ELABORAZIONE DELLE PAGHE CON HR PORTAL

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CONSULENZA DEL LAVORO E SINDACALE

Lo studio fornisce consulenza nell’ambito del lavoro e del Diritto Sindacale e industriale, seguendo e consigliando il cliente… continua

È ARRIVATO IL PORTALE CENTURION!

Categoria: Circolari

Decontribuzione ridotta e per tutti

Decontribuzione ridotta e per tutti

PREMI DI RISULTATO
DECONTRIBUZIONE RIDOTTA E PER TUTTI
Lo sconto scende al 2,25% ma senza click day e graduatorie

Sconto ridotto, ma fruibile da tutte le imprese. La decontribuzione dei premi di risultato per l’anno 2009, infatti, si applicherà fino al 2,25% della retribuzione annua dei lavoratori (nel 2008 è stato del 3%); ma non ci saranno click day e graduatorie. A stabilirlo è lo schema di decreto attuativo del bonus introdotto dal protocollo welfare (legge n. 247/2007), firmato dal ministro del lavoro. Per l’ok definitivo manca la firma del ministro dell’economia e la pubblicazione in G.U.

LA NUOVA DECONTRIBUZIONE.
È in vigore dal 1° gennaio 2008 in via sperimentale per il triennio 2008/2010, nel limite di risorse economiche pari a 650 milioni di euro per ciascun anno. Introdotto dalla legge n. 247/2007 (la legge di attuazione del protocollo welfare sottoscritto a luglio 2007), il nuovo regime ha sostituito quello previsto dal dl n. 67/1997 (convertito dalla legge n. 135/1997) che prevedeva sui premi di risultato, anziché la contribuzione piena e ordinaria, un prelievo scontato al solo datore di lavoro ammettendo il pagamento di un’aliquota ridotta, detta solidarietà, in misura del 10% da versare alle gestioni pensionistiche d’iscrizione dei lavoratori fino al tetto del 3% della retribuzione imponibile percepita da ciascun lavoratore nell’anno solare di riferimento.
In base al nuovo regime, che comunque opera sui premi di risultato (cioè sulle erogazioni stabilite dai contratti di secondo livello, aziendali e/o territoriali), lo sconto è previsto sia a favore dei datori di lavoro che dei lavoratori. Ai primi, dietro esplicita richiesta, lo sgravio può essere concesso fino a un tetto massimo del 5% della retribuzione contrattuale percepita dal lavoratore in misura del 25%, mentre ai lavoratori è del 100%; ciascuno applica la riduzione con riferimento alla contribuzione propria dovuta per legge. Il nuovo regime, tuttavia, non opera automaticamente, ma occorre annualmente l’emanazione di un apposito decreto interministeriale (lavoro ed economia) che fissi le coordinate con riferimento alla misura massima (come detto non oltre il 5%) e alle specifiche modalità applicative.
Lo sgravio contributivo è relativo alla quota di retribuzione imponibile costituita delle erogazioni previste dai contratti collettivi nazionali e territoriali, ovvero di secondo livello, delle quali siano incerti la corresponsione o l’ammontare, e la cui struttura sia correlata dal contratto collettivo stesso alla misurazione di incrementi di produttività, qualità e altri elementi di competitività assunti come indicatori dell’andamento economico dell’impresa e dei suoi risultati. Con riferimento all’anno 2008, la decontribuzione ha operato secondi i criteri stabiliti dal decreto 7 maggio. Il provvedimento ha previsto alcune condizioni a carico delle imprese (la sottoscrizione dei contratto; il Durc); ha fissato il tetto massimo al 3% e ha stabilito l’accesso allo sgravio in base ad una graduatoria formata in ragione della tempestività d’invio (telematico) della domanda di accesso al bonus, operazione resa possibile il 15 settembre 2008 (click day).
L’operatività dell’agevolazione per l’anno 2009 dovrebbe essere più semplice, anche se per uno sconto di misura ridotta. Secondo quanto risulta a ItaliaOggi, infatti il provvedimento di attuazione è pronto e firmato dal ministro del lavoro e attende solo la firma del ministro dell’economia. In base a tale decreto, il tetto massimo per l’applicazione dello sconto dovrebbe scendere al 2,25% della retribuzione imponibile annua dei lavoratori.
Una riduzione che servirà, secondo le stime dell’Inps, a far usufruire dello sgravio contributivo tutte le imprese, con la conseguente eliminazione del click day (la domanda resta necessaria) e della graduatoria di accesso legata alla tempestiva trasmissione online dell’istanza.

LA DECONTRIBUZIONE
LO SCONTO Consiste dello sgravio contributivo sulla retribuzione contrattuale percepita dal lavoratore come premio di risultato nelle seguenti misure:
– 25% per i datori di lavoro
– 100% per i lavoratori
L’INCENTIVO Lo sgravio si applica alla quota di retribuzione imponibile costituita dalle erogazioni previste dai contratti collettivi aziendali e territoriali, ovvero di secondo livello, dalle quali siano incerti la corresponsione o l’ammontare, e la cui struttura sia correlata dal contratto collettivo stesso nella misurazione di incrementi di produttività, qualità e altri elementi di competitività assunti come indicatori dell’andamento economico dell’impresa e dei suoi risultati
LE REGOLE PER IL 2009 – il tetto per l’incentivo è fissato al 2,25% della retribuzione annua del lavoratore (nel 2008 è stato del 3%)
– l’ammissione al bonus avviene dietro presentazione di domanda, ma senza graduatorie né click day

TRATTO DA “ITALIA OGGI”

DOTT.SSA MONICA MELANI

Sigarette, in azienda

Sigarette, in azienda

SIGARETTE, IN AZIENDA
Per manager e preposti arresto fino a sei mesi o supermulta

Al lavoratore che trasgredisca il divieto di fumo negli ambienti di lavoro, infatti, può essere contestata la violazione del mancato rispetto delle disposizioni e delle istruzioni impartite dal datore di lavoro, da dirigenti e preposti ai fini della protezione collettiva e individuale (articolo 20 del T.u. sicurezza). Violazione per la quale è prevista, appunto, la sanzione dell’arresto fino a un mese o l’ammenda da 200 a 600 euro. Peggio può andare al datore di lavoro (e ai dirigenti e preposti): la sanzione sul mancato rispetto del divieto di fumo sui luoghi di lavoro, infatti, può arrivare all’arresto fino a sei mesi o all’ammenda fino a 6.400 euro. Ad evidenziarlo è l’Ispesl che ha pubblicato una guida per la gestione del fumo di tabacco nei luoghi di lavoro.

IL FUMO E LA LEGGE.
La normativa sul divieto di fumo prima del 2003 riguardava solo alcuni luoghi pubblici (sale corse, cinema, ospedali, scuole,…) e tutelava solo i lavoratori impiegati in particolari attività per le quali il fumare sarebbe stato pericoloso (lavoro sotterraneo, cassoni ad aria compressa, cave e miniere, esposizioni ad agenti biologici, chimici pericolosi e cancerogeni). La svolta si è avuta con la legge n. 3/2003, entrata in vigore nel 2005, quando il divieto di fumo è stato esteso a tutti i locali chiusi, con le sole eccezioni dei locali riservati a fumatori e quelli privati non aperti ad utenti e al pubblico.
Nell’accordo 16 dicembre 2004 si raccomanda ai datori di lavoro nei luoghi di lavoro pubblici e privati di fornire anche un’adeguata informazione ai lavoratori sui rischi per la sicurezza e la salute derivanti dal fumo di tabacco attivo e passivo, sulle misure di prevenzione del fumo adottate nel luogo di lavoro, sulle procedure previste dalla normativa vigente per la violazione del divieto e sulle modalità efficaci per smettere di fumare, avvalendosi dei servizi competenti in materia. Oltre alle sanzioni di carattere generale, per l’inosservanza del divieto di fumo nei luoghi di lavoro, altre sanzioni sono previste per i lavoratori, datori di lavoro, dirigenti e preposti dal T.u. sicurezza (il dgls n. 81/2008).

