavoratori che dipendono da imprese diverse. Le imprese usufruiscono delle postazioni di lavoro stipulando contratti di locazione con i proprietari/gestori del centro. Soluzione organizzativa che consente di ovviare ai problemi di isolamento del telelavoratore)

TELELAVORO Diritti e doveri del telelavoratore
Scelta Il lavoro a distanza è concordato liberamente tra lavoratore e azienda
Ripensamento È possibile tornare a lavorare in azienda
Trattamento Il lavoratore ha gli stessi diritti
(tutela, paga, condizioni di lavoro) dei colleghi interni
Rapporti È garantito l’accesso in azienda del lavoratore per contatti e incontri con i colleghi
Lavoro Il carico di lavoro è identico a quello dei colleghi interni, ma i tempi sono gestiti dal lavoratore
Strumenti I mezzi necessari per lavorare sono forniti dall’azienda
Riservatezza L’azienda ha diritto alla tutela dei propri dati

DOTT.SSA MONICA MELANI

Lavoro autonomo occasionale

Lavoro autonomo occasionale

LAVORO AUTONOMO OCCASIONALE

Il codice civile individua il lavoro autonomo nel contratto d’opera. L’art. 2222, infatti, prevede che quando una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente, si applicano le norme del lavoro autonomo.

In particolare, perché sia configurabile come autonoma la prestazione deve:
· Consistere in un’opera o in un servizio;
· Essere svolta senza vincolo di subordinazione;
· Essere prevalentemente personale, per cui il lavoratore autonomo può avvalersi di eventuali collaboratori e dotarsi di mezzi organizzativi;
· Essere compensata da corrispettivo (e non da retribuzione);
· Condurre alla realizzazione di un’opera o di un servizio sotto la piena responsabilità del lavoratore.

Quando tale attività è svolta in modo occasionale, cioè non abitualmente, si è in presenza di
una prestazione di lavoro autonomo occasionale.

Il lavoro occasionale generico si può così riassumere:
· Esso può essere effettuato da chiunque non possieda una partita Iva. Non sono richieste,
in questo caso, quelle condizioni di marginalità soggettiva per il prestatore d’opera;
· I lavori occasionali, rispetto a quelli accessori, possono occupare il lavoratore anche per un
periodo superiore a 30 giornate lavorative purché tali prestazioni siano rese per ciascun committente per un periodo non superiore a 30 giorni;
· Possono essere forieri di compensi fino a un massimo di 5 mila euro per anno solare, limite inteso come somma percepita da tutti i componenti;
· Detti compensi non saranno da assoggettare né a Inps né a Inail, mentre resterà dovuta la ritenuta Irpef a titolo d’acconto pari al 20%;
· Le prestazioni possono essere rese anche a favore di imprese e società non sussistendo alcuna limitazione soggettiva in capo al committente.

Porgiamo distinti saluti.

DOTT.SSA MONICA MELANI

IL LAVORO OCCASIONALE: TRATTAMENTO FISCALE E CONTRIBUTIVO
TIPOLOGIA DEL RAPPORTO IRPEF INPS INAIL
Lavoro autonomo occasionale con compenso annuo inferiore a euro 5.000 Ritenuta del 20% Esente da contribuzione Non soggetto
Lavoro autonomo occasionale con compenso annuo superiore a euro 5.000 Ritenuta del 20% Esente fino a 5.000 euro, soggetto oltre tale limite alla gestione separata Non soggetto
Mini-Co.Co.Co. Reddito assimilato a quello di lavoro dipendente Interamente soggetto alla gestione Inps Soggetto con le modalità previste per il lavoro parasubordinato
Collaborazione coordinata e continuativa a progetto Reddito assimilato a quello di lavoro dipendente Interamente soggetto alla gestione Inps Soggetto con le modalità previste per il lavoro parasubordinato

