ELABORAZIONE DELLE PAGHE CON HR PORTAL

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CONSULENZA DEL LAVORO E SINDACALE

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È ARRIVATO IL PORTALE CENTURION!

Categoria: Circolari

Amministratori e contribuzione a gestione separata

Amministratori e contribuzione a gestione separata

MANOVRA (DL. N. 78/2010)
GLI AMMINISTRATORI DEVONO PAGARE ALL’INPS ANCHE LA CONTRIBUZIONE ALLA GESTIONE SEPARATA

La manovra (dl n. 78/2010) ribalta la sentenza della Corte di cassazione (sezione unite) n. 3240/2010, stabilendo che l’esclusione della doppia iscrizione Inps (socio e lavoratore) prevista dalla legge n. 662/1996 si applica esclusivamente con riferimento ai lavoratori autonomi che svolgono più attività come commercianti, artigiani o coltivatori diretti.

LA STORIA DELLA DOPPIA CONTRIBUZIONE (IVS COMMERCIANTI E GESTIONE SEPARATA).
Più volte abbiamo esaminato la lunga diatriba, tra Inps e amministratori di società, sulla doppia iscrizione e contribuzione alla gestione commercianti e a quella separata. Una questione insorta con la legge n. 662/1996 che, al comma 208 dell’articolo 1, ha previsto che i lavoratori autonomi i quali “esercitino contemporaneamente, anche in un’unica impresa, varie attività autonome assoggettabili a diverse forme di assicurazione obbligatoria per invalidità, vecchiaia e superstiti sono iscritti nell’assicurazione prevista per l’attività alla quale gli stessi dedicano personalmente la loro opera professionale in misura prevalente”, affidando all’Inps il compito di decidere sull’iscrizione nella gestione corrispondente all’attività prevalente.
La questione, che ha innescato un forte contenzioso, sembrava chiusa con la sentenza n. 3240/2010 della cassazione. (vedi circolare precedente)
Questa infatti ha affermato che, come è vero che vige la regola generale per cui l’esercizio di due attività lavorativa deve corrispondere la duplicità d’iscrizione e di contribuzione, è altrettanto certo che nell’ipotesi specifica della doppia attività di lavoro autonomo nelle imprese commerciali la legge ha previsto una deroga: una sola iscrizione, per l’attività esercitata con prevalenza.
In questo modo, dunque, il principio avrebbe consentito di derogare alla doppia imposizione contributiva in tutti i casi di esercizio di più attività, nella stessa o diverse imprese commerciali, anche quando si trattasse di socio (non unico) di società a responsabilità limitata (non invece nelle società di capitali). Una deroga, secondo la cassazione, finalizzata ad evitare la doppia iscrizione (e la doppia contribuzione) per il socio d’opera che, in aggiunta al lavoro prestato per la società, eserciti altre attività di natura autonoma.
Per esempio: socio che partecipi al lavoro aziendale e al contempo svolga attività di cura della contabilità e bilanci a favore di altre imprese.

Ma la manovra (Dl. N. 78/2010) ribalta la sentenza della cassazione. Stabilisce, infatti, che la norma della legge n. 662/1996 si interpreta “nel senso che le attività autonome, per le quali opera il principio di assoggettamento all’assicurazione prevista per l’attività prevalente, sono quelle esercitate in forma d’impresa dai commercianti, dagli artigiani e dai coltivatori diretti”. Aggiungendo anche che, “pertanto, restano esclusi… i rapporti di lavoro per i quali è obbligatoriamente prevista l’iscrizione” alla gestione separata Inps. Alla fine, dunque, prevale la linea dell’Inps e gli amministratori dovranno continuare a versare doppia contribuzione.