COSA DEVE FARE IL DATORE DI LAVORO .
Secondo l’Ispesl, il datore di lavoro deve dare segnali chiari ed univoci di divieto di fumo nei locali chiusi non privati ai sensi della legge n. 3/2003, sia posizionando un’idonea cartellonistica che istituendo la vigilanza del divieto. In quanto “promotore della salute”, il datore di lavoro può anche elaborare una politica di gestione del fumo di tabacco in azienda coinvolgendo i lavoratori e le altre figure della prevenzione per la salute e sicurezza in azienda. Pur non essendo obbligato, il datore di lavoro ancora può istituire nella propria azienda i locali riservati ai fumatori che devono rispondere alle caratteristiche del dpcm 23 dicembre 2003. l’Ispesl ricorda, al riguardo, che gli impianti di ventilazione non sembrano in grado di abbattere i rischi per la salute legati alla esposizione a fumo passivo. Anche l’American Society of Heating, Refrigerating and Air Conditioning Engineers (ASHRAE), un organismo internazionale di normazione in materia di qualità dell’aria interna e ventilazione, ha affermato, che il solo modo efficace di eliminare i rischi per la salute derivanti dall’esposizione al fumo passivo è quello di vietare il fumo negli ambienti interni. Il datore di lavoro, in collaborazione con il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, il medico competente e il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza come previsto dal T.u. sicurezza deve informare i lavoratori sui danni del fumo attivo e passivo e sulla relazione con i rischi lavorativi. Deve, inoltre, valutare l’esposizione al fumo passivo dei lavoratori impiegati nei locali riservati ai fumatori come esposizione ad agenti chimici e cancerogeni; individuare le adeguate misure di prevenzione e di protezione ed elaborare il programma delle misure atte a garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di salute e sicurezza.
In ogni caso, il datore di lavoro è tenuto a far rispettare il divieto di fumo:
· Tutti i posti dove si impiegano prodotti infiammabili, incendiabili e esplodenti (articolo 63, Allegato IV, del dgls n. 81/2008);
· Attività in cui vi è esposizione ad agenti biologici (articolo 273, comma 2, del dgls 81/2008);
· Attività in cui si utilizzano sostanze cancerogene (articolo 237, comma 1, lettera b, e articolo 238, comma 2, del dgls n. 81/2008);
· Attività in cui si impieghino sostanze radioattive (dgls n. 241/2000);
· Attività con esposizione ad amianto (articolo 252, comma 1, lettera a, del dgls n. 81/2008);
· Lavoro nei cantieri, locali di riposo, locali di refezione (allegato XIII, punto 4, del dgls n. 81/2008);
· Locali chiusi di lavoro (legge n. 81/2008);

La soluzione migliore per eliminare i danni per la salute dovuti al fumo passivo è il divieto di fumo.

Dove ciò non fosse possibile (locali per fumatori) dovranno essere applicate tutte le misure atte a ridurre il rischio ai più bassi livelli di esposizione ed eventualmente misure di protezione individuali e sorveglianza sanitaria tenendo conto delle donne in stato di gravidanza, dei minori e della suscettibilità individuale.

LE DIECI REGOLE (1)
Cosa si deve e si può fare in azienda per il controllo del fumo
Applicare il divieto di fumo in tutti i luoghi chiusi
Vigilare sul rispetto del divieto di fumo in tutti i luoghi chiusi
Effettuare la valutazione del rischio per i lavoratori esposti a fumo passivo nei luoghi chiusi ove è consentito fumare (locali per fumatori, carceri, …)
Valutare il benessere psicofisico lavorativo riguardo al fumo
Informare sui danni da fumo attivo e passivo anche in relazione ai rischi lavorativi
Effettuare la sorveglianza sanitaria dei lavoratori esposti al fumo passivo
Organizzare un gruppo di lavoro aziendale per la gestione del problema fumo di tabacco predisporre idonei locali/spazi/pause per i fumatori (se deciso dall’azienda)
Attuare periodicamente iniziative per la disassuefazione (corsi, facilitazioni all’accesso a strutture esterne, presenza di specialisti in azienda)
Monitorare e valutare periodicamente (6-12 mesi) la politica antifumo aziendale
(1) Fonte: Ispesl

LE SANZIONI PER IL FUMO IN AZIENDA
Per datore di lavoro e dirigenti. Al datore di lavoro che non abbia valutato il rischio di esposizione a fumo passivo e che non abbia per questo impartito delle direttive riguardo il divieto di fumo in tutti gli ambienti chiusi può essere contestata la violazione:
· Dell’articolo 223, comma1, del dgls n. 81/2008 (mancata valutazione del rischio da esposizione ad agenti chimici pericolosi) (arresto da 3 a 6 mesi o ammenda da 2.500 a 6.400 euro)
· e/o dell’articolo 236 del dgls n. 81/2008 (mancata valutazione del rischio da esposizione ad agenti cancerogeni) (arresto da 3 a 6 mesi o ammenda da 2.500 a 6.400 euro)
· e articolo 235 del dgls n. 81/2008 (mancata implementazione di misure volte a eradicazione del rischio) (arresto da 3 mesi a 6 mesi o ammenda da 2.500 a 6.400 euro);
Al datore di lavoro che consenta ai lavoratori di fumare (e che, quindi, non garantisca la salubrità dell’aria dei locali di lavoro) può anche essere contestata la violazione dell’articolo 64, comma 1, del dgls n. 81/2008 (arresto da 2 a 4 mesi o ammenda da 1.000 a 4.800 euro)
Al datore di lavoro che non segnali il divieto di fumare con l’apposita cartellonistica può essere contestata la violazione dell’articolo 163 del dgls n. 81/2008 (arresto da 3 mesi a 6 mesi o ammenda da 2.500 a 6.400 euro)
Al datore di lavoro o al dirigente che non richieda il rispetto del divieto di fumare negli ambienti in cui è proibito può essere contestata la violazione dell’articolo 18, comma 1, lettera f del dgls n. 81/2008 (arresto da 2 a 4 mesi o ammenda da 1.200 a 5.200 euro)
Al datore di lavoro o al dirigente che non abbia provvisto i locali ove vi sia esposizione ad agenti cancerogeni di segnali riportanti il divieto di fumo o che non abbia previsto il divieto di fumo in dette aree può essere contestata la violazione dell’articolo 237 del dgls n. 81/2008 (arresto da 3 a 6 mesi o ammenda da 2.500 a 6.400 euro)
Per i preposti. Al preposto che non richieda il rispetto del divieto di fumare negli ambienti in cui ciò è proibito può essere contestata la violazione dell’articolo 19, comma 1, lettera a, del dgls n. 81/2008 (arresto fino a 2 mesi o ammenda da 400 a 1.200 euro)
Al preposto che non abbia vigilato sul rispetto del divieto di fumo in dette aree può essere contestata la violazione dell’articolo 237 del dgls n. 81/2008 (arresto da 3 a 6 mesi o ammenda da 2.500 a 6.400 euro)
Per i lavoratori. Al lavoratore che trasgredisca il divieto di fumo negli ambienti in cui ciò è proibito può essere contestata la violazione dell’articolo 20, comma 2, lettera b, del dgls n. 81/2008 (arresto fino a un mese o ammenda da 200 a 600 euro)
Il ruolo del medico competente.
L’Ispesl spiega che secondo la strategia europea dell’Oms del 2004 per la lotta al tabagismo, almeno 10 minuti di consulenza intensiva da parte di un medico sono il metodo più efficace per indurre un’astinenza di lungo termine e il coinvolgimento della classe medica è tra le prime dieci principali azioni antifumo. Il medico competente in azienda potrebbe rivestire un ruolo centrale nell’attività di disassuefazione del tabagismo nei confronti di soggetti sani nella fascia d’età che va dalla giovinezza alla maturità piena considerando che il 34% di tutte le cause di morte attribuibili al fumo di tabacco si verifica nella popolazione fra i 35 e i 69 anni. Egli è l’unico sanitario che, dovendo definire l’idoneità al lavoro, incontra i suoi “pazienti” nel momento in cui generalmente “stanno bene”, quindi la sua azione può raggiungere quei soggetti che, godendo buona salute, non si rivolgono ai medici di famiglia.
Le patologie causate dal fumo di tabacco possono essere causa o concausa di limitazioni, prescrizioni e idoneità per i lavoratori e ostacolare il riconoscimento di eventuali malattie professionali. L’eventuale giudizio di inidoneità può costituire un problema di ricollocamento lavorativo e un ulteriore aumento dei costi aziendali per l’acquisizione e la formazione di altro personale.
Durante le visite preventive e periodiche, il medico competente può condurre un’azione informativa sulla nocività del fumo attivo e passivo e dissuadere i fumatori cercando di intervenire nei diversi momenti delle fasi di cambiamento rispetto all’abitudine al fumo (voglia di iniziare, desiderio di smettere, ricaduta) rafforzando le motivazioni di chi ha deciso di smettere o sostenendo chi ha avuto una ricaduta.