Niente mobbing in azienda

Niente mobbing in azienda

NIENTE MOBBING IN AZIENDA

Nelle grandi aziende tramonta ogni chance di ottenere una condanna penale per mobbing. Infatti il dipendente emarginato, da capi e colleghi, in mancanza di una specifica normativa, non può praticare la via penale e vedere condannati i suoi aguzzini per maltrattamenti.
Due anni fa si era detto, il mobbing non è reato ma ora la Cassazione, con la sentenza n. 26594, deposita una decisione ancora più perentoria, confermando l’assoluzione dal reato di maltrattamenti nei confronti di un capoufficio che tormentava una dipendente.
In alcuni punti la nuova sentenza sul mobbing segna addirittura un dietrofront con una giurisprudenza che sembrava ormai aver accolto all’unanimità altre figure di reato, come i maltrattamenti in famiglia, per sopperire al vuoto legislativo ancora esistente in Italia sul mobbing.
Nella sentenza n. 33624 del 2007, passata alla storia come la prima ad aver decretato che il mobbing non è una fattispecie prevista dal nostro codice penale, si lasciava comunque una chance per ottenere una condanna per maltrattamenti in famiglia, in caso di reiterazione di una pluralità di atteggiamenti anche se non singolarmente connotati da rilevanza penale, convergenti sia nell’esprimere l’ostilità nel soggetto attivo verso la vittima sia nell’efficace capacità di modificare e di isolare il dipendente nell’ambiente di lavoro. Non solo. Affinché questa condotta abbia effetti penali, aveva poi chiarito la Suprema corte, la figura di reato maggiormente prossima ai connotati caratterizzanti il mobbing è quella descritta dall’articolo 572 del codice penale “maltrattamenti commessi da persona dotata di autorità per l’esercizio di una professione” che devono compiersi in modo continuativo. E infatti in quel caso il Preside era stato assolto solo perché era mancata la prova della continuità delle vessazioni.
Ora invece la Cassazione nega la possibilità persino di una condanna per maltrattamenti, almeno nelle grandi aziende. Insomma per strappare al giudice una decisione sulla responsabilità penale di chi mobbizza bisogna che le vessazioni siano avvenute in un lavoro, “come avviene in quello domestico” o come avviene “fra apprendista e artigiano” il cui ambiente sia tanto piccolo da essere familiare: “è soltanto nel limitato contesto di una peculiare rapporto parafamiliare che può ipotizzarsi, ove si verifichi l’alterazione della funzione del medesimo rapporto attraverso lo svilimento e l’umiliazione fisica e morale del soggetto passivo, il reato di maltrattamenti”.
Insomma, “sulla base del diritto positivo – si legge in sentenza – la via penale non appare percorribile”. Resta pur sempre il rimedio, e su questo punto tutti i collegi di legittimità sembrano essere d’accordo, dell’azione civile e quindi del risarcimento del danno.
Le motivazioni sono importanti anche per un’altra ragione: contengono infatti un chiaro monito al legislatore, “nel nostro codice penale”, si legge in sentenza, “nonostante una delibera del Consiglio d’Europa del 2000, che vincolava tutti gli stati membri a dotarsi di una normativa corrispondente, non v’è traccia di una specifica figura incriminatrice per contestare tale pratica persecutoria”.
Ora alla signora non resta che chiedere i danni per le vessazioni del suo direttore. Infatti la sesta sezione penale ha respinto il ricorso della Procura che chiedeva di annullare l’assoluzione del dirigente e di condannarlo per maltrattamenti.

DOTT.SSA MONICA MELANI

Entrata facile nei Fondi TFR

Entrata facile nei Fondi TFR

TFR NEI FONDI, ENTRATA FACILE
(COVIP NOTA DEL 30/05/2009)

È stata introdotta una procedura facile per la destinazione del tfr pregresso alla previdenza integrativa. Per il versamento, infatti, non occorrono modifiche allo statuto del fondo pensione, né è indispensabile una previsione della contrattazione collettiva: è sufficiente anche un accordo tra lavoratore e datore di lavoro .