DOTT.SSA MONICA MELANI

Ministero del lavoro interpello n17 del 24/05/2010

Ministero del lavoro interpello n17 del 24/05/2010

MIINISTERO DEL LAVORO INTERPELLO N. 17 DEL 24 MAGGIO 2010
COLLOCAMENTO OBBLIGATORIO L.68/99!
Si computa l’invalido al 60% a causa di infortunio

Il ministero del lavoro nell’interpello n. 17 del 24/5/2010, ha precisato che, ai fini della computabilità in quota di riserva del lavoratore assunto come normodotato e divenuto inabile durante il rapporto di lavoro, rileva il grado di inabilità subita dal lavoratore (pari almeno al 60%) e che questa inabilità non sia dovuta a una responsabilità del datore di lavoro. In tal caso, per partecipare a gare pubbliche, il datore di lavoro può attestare il rispetto delle norme sul collocamento obbligatorio dal momento in cui è venuto a conoscenza dei presupposti che rendono computabile il lavoratore divenuto inabile.

QUESITO:
I chiarimenti sono stati richiesti dalla Fise Assoambiente, associazione imprese servizi ambientali. Due i quesiti, entrambi inerenti alla computabilità, nella quota di riserva (legge n. 68/1999), del soggetto assunto normodotato e divenuto inabile durante lo svolgimento del rapporto di lavoro. Il primo chiede di sapere se la computabilità consegua come effetto diretto della visita medica svolta presso la Asl che abbia accertato il raggiungimento della soglia del 60% di riduzione della capacità lavorativa;
il secondo chiede di sapere se, nel caso in cui la computabilità decorra dalla data della visita medica, il rilascio della certificazione di ottemperanza debba tenere conto del lavoratore disabile dal giorno della visita, anche nell’ipotesi del suo omesso computo nei prospetti informativi presentati tra la visita medica e la certificazione di ottemperanza.

RISPOSTA DEL MINISTERO:
Il ministero, prima di tutto, richiama la disciplina sulla computabilità dei lavoratori normodotati nella quota disabili. Tale soluzione è praticabile nel caso in cui i lavoratori divengono inabili con una diminuzione della capacità lavorativa non inferiore al 60% (quindi disabilità del 60% almeno) e questa inabilità non sia dovuta a causa dell’inadempimento da parte del datore di lavoro, accertato in sede giurisdizionale, delle norme sulla sicurezza del lavoro. In secondo luogo, ricorda che il dl n. 112/2008 ha abrogato la certificazione di ottemperanza delle imprese alle norme sul collocamento obbligatorio che era rilasciata dai servizi all’impiego competenti. Oltre questi disposti spiega il ministero, la normativa nulla dice circa le modalità procedurali da seguire ai fini della computabilità del soggetto disabile. Tuttavia, aggiunge, ciò che rileva adesso, è la attestazione da parte del datore di lavoro concorrente l’osservanza degli obblighi sul collocamento obbligatorio. Pertanto, con riferimento ai quesiti dell’interpello, il ministero spiega che, trattandosi di una attestazione concernente la computabilità nella quota d’obbligo di un lavoratore assunto come normodotato e divenuto inabile nel corso del rapporto di lavoro, la circostanza fondamentale è che il soggetto che rilascia l’attestazione (cioè il datore di lavoro) sia in grado di affermare con certezza l’esistenza dei due presupposti della percentuale di disabilità superiore al 60% e dell’assenza di responsabilità da parte dell’impresa.

Tali presupposti, peraltro, non necessitano di valutazioni a carattere discrezionale, in quanto consistono in due elementi di fatto: il primo legato a una certificazione medica che indichi una percentuale di invalidità pari o superiore al limite legale (60%); e l’altro legato alla mancanza di una sentenza passata in giudicato che accerti responsabilità datoriale nell’accadimento di un evento infortunistico.