DOTT.SSA MONICA MELANI

Gli interessi legali scendono di due punti

Gli interessi legali scendono di due punti

GLI INTERESSI LEGALI SCENDONO DI DUE PUNTI

Dal 1° gennaio gli interessi legali avranno un tasso pari all’1% (due punti in meno rispetto al tasso del 3% in vigore nell’anno 2009). Si tratta di un adeguamento al ribasso stabilito dal decreto firmato il 4 dicembre dal ministro dell’economia e delle finanze e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 15 dicembre 2009.

La riduzione è avvenuta, come spiega il governo in una nota, in considerazione del rendimento medio annuo lordo dei titoli di stato di durata non superiore a 12 mesi e tenendo conto anche del tasso di inflazione.

Si riporta il testo del provvedimento del 4 dicembre 2009:
“il ministro dell’economia e delle finanze, visto l’art. 2, comma 185, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, recante misure di razionalizzazione della finanza pubblica che, nel fissare al 5% il saggio degli interessi legali di cui all’art. 1284, comma 1, del codice civile, prevede che il ministro dell’economia e delle finanze può modificare detta misura sulla base del rendimento medio annuo lordo dei titoli di stato di durata non superiore a dodici mesi e tenuto conto del tasso di inflazione registrato nell’anno; visto il proprio decreto ministeriale 12 dicembre 2007, pubblicato nella G.U. n. 291 del 15 dicembre 2007, con il quale la misura del tasso di interesse legale è stata fissata al 3% in ragione d’anno, con decorrenza dal 1° gennaio 2008; visto il decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia);
tenuto conto del rendimento medio annuo lordo dei predetti titoli di stato e del tasso d’inflazione annuo registrato; decreta: Art. 1 – La misura del saggio degli interessi legali di cui all’art. 1284 del codice civile è fissata all’1% in ragione d’anno, con decorrenza dal 1° gennaio 2010. Il presente decreto sarà pubblicato nella G.U. della repubblica italiana”.

DOTT.SSA MONICA MELANI

Doni sotto l’albero senza ritenute

Doni sotto l’albero senza ritenute

DONI SOTTO L’ALBERO SENZA RITENUTE
Fisco e contributi esclusi se il valore non supera i 258 euro

Dono di natale senza tasse e contributi, se di valore inferiore ai 258,24 euro. Un centesimo in più e ai lavoratori arriva il colpo di scure: tasse e contributi sull’intero importo corrispondente al dono aziendale. Non c’è scampo a tasse e contributi, invece, quando il dono consiste di una elargizione monetaria (le cosiddette liberalità): a prescindere dall’importo erogato, fisco e istituti di previdenza esigono a percentuale intera.

GLI EXTRA IN BUSTA PAGA.
I fringe benefits rappresentano forme di remunerazione aggiuntive alla retribuzione principale del lavoratore, concesse dal datore di lavoro al dipendente. Insomma, degli extra in busta paga. Si tratta, per il fisco, di compensi in natura quantificabile (appunto ai fini fiscali e, quindi, anche contributivi) in base al loro “valore normale”.
Per “liberalità” si intendono le erogazioni concesse dai datori di lavoro in occasioni di festività o ricorrenze, oppure quei sussidi occasionali concessi in occasione di rilevanti esigenze personali o familiari del dipendente: o ancora i sussidi corrisposti a dipendenti vittime dell’usura o ammessi a fruire delle erogazioni pecuniarie a ristoro dei danni conseguenti al rifiuto opposto a richieste estorsive.
La disciplina fiscale e contributiva del fringe benefits e delle liberalità è mutata radicalmente l’anno scorso, dal 29 maggio 2008.
Fino tale data le due categorie di extra in busta paga avevano ciascuna una propria disciplina: la prima categoria (fringe benefit), dettata dal comma 3, dell’articolo 51 del Tuir (il dpr n. 917/1986); la seconda (liberalità) dettata dal comma 2, lettera b), del medesimo articolo 51 de Tuir.

FRINGE BENEFIT.
Rientrano nella categoria dei “fringe benefit” tutti i beni ceduti o i servizi prestati ai dipendenti dal datore di lavoro e dall’azienda. Si tratta, in sostanza, di compensi in natura quantificabili, ai fini fiscali, in base al loro “valore normale”.
Per valore normale si intende il prezzo mediamente praticato per i beni e servizi della stessa specie o di quelli simili, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione. Occorre inoltre far riferimento al tempo e al luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, al tempo o al luogo più prossimi. Per determinare il valore normale si fa riferimento, in quanto possibile ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle Camere di commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d’uso.
In deroga a questo criterio di valutazione, per i più diffusi fringe benefits sono previste regole specifiche di determinazione. In particolare, vi sono criteri forfettari di quantificazione del valore dei seguenti veicoli aziendali; dei prestiti; dei fabbricati concessi in locazione, uso o comodato.
La disciplina fiscale stabilisce che il fringe benefit non è soggetto a tassazione (ossia non concorre a formare il reddito dei lavoratori dipendenti ai quali sono attribuiti) se complessivamente d’importo non superiore nel periodo d’imposta a 258,23 euro; se il predetto valore è superiore al citato limite, il fringe benefit concorre interamente a formare il reddito e, dunque, è soggetto per intero a tassazione.
del Tuir).