I chiarimenti effettuati dalla Covip, riguardano la possibilità di destinare alla previdenza complementare lo stock di tfr accumulato dai lavoratori presso il datore di lavoro.
Stock, in altre parole, esistente al 31/12/2006, cioè precedentemente all’entrata in vigore del DLgs n. 252/2005, che è avvenuta il 1° Gennaio 2007 ed ha completamente riformato la norma in materia di previdenza integrativa. Tale possibilità è stata introdotta dalla Finanziaria 2008 (la legge n. 244/2007) dopo che, in via amministrativa, aveva già formato oggetto di chiarimento positivo da parte dell’Agenzia delle entrate (circolare n. 70/2007). Un fondo pensione ha chiesto allora dei chiarimenti sulla procedura operativa per tale forma di finanziamento della previdenza complementare.

La prima questione sollevata è quella dell’ammissibilità del conferimento al fondo del tfr pregresso nell’ipotesi in cui tale facoltà non sia espressamente contemplata dallo statuto. In merito, le clausole statutarie in tema di contribuzione secondo lo schema della Covip fanno riferimento a quelle che sono le fonti standard di finanziamento di un fondo pensione, valide cioè per la generalità degli iscritti, il cui versamento è effettuato, normalmente, con scadenze periodiche per tutta la fase di accumulazione. Quanto al tfr è, quindi, menzionato soltanto il tfr maturato e non anche quello pregresso. Tale ultima fonte di contribuzione, spiega la Covip, non è espressamente menzionata in quanto trattasi di una fonte eccezionale che non riguarda tutta la platea degli iscritti, ma solo quegli iscritti per i quali trovano applicazione appositi accordi con i datori di lavoro; la stessa si sostanzia, insomma, in un versamento una tantum.

Pertanto la Covip non ritiene opportuno che il fondo intervenga a modificare il proprio statuto per introdurre previsioni esplicite in tal senso. Indicazioni in materia potranno essere riportate nella nota informativa, dando conto della possibilità per il fondo di ricevere anche il tfr pregresso ove previsto nei contratti collettivi o negli accordi collettivi o individuali di lavoro.

In secondo luogo è stato chiesto se sia necessario modificare la contrattazione collettiva nazionale o integrativa aziendale. Tale intervento, precisa la Covip, non appare indispensabile considerato che il tfr pregresso può essere devoluto a previdenza complementare anche sulla base di un accordo tra il lavoratore e il datore di lavoro.

Infine, spiega la Covip, la predisposizione di un apposito modulo diverrebbe utile sia per la formalizzazione dell’accordo sulla devoluzione del tfr pregresso a previdenza complementare e sia per la trasmissione al fondo delle informazioni indispensabili per la gestione delle relative somme ai fini fiscali.

Nel modulo inoltre è opportuno che venga inserita una sintetica indicazione del trattamento fiscale applicabile alle relative somme, idonea ad informare l’iscritto, facendo poi rinvio al documento sul regime fiscale per la disciplina di dettaglio.