CONCLUSIONI:
Possono essere computati:
· LA COMPUTABILITA’ DEI LAVORATORI GIA’ ASSUNTI: I lavoratori che divengono inabili di grado non inferiore al 60% per cause non dipendenti dell’inadempimento del datore di lavoro di norme sulla sicurezza del lavoro possono essere computati nella quota di riserva delle assunzioni obbligatorie
· L’ATTESTAZIONE PER LA PARTECIPAZIONE A GARE PUBBLICHE: Il datore di lavoro può attestare il rispetto delle norme sui disabili, considerando pure i lavoratori assunti normodotati e divenuti inabili durante il rapporto di lavoro, dal momento in cui è in grado di affermare con certezza l’esistenza dei presupposti (grado di inabilità del 60% e assenza di responsabilità).

DOTT.SSA MONICA MELANI

Sentenza della Consulta 187 del 28/05/2010

Sentenza della Consulta 187 del 28/05/2010

SENTENZA DELLA CONSULTA 187 DEL 28/05/2010
Extra Ue invalidi, assegno facile

Con la sentenza n. 187 del 28.05.2010, i giudici della Consulta hanno dichiarato parzialmente illegittimo l’articolo 80, comma 19 della legge 388/2000 nella parte in cui subordina al requisito della titolarità del permesso di soggiorno la concessione agli stranieri legalmente soggiornanti nello stato dell’assegno mensile di invalidità, di cui all’art. 13 della legge 118/1971.
Dopo aver premesso che al legislatore italiano è consentito “subordinare, non irragionevolmente, l’erogazione di determinate prestazioni alla circostanza che il titolo di legittimazione dello straniero al soggiorno nel territorio dello stato ne dimostri il carattere non episodico e non di breve durata”, la Corte aggiunge che una volta che il diritto al soggiorno non sia in discussione, non si possono discriminare gli stranieri limitando il godimento dei diritti fondamentali della persona, riconosciuti invece ai cittadini. E di diritto fondamentale si tratta in questo caso, per i giudici della Consulta.
Ripercorrendo i requisiti per la concessione dell’assegno (riduzione della capacità lavorativa nella misura superiore a due terzi, impossibilità di essere collocati al lavoro, condizioni economiche disagiate), la Corte giunge a riconoscere che si tratta di una “erogazione destinata non già a integrare il minor reddito dipendente dalle condizioni soggettive, ma a fornire alla persona un minimo di sostentamento, atto ad assicurare la sopravvivenza”.
Un istituto, quindi che “si iscrive nei limiti e per le finalità essenziali” che la Consulta “ha additato come parametro ineludibile di uguaglianza di trattamento tra cittadini e stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio dello stato”.
Non è necessario per il cittadino straniero avere la carta di soggiorno per poter ottenere l’assegno di invalidità. Secondo la Corte costituzionale, infatti, la finalità del trattamento assistenziale è quello di garantire il “sostentamento” del soggetto, sia esso italiano o straniero, e quindi vincolare la fruizione dell’assegno alla permanenza in Italia da almeno cinque anni rappresenta una discriminazione in contrasto con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

DOTT.SSA MONICA MELANI

Occhi e pelle protetti. In azienda

Occhi e pelle protetti. In azienda

OCCHI E PELLE PROTETTI. IN AZIENDA
Dal 26/4 valutazione dei rischi per l’uso di pc e fotocopiatrici

È sufficiente utilizzare il pc o una fotocopiatrice (quale ufficio oggi è sprovvisto di computer?) per far scattare l’applicazione delle norme sulla sicurezza contro le radiazioni ottiche artificiali (le Roa). Norme entrate in vigore dal 26 aprile e previste dal T.u. sicurezza (dlgs n. 81/2008), con particolare attenzione per i rischi dovuti agli effetti nocivi su occhi e pelle. Da tale data, quindi, la valutazione dei rischi deve comprendere anche il rischio Roa.