LE EROGAZIONI LIBERALI.
Rientrano nella categoria delle “liberalità” tutte le erogazioni (appunto) liberali concesse dal datore di lavoro in occasione delle festività o di ricorrenze alla generalità o a categorie di dipendenti non superiori nel periodo d’imposta a euro 258,23, nonché i sussidi in occasione di rilevanti esigenze personali o familiari del lavoratore dipendete e quelli corrisposti ai dipendenti vittime dell’usura (legge n. 108/1996) o ammessi a fruire delle erogazioni pecuniarie a ristoro dei danni conseguenti a rifiuto opposto a richieste estorsive (legge n. 172/1992).
Il dl n. 93/2008 ha cancellato tale previsione, mediante l’abrogazione della relativa disposizione di riferimento (cioè il comma 5, lettera b), dell’articolo 51 del Tuir). Per effetto di tale soppressione, ha spiegato l’Agenzia delle entrate (circolare n. 59/2008), concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente e, dunque, pagano le tasse per l’intero importo le erogazioni liberali non superiori nel periodo d’imposta a 258,23 euro concesse in occasione di festività o ricorrenze alla generalità o a categorie di dipendenti e tutti gli altri sussidi prima esentati.
In applicazione del principio di cassa che caratterizza la tassazione dei redditi di lavoro dipendente, inoltre, l’abrogazione ha effetto con riguardo alle somme e ai valori erogati successivamente alla data di entrata in vigore del dl n. 93/2008, quindi dal 29 maggio 2008.

IL NUOVO REGIME.
In pratica, stando alla lettera della legge, le erogazioni liberali concesse in occasione di festività o di ricorrenze alla generalità o a categorie di dipendenti non potevano essere più escluse dal reddito dei lavoratori, fino all’importo di euro 258,23 a partire dal 29 maggio 2008. tuttavia, ha evidenziato l’Agenzia delle entrate, “restano ferme le specifiche eccezioni previste nell’articolo 51 del Tuir”, il che significa la possibilità di ricorrere alle eccezioni previste a proposito dei “fringe benefit”. Infatti l’Agenzia ha comunicato (nella circolare n. 59/2008) di ritenere che la previsione dell’articolo 51, comma 3, del Tuir fornisca dei criteri che “debbano essere utilizzati anche se il benefit consiste in una erogazione liberale in natura”. Pertanto, se la liberalità è erogata in natura (sotto forma di beni o servizi o di buoni rappresentativi degli stessi) rientra nella previsione di esclusione del reddito ove risulti d’importo non superiore, nel periodo d’imposta, a euro 258,23. Non solo; ma l’esenzione ora si applica anche alla liberalità erogata a un solo dipendente non essendo più richiesto che la sua erogazione venga concessa in occasione di festività o di ricorrenze alla generalità o a categorie di dipendenti.

I PRINCIPALI REDDITI ESENTI
Contributi obbligatori previdenziali e assistenziali versati dal datore di lavoro o dal lavoratore
Sussidi occasionali concessi in occasione di rilevanti esigenze personali o familiari dal dipendente e quelli corrisposti a dipendenti vittime dell’usura (erogati fino al 29 maggio 2008)
Contributi versati per la previdenza complementare
Erogazioni effettuate dal datore di lavoro in conformità a contratti collettivi o accordi e regolamenti aziendali a fronte di spese sanitarie deducibili dal reddito
Il valore delle azioni offerte a tutti i dipendenti per un importo non superiore complessivamente nel periodo d’imposta a 2.065,83euro, a condizione che non siano riacquisite dalla società emittente o dal datore di lavoro e cedute prima che siano trascorsi tre anni.
Indennità sostitutive vi vitto (compresi ticket restaurants) fino all’importo complessivo giornaliero di 5,29 euro
Erogazioni liberali concesse (fino al 29 maggio 2008) in occasione di festività o ricorrenze alla generalità o a categorie di dipendenti, per un importo non superiore nel periodo d’imposta a 258,23 euro
Prestazioni di servizi di trasporto collettivo in favore di tutti o di categorie di dipendenti
Contributi per assistenza sanitaria, versati dal datore di lavoro o dal lavoratore a enti o casse aventi finalità assistenziale, nel limite massimo attualmente fissato in 3.615,20
Somme erogate dal datore di lavoro alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti per frequenza di asili nido e di colonie climatiche ds parte di familiari, nonché per borse di studio a favore dei medesimi familiari
Mance percepite (nella misura del 25%) dagli impiegati tecnici delle case da gioco (croupiers)

L’AUTO AZIENDALE, I PRESTITI E L’ALLOGGIO
Il più rinomato tra i fringe benefits è l’auto aziendale. Per gli autoveicoli, i motocicli e i ciclomotori utilizzati oltre che per esigenze di lavoro anche per uso privato (concessi cioè in uno promiscuo), si utilizza un criterio forfettario che prescinde dalla effettiva percorrenza e dai costi effettivamente sostenuti. Il valore del fringe benefit è pari al 30% dell’importo che corrisponde a una percorrenza convenzionale di 15 mila chilometri, calcolato sulla base del costo chilometrico di esercizio desumibile delle tabelle Aci, al netto dell’ammontare eventualmente trattenuto al dipendente per l’utilizzo del mezzo. Se il veicolo non è concesso in uso promiscuo, la suddetta regola forfettaria di valorizzazione del fringe benefit non trova applicazione. In tale ipotesi: per il veicolo concesso per uso esclusivamente personale, il valore del fringe bene è determinato secondo la regola generale del valore normale; l’utilizzo di veicoli

Riposi, sanzioni quadrimestrali

Riposi, sanzioni quadrimestrali

RIPOSI, SANZIONI QUADRIMESTRALI
La verifica delle violazioni deve considerare almeno quattro mesi.

Una pluralità di violazioni al riposo settimanale riferite al medesimo lavoratore dà luogo a una sola sanzione, se le singole violazioni ricadano in uno stesso periodo di riferimento (è il periodo che la legge fissa in quattro mesi e che il ccnl possono allungare fino dodici mesi). Lo precisa, tra l’altro, il ministero del lavoro nella nota protocollo n. 19428/2009.

RIPOSO SETTIMANALE.
Preliminarmente il ministero ricorda che, a seguito delle modifiche apportate dalla legge n. 133/2008 al dl n. 66/2003 (riforma orario di lavoro), il lavoratore ha diritto ogni sette giorni a un periodo di riposo di almeno 24 ore consecutive, di regola in coincidenza con la domenica, da cumulare con le ore di riposo giornaliero; e che tale periodo di riposo consecutivo è calcolato come media in un periodo non superiore a 14 giorni. Sotto l’aspetto sanzionatorio, inoltre, il ministero ricorda che, prima di procedere a sanzionare il mancato rispetto della disciplina in materia di riposi, è necessario verificare l’esistenza di eventuali deroghe introdotte dalla contrattazione collettiva. Questo perché la Direttiva Sacconi impone che l’ispezione consideri il quadro normativo accanto a quello contrattuale collettivo, anche aziendale, al fine di contestare legittimamente le violazioni riscontrate rispetto al regime giuridico vigente in azienda. E questi elementi devono compiutamente emergere dal verbale unico conclusivo degli accertamenti.
LA MEDIA QUALE CRITERIO DI CALCOLO.
Ai fini del calcolo dei due riposi settimanali di almeno 24 ore da usufruire nell’arco temporale di 14 giorni, spiega il ministero, il criterio da seguire è quello della media. Operativamente, l’ispettore deve partire dall’ultimo giorno di riposo settimanale fruito dal lavoratore (cosiddetto il dies a quo) e, procedendo a ritroso, va a verificare se nei 13 giorni precedenti il lavoratore abbia goduto di un altro giorno di riposo; e così via, la verifica dovrà riguardare l’intero arco temporale oggetto di controllo.