DOTT.SSA MONICA MELANI

Stage aziendali – tirocinio

Stage aziendali – tirocinio

STAGE AZIENDALI

Argomento di indubbio interesse. Le istituzioni formative ne traggono un vantaggio perché hanno a disposizione uno strumento utile e poco costoso per completare con esperienze pratiche l’insegnamento teorico impartito agli studenti (soprattutto gli istituti di istruzione tecnica e professionale). Infatti il tirocinio sostituisce in parte la necessità di forti investimenti in attrezzature che invece vengono messe a disposizione dalle imprese ospitanti con il vantaggio aggiuntivo che le attrezzature presenti nelle imprese sono in genere più aggiornate di quanto non possono essere quelle di un istituto di formazione pur efficienti.
Per i giovani tirocinanti (non è richiesto formalmente alcun requisito di età per poter accedere allo stage) il vantaggio consiste nel fare una esperienza pratica che, oltre a consentire di verificare e sperimentare sul campo le nozioni acquisite nel corso della formazione, consente anche di entrare in contatto concreto con le logiche organizzative e comportamentali di un’impresa.
Per le imprese il tirocinio consente di collaborare con costi pressoché inesistenti affinché i giovani che escono dal sistema formativo abbiano una preparazione più vicina alle loro esigenze. Lo strumento si presta anche ad arricchire la banca dati di soggetti potenzialmente contattabili in futuro per eventuali possibili assunzioni. È, dunque, una misura di politica attiva del lavoro. In sostanza vengono avvicinate domanda e offerta di lavoro. I tirocinanti disabili assunti in base alle previste convenzioni contribuiscono a coprire la quota d’obbligo di cui alla L. n. 68/99 e nel contempo sono esclusi dalla base di computo per il calcolo della riserva. Gli stage sono stati previsti per la prima volta dalla L. n. 236/93.
La regolamentazione attuale è stata definita dalla L. n. 196/97 a cui hanno fatto seguito il Dm attuativo n. 142/98 e la circolare ministeriale n.92/98.
Il ministero del Lavoro, con la circ. n. 52/99, ha poi chiarito che gli stage effettuati presso le aziende da giovani impegnati in attività di formazione professionale nell’ambito di progetti cofinanziati dal Fondo sociale europeo non rientrano nel campo di applicazione della nuova disciplina sui tirocini formativi di cui al Dm n. 142/98.
Lo stage in ambito corsuale costituisce semplicemente un modulo, peraltro di durata assai limitata, di un più articolato percorso formativo volto a sperimentare una fase di alternanza tra teoria e pratica.
SOGGETTI PROMOTORI
Perché possano avvenire tirocini in regola con le disposizioni di legge è necessario che essi siano promossi da uno dei soggetti autorizzati (anche associati tra loro), cioè:
· Agenzie regionali per l’impiego;
· Sezioni circoscrizionali per l’impiego;
· Direzioni provinciali e regionali del lavoro (almeno fino al trasferimento delle competenze sui servizi all’impiego dallo stato alle regioni);
· Università e istituti di istruzione universitaria statali abilitati al rilascio di titoli accademici;
· Provveditorati agli studi;
· Istituzioni scolastiche statali e non statali che rilascino titoli di studio con valore legale e centri pubblici o la partecipazione professionale e/o di orientamento;
· Centri operanti nella formazione professionale in regime di convenzione con la regione o la provincia competente, ovvero accreditati (art. 71, L. n. 196/97);
· Comunità terapeutiche, enti ausiliari e cooperative sociali purché iscritti negli appositi albi regionali ove esistenti;
· Servizi di inserimento lavorativo per disabili gestiti da enti pubblici delegati dalla regione.

I tirocinanti possono essere promossi anche da istituzioni formative private, non aventi scopo di lucro, diverse da quelle sopra indicate, sulla base di un’autorizzazione specifica della regione. Detti soggetti possono assumere il ruolo di soggetti promotori anche su proposta degli enti bilaterali o delle associazioni sindacali dei datori di lavoro o dei lavoratori.
DATORI DI LAVORO INTERESSATI
Possono ospitare i tirocinanti tutti i datori di lavoro privati e pubblici, ivi comprese le pubbliche amministrazioni.
TIROCINANTI
La L. n. 236/93 chiarisce che gli stage aziendali sono destinati a studenti di corsi d’istruzione secondaria o universitaria, ovvero a diplomati o laureati per i quali non sia trascorso più di un anno dal termine del relativo corso di studi. Possono accedere agli stage anche i disoccupati e gli inoccupati.
NATURA DEL RAPPORTO
Il rapporto di tirocinio formativo non costituisce ad alcun titolo un rapporto di lavoro. Questo istituto corre certamente il rischio di un utilizzo improprio, e non di rado c’è il sospetto che possa nascondere un intento elusivo della normativa lavoristica.
Ricorre l’obbligo della comunicazione al centro dell’impiego entro il giorno antecedente l’inizio dello stage (salvo i tirocini che costituiscono meri periodi di alternanza scuola/lavoro).