LE PROCEDURE DA ADOTTARE.
Il T.u. prevede, tra l’altro, specifiche disposizioni finalizzate alla protezione dei lavoratori dai rischi di esposizione a radiazioni ottiche artificiali, stabilendo appunto prescrizioni minime di protezione dei lavoratori contro i rischi per la salute e la sicurezza che possono derivare, dall’esposizione alle radiazioni ottiche artificiali durante il lavoro e con particolare riguardo ai rischi dovuti agli effetti nocivi sugli occhi e sulla cute.
Relativamente agli adempimenti e alle procedure da attuare, il T.u. stabilisce che il datore di lavoro, nell’ambito della valutazione dei rischi (si veda box pagina), valuti e, quando necessario, proceda a misurare e/o calcolare i livelli delle radiazioni ottiche a cui possono essere esposti i lavoratori.
La metodologia da seguire nella valutazione, nella misurazione e/o nel calcolo deve rispettare le norme della Commissione elettrotecnica internazionale (Iec), per quanto riguarda le radiazioni laser, le raccomandazioni della Commissione internazionale per l’illuminazione (Cie) e del Comitato europeo di formazione (Cen) per quanto riguarda le radiazioni incoerenti. Nelle situazioni di esposizione che esulano dalle suddette norme e raccomandazioni, fino a quando non saranno disponibili norme e raccomandazioni adeguate dell’Unione europea, il datore di lavoro è tenuto ad adottare le buone prassi individuate ed emanate dalla Commissione consultiva permanente per la prevenzione degli infortuni e per l’igiene del lavoro o, in subordine, le linee guida nazionali o quelle internazionali scientificamente fondate. In tutti i casi di esposizione, la valutazione deve tener conto dei dati indicati dai fabbricanti delle attrezzature, se contemplate da pertinenti direttive comunitarie di prodotto.
Nel dettaglio delle operazioni, il T.u. stabilisce che il datore di lavoro, in occasione della valutazione dei rischi, deve prestare particolare attenzione ai seguenti elementi:
a) Il livello, la gamma di lunghezze d’onda e la durata dell’esposizione a sorgenti artificiali di radiazioni ottiche;
b) I valori limite di esposizione;
c) Qualsiasi effetto sulla salute e sulla sicurezza dai lavoratori appartenenti a gruppi particolarmente sensibili al rischio;
d) Qualsiasi eventuale effetto sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori risultante dalle interazioni sul posto di lavoro tra le radiazioni ottiche e le sostanze chimiche foto-sensibilizzanti;
e) Qualsiasi effetto indiretto come l’accecamento temporaneo, le esplosioni o il fuoco;
f) L’esistenza di attrezzature di lavoro alternative progettate per ridurre i livelli di esposizione alle radiazioni ottiche artificiali;
g) La disponibilità di azioni si risanamento volte a minimizzare i livelli di esposizione alle radiazioni ottiche;
h) Per quanto possibile, informazioni adeguate raccolte nel corso della sorveglianza sanitaria, comprese le informazioni pubblicate;
i) Sorgenti multiple di esposizione alle radiazioni ottiche artificiali;
j) Una classificazione dei laser stabilita conformemente alla pertinente norma Iec e, in relazione a tutte le sorgenti artificiali che possono arrecare danni simili a quelli di un laser della classe 3B o 4, tutte le classificazioni analoghe;
k) Le informazioni fornite dai fabbricanti delle sorgenti di radiazioni ottiche e delle relative attrezzature di lavoro in conformità delle pertinenti direttive comunitarie.

LE MISURE DI PREVENZIONE.
Conseguenza della procedura di valutazione dei rischi è la previsione di misure di prevenzione. Tali misure, stabilisce il T.u., il datore di lavoro deve precisarle nel documento di valutazione rischi. In particolare, il T.u. prescrive che, quando la valutazione dei rischi mette in evidenza che i valori limite d’esposizione possono essere superati, il datore di lavoro deve definire e attuare un programma d’azione che comprenda misure tecniche e/o organizzative destinate a evitare che l’esposizione superi i valori limite. In questa operazione, la quale peraltro deve essere adattata alle esigenze del lavoratori appartenenti a gruppi particolarmente sensibili al rischio, il lavoro deve tenere conto:
a) Di altri metodi di lavoro che comportano una minore esposizione alle radiazioni ottiche;
b) Della scelta di attrezzature che emettano meno radiazioni ottiche, tenuto conto del lavoro da svolgere;
c) Delle misure tecniche per ridurre l’emissione delle radiazioni ottiche, incluso, quando necessario, l’uso di dispositivi di sicurezza, schermatura o analoghi meccanismi di protezione della salute;
d) Degli opportuni programmi di manutenzione delle attrezzature di lavoro, dei luoghi e delle postazioni di lavoro;
e) Della progettazione e della struttura dei luoghi e delle postazioni di lavoro;
f) Della limitazione della durata e del livello dell’esposizione;
g) Della disponibilità di adeguati dispositivi di protezione individuali;
h) Delle istruzioni del fabbricante delle attrezzature;