UNA SOLA SANZIONE.
Con riferimento alla disciplina sanzionatoria, il ministero ricorda che la violazione alle disposizioni sul riposo settimanale è punita con la sanzione amministrativa da 130 a 780 euro per ogni lavoratore, per ciascun “periodo di riferimento” cui si riferisca la violazione. Tale periodo è fissato dalla legge in misura non superiore a quattro mesi, salva diversa previsione dei contratti collettivi che possono elevarlo “fino a sei mesi ovvero fino a 12 mesi a fronte di ragioni obbiettive, tecniche o inerenti all’organizzazione del lavoro, specificate negli stessi contratti collettivi”. Da tanto, spiega il ministero, ne consegue che il personale ispettivo, una volta individuato il periodo di riferimento oggetto di accertamento (normalmente quattro mesi), è all’interno di detto periodo che dovrà verificare il rispetto della norma che impone il godimento di almeno due giorni di riposo nell’ambito di 14 giorni (seguendo il criterio sopra descritto). Una pluralità di violazioni riferite al medesimo lavoratore, se ricadenti nel periodo di riferimento oggetto di accertamenti, danno comunque luogo a una sola sanzione. Per maggior chiarezza, il ministero riporta questo esempio:
1. il periodo di riferimento è pari a quattro mesi: gennaio/aprile 2009;

2. nell’ambito di tale periodo il personale ispettivo dovrà provvedere, partendo dall’ultimo giorno di riposo fruito (per esempio: domenica 26 aprile), a verificare se nei 13 giorni precedenti il lavoratore ha goduto di almeno un altro giorno di riposo; la medesima procedura può essere effettuata partendo da qualsiasi giorno di riposo fruito nell’ambito del periodo di riferimento;
3. appurata la violazione o più violazioni con riferimento al medesimo lavoratore, la sanzione sarà sempre una sola (da 130 a 780 euro); soltanto qualora i lavoratori interessati dalla violazione siano più di uno (sempre nell’ambito dello stesso periodo di riferimento), si dovrà procedere alla contestazione/notificazione di più violazioni.

DOTT.SSA MONICA MELANI

Assegni familiari, cresce il reddito

Assegni familiari, cresce il reddito

ASSEGNI FAMILIARI, CRESCE IL REDDITO

I LIMITI PER IL 2010
NUCLEO
FAMILIARE
REDDITO FAMILIARE ANNUO OLTRE
IL QUALE CESSA LA CORRESPONSIONE
DEL TRATTAMENTO DI FAMIGLIA PER IL PRIMO FIGLIO
REDDITO FAMILIARE ANNUO
OLTRE IL QUALE CESSA
LA CORRESPONSIONE DI
TUTTI GLI ASSEGNI
1 persona * € 8.570,36
2 persone € 14.221,56 € 17.031,82
3 persone € 18.286,24 € 21.896,08
4 persone € 21.838,31 € 26.152,66
5 persone € 25.393,40 € 30.409,26
6 persone € 28.778,83 € 34.464,36
7 o più persone € 32.163,65 € 38.518,78
(*) L’ipotesi riguarda il soggetto maggiorenne titolare di pensione ai superstiti unico componente il nucleo familiare.

Tetto più alto per gli assegni familiari. Come l’assegno per il nucleo familiare (Anf), anche i vecchi assegni familiari, fermi ancora a 10,21 euro al mese (19.760 delle vecchie lire) sono condizionati dal reddito. I limiti da considerare sono rivalutati ogni anno in ragione del tasso d’inflazione programmato, anziché all’indice d’inflazione. Per il 2010 si registra un aumento dell’1,5%.

Con la consueta circolare di inizio anno (n. 2/2010), l’Inps ha reso noto le nuove tabelle da utilizzare. Va qui precisato che la prestazione spetta ai soli soggetti esclusi dalla normativa dell’Anf (diretta ai lavoratori dipendenti), vale a dire:
· Lavoratori autonomi, ossia coltivatori diretti, mezzadri e coloni (il cui importo mensile è fissato a 8,18 euro);
· Piccoli coltivatori diretti che integrano fino a 51 le eventuali giornate di lavoro agricolo dipendente;
· Pensionati delle gestioni speciali per i lavoratori autonomi (artigiani, commercianti e coltivatori).

Occorre inoltre aggiungere che per economicità di spazio, pubblichiamo la sola tabella “base” che riguarda la generalità degli interessati. Per quanto invece attiene:
· I soggetti nella condizione di vedovo/a, divorziato/a, separato/a legalmente, abbandonato/a, celibe o nubile, occorre maggiorare i valori del 10 %;
· I soggetti nel cui nucleo familiare siano comprese persone, per le quali possono attribuirsi i trattamenti di famiglia, dichiarate totalmente inabili, i valori vanno maggiorati del 50 %;
· I soggetti nella condizione di vedovo/a, divorziato/a, separato/a legalmente, abbandonato/a, celibe o nubile, nonché nel cui nucleo familiare siano comprese persone, per le quali possono attribuirsi i trattamenti di famiglia, dichiarate totalmente inabili, occorre maggiorare i valori del 60 %;

Occorre infine ricordare che i limiti di reddito mensili da considerare ai fini dell’accertamento del carico insufficienza economica e quindi del riconoscimento del diritto agli assegni familiari per il 2010 sono fissati 649,49 euro per il coniuge, per un genitore per ciascun figlio od equiparato e 1.136,08 euro per due genitori.

DOTT.SSA MONICA MELANI

regolarizzazioni contributive sulle stock options

regolarizzazioni contributive sulle stock options

SI PARTE CON LE REGOLARIZZAZIONI CONTRIBUTIVE SULLE STOCK OPTIONS.

Si parte con le regolarizzazioni contributive sulle stock options. L’Inps offre una bussola sulla spinosa questione dell’esenzione contributiva per i redditi da lavoro dipendente derivanti dall’esercizio di piani di stock option.
La circolare n. 123 dell’11 dicembre 2009 fornisce dei chiarimenti sul regime contributivo e precisa che, entro il 16 marzo 2010, i datori di lavoro che hanno assegnato azioni, possono regolarizzare eventuali situazioni debitorie che si sono venute a creare a seguito di incertezze interpretative.
Ricordiamo che a partire dal 25 giugno 2008 opera il regime di esenzione contributiva, infatti, il decreto legge 25 giugno 2008 n. 112, convertito in legge 6 agosto 2008 n. 133 ha disposto, all’articolo 82, c. 23, l’abrogazione della lettera g-bis) del comma 2 dell’art. 51 del Tuir che prevedeva il regime fiscale agevolato per le stock option che non interessano la generalità dei lavoratori. Si applicava, quindi, sia ai fini fiscali che contributivi il principio di armonizzazione delle basi imponibili fiscale e contributiva, introdotto dall’articolo 6 del decreto legislativo n. 314/1997.
Lo stesso articolo 82, a seguito dell’abrogazione del regime fiscale agevolato, ha disposto l’esenzione contributiva di tali redditi a decorrere dalla data di entrata in vigore del dl n. 112/2008 ossia dal 25 giugno 2008, in relazione alle azioni assegnate a decorrere dalla suddetta data.