OBBLIGHI DEL TIROCINANTE
Gli obblighi cui è tenuto il tirocinante nel corso della durata del tirocinio medesimo sono:
· Svolgere le attività previste dal progetto formativo e di orientamento;
· Rispettare le norme in materia di igiene, sicurezza e salute sui luoghi di lavoro;
· Mantenere la necessaria riservatezza per quanto attiene a: dati, informazioni o conoscenze in merito ai processi produttivi e ai prodotti, acquisiti durante lo svolgimento del tirocinio;
· Seguire le indicazioni dei tutori e fare riferimento ad essi per qualsiasi esigenza di tipo organizzativo o altre evenienze;
· Rispettare i regolamenti aziendali.
OBBLIGHI DEI SOGGETTI OSPITANTI
I soggetti ospitanti sono tenuti a:
a) Favorire l’esperienza del tirocinante nell’ambiente di lavoro mediante la conoscenza diretta delle tecnologie, dell’organizzazione aziendale nonché la visualizzazione dei processi produttivi e delle fasi di lavoro;
b) Designare il “responsabile aziendale” incaricato di seguire il tirocinante.
OBBLIGHI DEI SOGGETTI PROMOTORI
I soggetti che promuovono i tirocini formativi hanno i seguenti obblighi:
· Assicurare i tirocinanti contro gli infortuni su lavoro presso l’Inail;
· Sottoscrivere un’assicurazione per la responsabilità civile verso terzi presso idonea compagnia assicuratrice;
· Designare un tutor che segue il tirocinante e sia garante della realizzazione del progetto;
· Trasmettere una copia di ogni convenzione e di ciascun progetto formativo alla regione, alla struttura territoriale del ministero del Lavoro competente per ispezioni e alle rappresentanze sindacali aziendali.
LIMITI NUMERICI
Per garantire che il tirocinante possa essere opportunamente seguito sono stati fissati i seguenti limiti numerici:
1) Le aziende con i dipendenti a tempo indeterminato da 1 a 5 possono inserire un tirocinante;
2) Le aziende con dipendenti da 6 a 19 possono inserire fino a due tirocinanti contemporaneamente;
3) Le aziende con più di 20 dipendenti a tempo indeterminato possono inserire tirocinanti in misura non superiore al 10% dei dipendenti contemporaneamente. Le frazioni di unità si arrotondano all’unità superiore se la frazione è pari o superiore a ½.
Con la nota n. 44/2008 il ministero del Lavoro ha chiarito che nel computo dei dipendenti non sono compresi gli apprendisti.
MODALITA’ DI ATTUAZIONE
Perché i tirocinanti possano essere operativi occorrono alcuni adempimenti preliminari:
A. Sottoscrizione tra soggetto promotore e datore di lavoro ospitante di una apposita convenzione redatta secondo il modello allegato alle disposizioni di legge citate;
B. Predisposizione di un progetto formativo per ogni tirocinio, redatto secondo il modello allegato alle disposizioni di legge di cui sopra, che forma parte integrante della convenzione. Il progetto formativo può prevedere che il tirocinio si svolga in più settori operativi aziendali. Se il tirocinio si svolge presso una pluralità di aziende, la convenzione può essere sottoscritta non dalle singole aziende ma dalla loro associazione fermo restando che ogni aziende deve indicare il responsabile aziendale che seguirà il tirocinante.
CREDITI FORMATIVI
Le attività svolte nel corso dei tirocini possono avere valor di credito formativo e, ove debitamente certificate dalle strutture promotrici, possono essere riportate nel curriculum dello studente o del lavoratore per favorire l’inserimento nel mondo del lavoro.
STRANIERI
Le disposizioni in esame sono estese anche ai cittadini comunitari che effettuano esperienze professionali in Italia, anche nell’ambito di programmi comunitari, in quanto compatibili con la regolamentazione degli stessi.
EXTRACOMUNITARI
Il Dm 22/3/2006 ha dato via libera ai tirocini nei confronti di cittadini extracomunitari. Se il tirocinante è un cittadino straniero regolarmente soggiornante in Italia, il decreto stabilisce che si applica l’ordinaria normativa regionale vigente in materia. Se il tirocinante è residente all’estero, si applicano le disposizioni relative all’ingresso di stranieri fuori quote. In tal caso, il decreto stabilisce che la convenzione e il progetto di tirocinio devono prevedere, a carico del soggetto promotore, anche l’obbligo di fornire al tirocinante idoneo alloggio e vitto, nonché l’obbligo nei confronti dello stato di pagare le spese di viaggio per il rientro al paese di provenienza. In alternativa, gli oneri connessi ai predetti obblighi possono essere assunti a proprio carico dalle regioni o dal soggetto ospitante i tirocinanti.
INCENTIVI FISCALI ALLE IMPRESE
Le imprese che ospitano tirocinanti possono detassare il proprio reddito per un importo pari alle spese per lo stage. Ma restano fuori i professionisti; il nuovo incentivo, infatti, interessa soltanto i soggetti titolari di reddito di impresa a prescindere dalla forma giuridica.
Lo ha precisato l’Agenzia delle entrate con la circ. n. 20/E/2005.