Inoltre, se dalla valutazione dei rischi emergono luoghi di lavoro in cui i lavoratori potrebbero essere esposti a livelli di radiazioni ottiche che superino i valori limite di esposizione, questi devono essere indicati con un’apposita segnaletica. Le stesse aree, inoltre devono essere identificate e l’accesso alle stesse limitato, laddove ciò sia tecnicamente possibile.

DOTT.SSA MONICA MELANI

TRATTO DA “ITALIA OGGI” DEL 24 MAGGIO 2010
AUTORE: DANIELE CIRIOLI

L’ABBECEDARIO
Radiazioni ottiche Tutte le radiazioni elettromagnetiche nella gamma di lunghezza d’onda compresa tra 100 nm e 1 mm. Lo spettro delle radiazioni ottiche si suddivide in radiazioni ultraviolette, radiazioni visibili e radiazioni infrarosse:
1. radiazioni ultraviolette: radiazioni ottiche a lunghezza d’onda compresa tra 100 e 400 nm. La banda degli ultravioletti è suddivisa in UVA (315-400 nm), UVB (280-315 nm) e UVC (100-280 nm);
2. radiazioni visibili: radiazioni ottiche a lunghezza d’onda compresa tra 380 e 780 nm;
3. radiazioni infrarosse: radiazioni ottiche a lunghezza d’onda compresa tra 780 nm e 1 mm. La regione degli infrarossi è suddivisa in IRA (780-1400 nm), IRB (1400-3000nm) e IRC (3000 nm-1 mm).
Laser
(amplificazione di luce mediante emissione stimolata di radiazioni)
Qualsiasi dispositivo al quale si possa far produrre o amplificare le radiazioni elettromagnetiche nella gamma di lunghezza d’onda delle radiazioni ottiche, soprattutto mediante il processo di emissione stimolata controllata
Radiazione laser Radiazione ottica prodotta da un laser (1)
Radiazione non coerente Qualsiasi radiazione ottica diversa dalla radiazione laser (2)
Valori limite di esposizione Limite di esposizione alle radiazioni ottiche che sono basati direttamente sugli effetti sulla salute accertati e su considerazioni biologiche. Il rispetto di questi limiti garantisce che i lavoratori esposti a sorgenti artificiali di radiazioni ottiche siano protetti contro tutti gli effetti nocivi sugli occhi e sulla cute conosciuti
Irradianza (E) o densità di potenza La potenza radiante incidente per unità di area su superficie espressa in watt su metro quadrato (W m2)
Esposizione radiante (H) Integrale nel tempo dell’irradianza espresso in joule su metro quadrato (J m-2)
Radianza (L) Il flusso radiante o la potenza per unità d’angolo solido per unità di superficie, espressa in watt su metro quadrato su steradiante (W m-2 sr-1)
Livello La combinazione di irradianza, esposizione radiante e radianza alle quali è esposto un lavoratore
1. I valori limite di esposizione sono riportati nell’allegato XXXVII, parte II, del Tu sicurezza
2. I valori limite di esposizione sono riportati nell’allegato XXXVII, parte I, del Tu sicurezza