La circolare n. 123/2009 è intervenuta nel merito stabilendo che l’esenzione si applica anche per i piani azionari non generalizzati che prevedono l’assegnazione a titolo gratuito delle azioni.
La data di assegnazione è importante come spartiacque per regolarizzare i periodi precedenti. Con l’introduzione della circolare 123 l’Inps ci tiene a precisare però che le disposizioni del dl 223/2006 continuano a produrre effetti anche dopo l’entrata in vigore del dl 262/2006, la ratio della norma è quella di evitare che le restrizioni al regime fiscale di favore determinino per i datori di lavoro un aumento del costo del lavoro sulla base di impegni che questi ultimi avevano già assunto nei confronti del loro personale per i piani deliberati prima del 5 luglio 2006 e, contemporaneamente che l’ampliamento della base imponibile per i piani deliberati dal 5 luglio 2006 produca effetti sulle anzianità maturate prima di tali date.
Pertanto, anche per gli esercizi di opzione effettuati dal 3 ottobre 2006 e fino al 24 giugno 2008, in base al dl 223/2006, trovano applicazione le diposizioni dell’art. 51, a condizione però che si tratti di assegnazioni di azioni effettuate con piani di incentivazione deliberati prima del 5 luglio 2006.
Per i piani deliberati dal 3 ottobre 2006 con assegnazione delle azioni fino al 24 giugno 2008, il reddito derivante rileva anche ai fini contributivi, con esclusivo riferimento alle anzianità maturate dal 5 luglio 2006. Le aziende che in relazione alle assegnazioni in esame hanno assolto gli obblighi contributivi in difformità di quanto stabilito dalla circolare 123 possono regolarizzare la propria posizione contributiva utilizzando la procedura prevista per la regolarizzazioni contributive, quindi il DM10/V.

Nel momento in cui per l’azienda scaturisca una somma a debito, la regolarizzazione potrà essere effettuata, senza aggravio di oneri aggiuntivi, entro il 16 marzo 2010. Il maggior imponibile assoggettato a contribuzione utile ai fini pensionistici per le sole anzianità maturate dal 5 luglio 2006 in poi, dovrà essere evidenziato nelle denunce individuali separatamente, secondo le modalità che verranno comunicate prossimamente dall’istituto.

DOTT.SSA MONICA MELANI

Irpef, c’è il codice tributo

Irpef, c’è il codice tributo

IRPEF, C’E’ IL CODICE TRIBUTO
Ok al recupero per i maggiori acconti del 2009

Il credito d’imposta per i maggiori acconti irpef 2009 trova il codice. Attraverso la risoluzione n. 248/e di ieri l’agenzia delle entrate ha infatti istituito l’apposito codice tributo che le persone fisiche potranno utilizzare per recuperare l’importo pari al 20% del maggiore acconto irpef pagato per l’anno 2009.
L’articolo 1, comma 1, del decreto legge n. 168 del 2009 ha introdotto la riduzione di venti punti percentuali dei versamenti dovuti a titolo di acconto dell’Irpef per l’anno 2009 da parte delle persone fisiche. L’effetto di tale disposizione è ovviamente quella di consentire a questa categoria di contribuenti il differimento di tali importi, nei limiti di quanto effettivamente dovuto, al momento della determinazione dell’imposta dovuta a saldo per la stessa annualità.
Il credito d’imposta in parola è diretta conseguenza del fatto che il provvedimento citato è entrato in vigore a fine novembre quando ormai molti contribuenti avevano già provveduto al versamento della seconda o unica rata di acconto irpef dovuta per l’esercizio in corso. Per questi ultimi infatti il comma 2 del citato articolo 1 ha previsto la possibilità che gli stessi possano recuperare detti maggiori versamenti sotto forma di un credito d’imposta utilizzabile in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del credito legislativo 9 luglio 1997 n. 241.

Naturalmente anche l’utilizzo di detto credito d’imposta così come la riduzione dell’acconto irpef dovuto per l’anno 2009 dal 99 al 79%, costituisce una mera facoltà per il contribuente che potrebbe aver deciso di versare comunque l’acconto nella misura originariamente prevista e di non avvalersi del suddetto credito d’imposta.
Naturalmente una volta attribuito il credito d’imposta è stabilito che lo stesso è pari alla riduzione del 20% degli acconti Irpef dovuti per l’anno 2009, la possibilità di utilizzo concreto dello stesso era condizionata all’istituzione dell’apposito codice tributo al quale ha provveduto la risoluzione n. 284/e di ieri. Il codice istituito è il 4035 denominato: “Irpef – utilizzo in compensazione del credito d’imposta di cui l’articolo 1, comma 2, dl 168/2009”. Detto codice tributo, precisa la risoluzione in commento, dovrà essere indicato all’interno del modello F24 nella sezione “Erario” in corrispondenza degli importi a credito compensati con indicazione dell’anno di riferimento che ovviamente sarà il 2009.
Naturalmente tale codice non è immediatamente utilizzabile. Occorrerà il tempo tecnico necessario perché lo stesso venga inserito nei sistemi software di creazione e di controllo dei pagamenti relativi ai modelli F24.
Da notare che in attesa della pratica fruibilità di detto nuovo credito d’imposta la bozza della dichiarazione Unico 2010, disponibile sul sito internet delle entrate, ne aveva già recepito gli effetti concreti. Infatti nel rigo RN38 dedicato agli acconti versati per il periodo d’imposta 2009 è stato introdotto un apposito campo denominato “eccedenza di versamento compensata in F24”. All’interno dello stesso il contribuente dovrà indicare quanta parte del suddetto credito d’imposta è stato utilizzato in compensazione per evitare di scomputare a titolo di acconto la quota parte di esso già utilizzata per il pagamento di altre imposte o contributi.

Sfumata quindi la possibilità del recupero di tale credito d’imposta con il pagamento del saldo dell’Ici dovuta per il 2009, il cui termine di pagamento è in scadenza proprio oggi, i contribuenti potranno utilizzare per la prima volta il nuovo codice tributo in occasione dei prossimi versamenti quali, ad esempio, l’acconto Iva in scadenza per il prossimo 28 dicembre.

DOTT.SSA MONICA MELANI

Chi scegli il RLS?

Chi scegli il RLS?

RLS, NON E’ IL DATORE A DECIDERE
L’elezione o la designazione è una facoltà dei dipendenti

Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza? È solo una facoltà dei lavoratori, non un obbligo per i datori di lavoro. Ciò che va garantito in azienda, infatti è la “rappresentanza dei lavoratori”. Pertanto il datore di lavoro non ha più titoli decisionali, una volta che ha richiesto l’elezione o la designazione del rappresentante ai lavoratori.

LA PARTECIPAZIONE DEI LAVORATORI.
Tra i principi della disciplina della sicurezza in azienda emerge quello del maggiore coinvolgimento dei lavoratori. Questa maggiore partecipazione del lavoratori, è affidata al “rappresentante dei lavoratori per la sicurezza”, figura che il T.u. ha aggiornato e diviso in tre tipologie:
1. il Rappresentante Aziendale, è la figura prevista in tutte le aziende o unità produttive con più di 15 lavoratori. Viene eletto o designato dai lavoratori nell’ambito delle rappresentanze sindacali aziendali; in mancanza di queste ultime, è eletto dai lavoratori dell’azienda al loro interno. Il numero (c’è un minimo che va rispettato), le modalità di designazione o elezione nonché il tempo di lavoro retributivo e gli strumenti per l’espletamento delle funzioni vengonostabiliti in sede di contrattazione collettiva.

2. il Rappresentante Territoriali, esercita le competenze proprie del rappresentante per la sicurezza con la particolarità di essere impegnato in più aziende o unità produttive (con meno di 16 lavoratori). La sua designazione o elezione avviene con le modalità che saranno fissate con accordi collettivi o, in via sostitutiva, con un decreto ministeriale.

Tutte le aziende, o le unità produttive, nel cui ambito non sia stato eletto o designato il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza sono tenute a partecipare (finanziarie) al nuovo fondo di sostegno delle pmi.
3. il Rappresentante di sito, è la figura obbligatoria, che si aggiunge al rappresentante aziendale o territoriale, in specifici contesti produttivi caratterizzati dalla compresenza di più aziende o cantieri. È individuato, su loro iniziativa, tra i rappresentanti dei lavoratori della aziende operanti nel sito produttivo.