POSSIBILE RIPETERLI
Con la nota n. 30/2008 il ministero del Lavoro, in tema di tirocini di formazione, ha ritenuto legittimo che il soggetto espleti un periodo di tirocinio della durata di 12 o 24 mesi in qualità di studente universitario e un ulteriore periodo in qualità di laureato, purché il progetto sia diverso. Il termine dei 18 mesi successivi alla conclusione degli studi entro il quale iniziare o concludere il periodo di tirocinio deve intendersi quello entro il quale dare inizio al tirocinio e non quello entro il quale completarlo.
TIROCINI ESTIVI DI ORIENTAMENTO
L’art. 60, D.lgs. n. 276/2003 ha istituito i tirocini estivi di orientamento, promossi durante le vacanze estive a favore di adolescenti o giovani (tra i 15 ed i 25 anni di età) regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso l’università o istituti scolastici di ogni ordine e grado, con fini orientativi e di addestramento pratico. Essi possono avere valore di credito formativo e, ove debitamente certificati dall’ente promotore, far parte del curriculum dello studente. Il tirocinio, che non determina l’instaurazione di un rapporto di lavoro e non comporta la cancellazione dagli elenchi tenuti dai centri per l’impiego, ha una durata non superiore a tre mesi e si svolge nel periodo compreso tra la fine dell’anno accademico e scolastico e l’inizio di quello successivo. Eventuali borse di lavoro erogate a favore del tirocinante non possono superare l’importo massimo mensile di 600 euro.
Salvo diversa previsione dei contratti collettivi, non sono previsti limiti percentuali massimi per l’impiego di adolescenti o giovani in questa tipologia di tirocinio.
INCOSTITUZIONALITA’
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 50/2005, ha stabilito l’incostituzionalità della norma, trattandosi della fattispecie di formazione professionale di competenza delle regioni.
Il ministero del Lavoro, con la circ. n. 30/2005, ha chiarito che è ancora possibile utilizzare lo strumento dei tirocini estivi di orientamento la cui regolamentazione, però, è rimessa alla competenza delle regioni.