ESONERO CON GIUSTIFICA SE IL RISCHIO E’ BASSO
Le disposizioni entrate in vigore il 26 aprile sono, in particolare, quelle del Capo V del Titolo VIII del T.u. sicurezza (agenti fisici). La prima conseguenza è che, da tale data, la valutazione dei rischi deve ricomprendere anche le Roa, le radiazioni ottiche artificiali (e non quelle naturali). Infatti il Tu prevede che, nell’ambito della generale valutazione dei rischi, il datore di lavoro valuti anche tutti i rischi derivanti da esposizione ad agenti fisici, in maniera tale da identificare e adottare le opportune misure di prevenzione e protezione, con particolare riferimento alle norme di buona tecnica e alle buone prassi. La valutazione rischi derivanti da esposizione ad agenti fisici va programmata ed effettuate con cadenza almeno quadriennale, da personale qualificato nell’ambito del servizio di prevenzione e protezione in possesso di specifiche conoscenze in materia. La valutazione dei rischi deve poi essere aggiornata ogni qual volta si verifichino mutamenti che potrebbero renderla obsoleta, ovvero quando i risultati della sorveglianza sanitaria rendano necessaria la sua revisione. I dati ottenuti dalla valutazione, misurazione e calcolo dei livelli di esposizione costituiscono parte integrante del documento di valutazione del rischio. Nella valutazione rischi Roa, ancora, il datore di lavoro deve precisare quali misure di prevenzione e protezione devono essere adottate. Infine, tale valutazione dei rischi Roa deve essere riportata sul documento di valutazione e può includere una giustificazione del datore di lavoro secondo cui la natura e l’entità dei rischi non rendono necessaria una valutazione dei rischi più dettagliata.

Prepensionamento per curare i disabili

Prepensionamento per curare i disabili

PREPENSIONAMENTO PER CURARE I DISABILI

Per assistere un familiare disabile (al 100%) si potrà andare in pensione 5 anni prima. Infatti, i lavoratori dipendenti e autonomi del settore privato potranno chiedere all’Inps il pensionamento all’età di 60 anni (55 le donne), in presenza di almeno 20 anni di contribuzione. La novità (è un “diritto previdenziale”), che vigerà in via sperimentale per il triennio 2010/2012, è prevista dal ddl C82 votato ieri alla Camera e che ora passa all’esame del Senato.
Della nuova agevolazione potranno fruirne i lavoratori dipendenti e autonomi privati, cioè iscritti all’Inps, che si dedicano all’assistenza di familiari disabili con totale e permanente inabilità lavorativa (100%), con connotazione di gravità ai sensi della legge n. 104/1992. Si tratta, in particolare, del riconoscimento a richiesta del diritto all’erogazione anticipata della pensione all’età di 60 anni (55 le donne), in presenza di almeno 20 anni di anzianità contributiva. Il diritto spetta a fronte di un periodo di costanza nell’assistenza al familiare convivente disabile pari ad almeno 18 anni (nel caso di handicap congenito o di handicap che si manifesta dalla nascita, certificato da una struttura pubblica del ssn, la costanza di assistenza è calcolata dalla data di nascita) e a condizione che il disabile non sia stato ricoverato a tempo pieno e continuativo nei 18 anni precedenti e nemmeno alla data di entrata in vigore della nuova legge. Il diritto può essere goduto da un solo familiare convivente per ciascuna persona disabile, presente nel nucleo familiare. In particolare, il diritto spetta ai seguenti familiari: coniuge, genitore, fratello, sorella o figlio che convive e ha stabilmente convissuto con la persona disabile per il periodo di 18 anni da comprovare con un’apposita certificazione storico-anagrafica rilasciata dal comune di residenza.
Il fratello o la sorella del disabile possono beneficiare del diritto solamente se i genitori sono assenti o impossibilitati a prestare assistenza al disabile, situazione da attestare con apposita certificazione di morte o sanitaria rilasciata da una struttura pubblica del ssn, ovvero non convivono più con il familiare disabile in quanto residenti in una differente località. Il diritto è esercitabile a richiesta della parte interessata. A tal fine, il lavoratore deve presentare un’apposita domanda all’Inps allegandovi, tra l’altro, la certificazione attestante l’invalidità al 100% del familiare assistito e una certificazione storico-anagrafica comprovante la convivenza nel periodo per il quale si richiede il beneficio.