LA NOMINA.
Le disposizioni ministeriali (articolo 47 del dlgs n. 81/2008, il T.u. sicurezza) stabiliscono che in ogni azienda o unità produttiva deve essere garantita la rappresentanza dei lavoratori per la sicurezza, e ciò indipendentemente dalle dimensioni e dalla composizione di riferimento e, quindi, anche nei casi in cui l’azienda o l’unità produttiva abbia un solo lavoratore. Alla luce di tale disposizione il ministero evidenzia che l’elezione o la designazione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza è una facoltà dei lavoratori e non certo un obbligo del datore di lavoro, il quale, peraltro, una volta chiesta ai lavoratori tale elezione o designazione, non ha alcun titolo decisionale al riguardo.

Quindi, aggiunge il ministero, ove i lavoratori non abbiano eletto o designato un rappresentante dei lavoratori “interno” all’azienda, si applicheranno le disposizioni di cui all’art. 48 del T.u., in virtù delle quali nell’azienda o nell’unità produttiva, a svolgere le funzioni di rappresentanza ai fini della sicurezza, sarà un rappresenta ai fini della sicurezza, sarà un rappresentante “esterno”, nel rispetto delle previsioni di contratto collettivo che regolamenteranno l’elezione o designazione, una volta che saranno emanate (al momento non risultano predisposte).

UNA “TASSA” SULLE PICCOLE AZIENDE.
Il T.u. prevede l’istituzione presso l’Inail di uno specifico fondo a sostegno delle pmi, dei rappresentanti per la sicurezza e della pariteticità, con lo scopo di favorire e finanziare, tra l’altro, le attività dei rappresentanti, la formazione dei datori di lavoro, dei piccoli imprenditori, dei lavoratori stagionali agricoli e dei lavoratori autonomi, infine le attività degli organismi paritetici. Il fondo è previsto che venga finanziato, tra l’altro, da un contributo a carico delle aziende (quelle con meno di 16 lavoratori) che, non avendone l’obbligo, non avranno eletto né designato il rappresentante per la sicurezza.. costerà due ore lavorative annue per lavoratore. Al riguardo, sempre il ministero del lavoro ha precisato che, in caso assenza del rappresentante dei lavoratori “interno”, il datore di lavoro è tenuto a versare questa somma al fondo per il sostegno alla rappresentanza ed alla pariteticità, ma non prima dell’entrata in vigore del previsto decreto (al momento in fase di preparazione).

DOTT.SSA MONICA MELANI

LA MISURA
Il rappresentante dei lavoratori aziendale
È alternativo al rappresentante territoriale nelle aziende o unità produttive che occupano fino a 15 lavoratori.
È obbligatorio in tutte le aziende con almeno 16 lavoratori.
Il numero minimo dei rappresentanti è:
· 1 nelle aziende ovvero unità produttive fino a 200 lavoratori
· 3 nelle aziende ovvero unità produttive da 201 fino a 1.000 lavoratori
· 6 nelle aziende ovvero unità produttive oltre 1.000 lavoratori (misura fissata con accordi interconfederali o contrattazione collettiva)
Il rappresentante dei lavoratori territoriale
È la figura alternativa al rappresentante aziendale nelle aziende o unità produttive che occupano fino a 15 lavoratori
Il rappresentante dei lavoratori di sito
È obbligatorio, ed è individuato tra i rappresentanti delle aziende che operano in un sito produttivo, nei seguenti contesti in cui vi sia compresenza di aziende o cantieri: porti, centri intermodali di trasporto; impianti siderurgici; cantieri con almeno 30 mila uomini-giorno; contesti con problematiche di interferenza delle lavorazioni e con oltre 500 addetti

IL NOMINATIVO VA COMUNICATO ALL’INAIL
Il datore di lavoro e i dirigenti sono tenuti a comunicare all’Inail (all’Ipsema per il settore marittimo) i nominativi dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza. Rientrano nell’obbligo i datori di lavoro (ovvero i dirigenti, se delegati) di qualsiasi settore privato o pubblico. Sono escluse le amministrazioni, gli istituti e le organizzazioni individuate dall’articolo 3, commi 2 e 3-bis (forze armate, vigili del fuoco, cooperative sociali) del T.u. L’adempimento è dovuto in occasione di nomina di uno o più Rls. In sede di prima applicazione (l’adempimento è stato riscritto dal DLgs n. 103/2009), riguarda i nominativi dei Rls già eletti o designati. L’Inail spiega che nessun obbligo ricade sulle aziende che hanno Rls eletti; in tal caso, l’obbligo scatterà alla prima nomina o designazione. Per le aziende o unità produttive in cui già sia presente un Rls, invece, l’adempimento va osservato se non già adempiuto per essere poi ripetuto in occasione di modifiche (per chi ha già fatto la denuncia, le modifiche rilevano dal 1° gennaio 2009, poiché il vecchio adempimento riguardava la situazione in essere al 31 dicembre 2008). La denuncia va fatta sul sito dell’Inail, al quale occorre essere registrati. Eccezionalmente, è consentito la denuncia anche via fax (numero 800657657)
STESSE TUTELE DELLE RAPPRESENTANZE SINDACALI
Il T.u. sicurezza prevede le attribuzioni del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, fermo restando quando stabilito in sede di contrattazione collettiva. Compiti del Rls dunque, sono la facoltà di accedere ai luoghi di lavoro in cui si svolgono le lavorazioni; il diritto:
· a essere consultato preventivamente e tempestivamente in ordine alla valutazione dei rischi, all’individuazione, alla programmazione, alla realizzazione e alla verifica delle prevenzione nella azienda o unità produttiva;
· a essere consultato sulla designazione del responsabile e degli addetti al servizio di prevenzione, all’attività di prevenzione incendi, al primo soccorso, alla evacuazione dei luoghi di lavoro e del medico competente;
· a essere consultato in merito all’organizzazione della formazione;
Ancora riceve:
· le informazioni e la documentazione aziendale inerente alla valutazione dei rischi e le misure di prevenzione relative, nonché quelle inerenti alle sostanze e ai preparati pericolosi, alle macchine, agli impianti, alla organizzazione e agli ambienti di lavoro, agli infortuni e alle malattie professionali; le informazioni provenienti dai servizi di vigilanza
· una formazione adeguata.
Infine:
· promuove l’elaborazione, l’individuazione e l’attuazione delle misure di prevenzione idonee a tutelare la salute e l’integrità fisica dei lavoratori;
· formula osservazioni in occasione di visite e verifiche effettuate dalle autorità competenti, delle quali è, di norma, sentito, partecipa alla riunione periodica; fa proposte in merito all’attività di prevenzione;
· avverte il responsabile della azienda dei rischi individuati nel corso della sua attività;
· può fare ricorso alle autorità competenti qualora ritenga che le misure di prevenzione e protezione dai rischi adottate dal datore di lavoro o dai dirigenti e i mezzi impiegati per attuarle non siano idonei a garantire la sicurezza e la salute durante il lavoro.
Ai fini dello svolgimento di queste attività, i rappresentante dei lavoratori dispone del tempo necessario allo svolgimento dell’incarico senza perdita di retribuzione, nonché dei mezzi e degli spazi necessari per l’esercizio delle funzioni e delle facoltà riconosciutegli, anche tramite l’accesso ai dati contenuti in applicazioni informatiche. Non può subire pregiudizio alcuno a causa dello svolgimento della propria attività e nei suoi confronti si applicano le stesse tutele previste dalla legge per le rappresentanze sindacali. Ultima nota, l’esercizio delle funzioni di rappresentante dei lavoratori per la sicurezza è incompatibile con la nomina di responsabile o addetto al servizio di prevenzione o protezione.