DOTT.SSA MONICA MELANI

Tossicodipendenza

Tossicodipendenza

TOSSICODIPENDENTI

Il ministero del Lavoro ha emanato la circolare applicativa del Dpr n. 309/90 che disciplina tutta la materia degli stupefacenti e contiene anche disposizioni per tutelare i lavoratori tossicodipendenti.
Il lavoratore dipendente con contratto a tempo indeterminato che intenda uscire dalla tossicodipendenza, può chiedere di allontanarsi dal lavoro per un periodo massimo di tre anni: non ha diritto alla retribuzione ma l’azienda dovrà conservargli il posto di lavoro.
Il ministero del Lavoro ha precisato che debbono ricorrere le seguenti condizioni:
a) Lo stato di tossicodipendenza deve essere accertato dal Servizio per la tossicodipendenza, istituito presso la locale Azienda sanitaria;
b) La durata e la natura del programma personalizzato di recupero deve essere certificata sempre dal Servizio per la tossicodipendenza;
c) Il programma può essere suddiviso in più periodi, per la durata che comunque non può superare tre anni e pertanto anche le assenze dal lavoro possono essere frazionate entro tali limiti.
Anche i familiari del tossicodipendente hanno diritto a sospendere le prestazioni lavorative senza perdere il posto di lavoro. L’agevolazione riguarda esclusivamente quei familiari per i quali il Servizio per la tossicodipendenza dichiari che è necessaria la presenza per realizzare il recupero del malato. Poiché la legge non dice nulla sulla durata delle assenze dei familiari, il ministero del Lavoro ha precisato che i limiti sono uguali a quelli stabiliti per il tossicodipendente e quindi anche i familiari possono astenersi dal lavoro fino ad un massimo di tre anni. Ovviamente i periodi di assenza debbono coincidere con quelli previsti per il tossicodipendente.
Se il servizio per la tossicodipendenza non precisa la durata dell’assenza, valgono le clausole del contratto di lavoro riferite alle aspettative o in generale ai permessi non retribuiti. I contratti collettivi, anche aziendali, possono prevedere clausole più favorevoli e quindi stabilire non solo la facoltà di assentarsi dal lavoro, ma anche la corresponsione di un trattamento economico per i periodi di assenza.

Il contratto di lavoro può anche stabilire la durata dell’assenza dei familiari nel caso in cui il Servizio per la tossicodipendenza non lo abbia precisato.
L’azienda può assumere con contratto a termine un altro lavoratore per il tempo di assenza del tossicodipendente in fase di terapia. La stessa facoltà deve essere accordata all’azienda – precisa il ministero del Lavoro – anche per coprire i vuoti lasciati temporaneamente dai familiari impegnati nell’opera di recupero del tossicodipendente.
La Cassazione, con la sentenza n. 5614/2000, ha dichiarato legittimo il licenziamento intimato per assenza ingiustificata a un lavoratore che, interrotta la permanenza nella comunità terapeutica presso cui era stato indirizzato dal competente servizio, non si era presentato al lavoro.

EFFETTIVA INCAPACITA’ AL LAVORO

Nell’ipotesi di certificati di malattia con diagnosi riconducibili a stati di tossicodipendenza comportanti, o meno, soggiorno in comunità terapeutica (fattispecie non equiparabile a ricovero ospedaliero) – precisa l’Inps con circ. n. 136/2003 -, la relativa prestazione economica a carico dell’istituto potrà essere corrisposta, secondo i criteri, le modalità ed entro i limiti erogativi normalmente previsti a seconda delle diverse categorie di aventi diritto, soltanto in presenza di effettiva incapacità lavorativa dei soggetti interessati, debitamente documentata nei modi di legge, da confermare, anche con riferimento alla durata della prognosi, attraverso i controlli sanitari ritenuti opportuni.
Nell’ambito di quanto precede si sottolinea, in particolare, che anche per tali soggetti vale l’obbligo di reperibilità durante le previste “fasce orarie” (se del caso presso la “comunità”), a nulla rilevando di per sé la particolare condizione di tossicodipendenza.

A disposizione per chiarimenti, porgiamo distinti saluti.

DOTT.SA MONICA MELANI