Apprendistato professionalizzante nel terziario

Apprendistato professionalizzante nel terziario

APPRENDISTATO PROFESSIONALIZZANTE NEL TERZIARIO: AL VIA LA FORMAZIONE IN AZIENDA

Confcommercio e le Organizzazioni sindacali, il 23 settembre 2009, hanno raggiunto un’intesa a livello nazionale sull’apprendistato professionalizzante esclusivamente aziendale, dando attuazione a quanto previsto dall’articolo 49, comma 5-ter del D.lgs. n. 276/2003, introdotto dal DL n. 112/2008 (c.d. manovra d’estate), convertito nella Legge n. 133/2008.
Si tratta del primo accordo nazionale per la formazione esclusivamente aziendale, gestita interamente dall’impresa al suo interno o all’esterno (in tutto o in parte), con la semplificazione delle procedure attuative, senza la necessità di ricorrere alla formazione esterna gestita dalle Regioni. Attraverso l’apprendistato professionalizzante “aziendale” è possibile ottemperare alle reali esigenze professionali dell’impresa e ottimizzare la formazione dei lavoratori. Di seguito si illustrano i termini del suddetto accordo che definisce contenuti, criteri attuativi, durata, modalità di erogazione dell’attività formativa.

NOVITA’ In data 23 settembre 2009 tra CONFCOMMERCIO, FILCAMS CGIL, FISASCAT CISL, UILTUCS UIL, è stato sottoscritto il primo accordo nazionale per la formazione esclusivamente in azienda nel contratto di apprendistato professionalizzante.

Ne consegue che un’attività formativa professionalizzante più specifica permette il raggiungimento di competenze più adeguate alle mansioni da parte dei soggetti coinvolti e un vantaggio per la stessa realtà aziendale.

QUADRO NORMATIVO
Dopo aver esaminato la normativa in teme di apprendistato, comprese le disposizioni della contrattazione collettiva, e tenuto conto delle indicazioni ministeriali e giurisprudenziali al riguardo, la Commissione Paritetica costituita in base alla dichiarazione a verbale n. 1 in calce all’articolo 60 del CCNL Terziario del 18 luglio 2008 ha concluso un apposito accordo.
Con tale intesa le Parti sociali hanno dato attuazione alle previsioni contenute nell’articolo 49, comma 5-ter, del D.Lgs. n. 276/2003, aggiunto dall’articolo 23, comma 2, del DL n. 112/2008 (convertito in legge n. 133/2008), che permette l’utilizzo di questa fattispecie contrattuale senza la regolamentazione dei profili formativi a livello regionale.
Infatti, secondo il dettato normativo, l’attuazione dell’apprendistato professionalizzante elusivamente aziendale è demandata alla contrattazione collettiva ovvero agli enti bilaterali:
· “in caso di formazione esclusivamente aziendale non opera quanto previsto dal comma 5. in questa ipotesi i profili formativi dell’apprendistato professionalizzante sono rimessi integralmente ai contatti collettivi di lavoro stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale da associazioni dei datori di lavoro e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale ovvero agli enti bilaterali. I contratti collettivi e gli enti bilaterali definiscono la nozione di formazione aziendale e determinano, per ciascun profilo formativo, la durata e le modalità di erogazione della formazione, le modalità di riconoscimento della qualifica professionale ai fini contrattuali e la registrazione nel libretto formativo.”
ATTENZIONE: quanto disposto in materia di profili formativi dal comma 5 dell’articolo 49 del D.Lgs. n. 276/2003, risulta superato dal presente accordo. Quindi, grazie tale intesa con validità su tutto il territorio nazionale possono essere superate diversità e lacune presenti nei sistemi regionali, con semplificazione delle procedure e modifiche alle previsioni in materia, ad esempio, di tutor e qualità della formazione.

La gestione diretta del contratto di apprendistato da parte dell’azienda comporta la possibilità di prevedere una durata inferiore di ore di formazione di base per realizzare un’attività formativa più appropriata alla competenza da conseguire, con innegabile vantaggio sia per il datore che per il lavoratore.
Le Parti hanno chiarito che la contrattazione integrativa di secondo livello può derogare all’accordo soltanto riguardo l’individuazione di profili formativi specifici, non ricompresi nell’accordo.
ATTENZIONE: viene anche evidenziato il ruolo decisivo degli Enti Bilaterali ai fini dell’ottenimento del parere di conformità nell’ambito della procedura di attuazione dell’apprendistato professionalizzante, come già disposto dal CCnl del Terziario (art. 47).

PREMESSA
Viene sottolineato che il piano formativo individuale può caratterizzarsi per specifiche competenze di settore, di area e di profilo, fra quelle appositamente individuate nelle declaratorie, rispondenti alla qualifica professionale da conseguire e alla struttura organizzativa aziendale.
NOVITA’ Nell’ambito dello steso piano, inoltre, potranno essere incluse “competenze di profilo” di altri profili formativi coerenti con le mansioni effettive che svolgerà l’apprendista qualificato, oppure potranno essere escluse competenze di area, di settore o di profilo non coerenti con le competenze di acquisire.

ATTIVITA’ FORMATIVA
Secondo il documento sottoscritto dalle parti tale attività si caratterizza per una
· Formazione trasversale, identica per tutti gli apprendisti, articolata in cinque aree di contenuti;
· Formazione professionalizzante, nell’ambito della quale si individua una distinzione di settore, di area, di profilo del percorso formativo, in ragione della qualifica professionale da raggiungere.
La distinzione dei contenuti formativi, individuati dalle Parti, è descritta nella seguente tabella

ATTIVITA’ FORMATIVA
CONTENUTI

FORMAZIONE TRASVERSALE, DI BASE

Accoglienza, valutazione del livello di ingresso e definizione del patto formativo
Competenze relazionali
Disciplina del rapporto di lavoro
Organizzazione ed economia
Sicurezza sul lavoro


FORMAZIONE PROFESSIONALIZZANTE

OBBIETTIVI
Conoscenza dei prodotti, dei servizi e del contesto aziendale
Conoscenza delle basi tecniche e scientifiche della professionalità
Conoscenza e utilizzo delle tecniche e dei metodi di lavoro
Conoscenza e utilizzo degli strumenti e delle tecnologie di lavoro (attrezzature, macchinari, strumenti di lavoro, ecc.)
Conoscenza e utilizzo delle misure di sicurezza individuali e di tutela ambientale specifiche del settore
Conoscenza delle innovazioni di prodotto, di processo e di contesto

FORMAZIONE ESCLUSIVAMENTE AZIENDALE
La formazione (sia trasversale di base che professionalizzante) impartita all’apprendista è gestita interamente dall’azienda, senza ricorso a finanziamenti pubblici, e viene erogata:
· All’interno dalle stessa struttura aziendale;
· In tutto o in parte all’esterno dalla stessa .
In entrambi i casi i soggetti coinvolti, interni od esterni, dovranno possedere adeguate competenze professionali, in linea con i contenuti dell’attività formativa e dovranno essere previste modalità idonee per il suo svolgimento.
All’azienda è consentito rivolgersi a strutture esterne, purché accreditate per la formazione continua, secondo la normativa regionale vigente, presso la Regione in cui viene svolta l’attività formativa.

DURATA E CONTENUTI DELLA FORMAZIONE.