DOTT.SSA MONICA MELANI

TRATTO DA “ITALIA OGGI” DEL 21 MAGGIO 2010 AUTORE: DANIELE CIRIOLI

Malattia e regole per il certificato medico

Malattia e regole per il certificato medico

CIRCOLARE IMPORTANTE:

MALATTIA E REGOLE PER IL CERTIFICATO MEDICO

FUNZIONE DEL CERTIFICATO MEDICO:
Il certificato di malattia ha lo scopo di garantire il diritto del dipendente malato a non rendere prestazione lavorativa dedotta nel contratto di lavoro per tutta la durata prevista dall’evento morboso e di ricevere, nelle misure stabilite dalla legge e dagli accordi collettivi, il relativo trattamento economico. Il certificato ha dunque la funzione di giustificare l’assenza nei confronti del datore (Cass. 22.08.2007, n. 17898) e, tramite l’indicazione dell’indirizzo del lavoratore, anche quella di consentire l’effettuazione delle visite di controllo da parte dei sanitari iscritti negli appositi elenchi. Ne consegue che le assenze non giustificate non saranno coperte dall’indennità economica e che potranno dar luogo a provvedimenti disciplinari da parte del datore di lavoro, fino al licenziamento.

MODALITA’ DI RILASCIO DELLA CERTIFICAZIONE MEDICA e QUALI MEDICI SONO ABILITATI:
Anche se normalmente la certificazione è rilasciata dal medico “curante” (ovvero quello “di famiglia”), utilizzando l’apposito modulario, tale possibilità è riconosciuta anche a medici diversi, ai quali l’assicurato si sia rivolto per motivi di urgenza ovvero comunque per esigenze correlate alle specificità della patologia sofferta, come pure nel caso dei certificati rilasciati all’atto della dimissione da ospedali o strutture di pronto soccorso (INPS, circ. 13.5.1996, n. 99; circ. 25.7.2003 n. 136; msg. 7.11.2003, n. 968).
A decorrere dell’1.6.2005, nei casi di infermità comportante incapacità lavorativa, il medico curante trasmette all’INPS il certificato di diagnosi sull’inizio e la durata presunta della malattia per via telematica on-line, secondo le specifiche tecniche e le modalità procedurali determinate dall’INPS. Salvo che il datore di lavoro non richieda all’INPS la trasmissione in via telematica, il lavoratore deve, entro 2 giorni dal rilascio, recapitargli o trasmettergli, a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento, l’attestazione della malattia rilasciata dal medico curante (art. 2, D.L. 30.12.1979, n. 663, conv. L. 29.2.1980, n. 33, come modificato dall’art. 1, co. 149, L. 311/2004). A tale scopo, il Ministero dell’economia e delle finanze ha reso disponibile il collegamento in rete dei medici del SSN (art. 50, co. 5-bis, D.L. 30.9.2003, n. 269 – L. 326/2003, inserito dall’art. 1, co. 810, L. 27.12.2006, n. 296). Lo stesso Ministero, di concerto con il Ministero della salute, è tenuto ad emanare ulteriori disposizioni attuative.
In attesa dell’entrata a regime della trasmissione telematica, il certificato di diagnosi e quello contenente la prognosi (inizio e durata presunta) della malattia devono essere redatti in conformità a quanto previsto nel D.M. Sanità 30.9.1991. I moduli sono costituiti da 2 schede, denominate rispettivamente A e B, contenenti la diagnosi e la prognosi. Il modulo A – Diagnosi deve riportare : a) le generalità del lavoratore, b) la data dichiarata di inizio della malattia; c) l’indicatore per l’evidenziazione della posizione di “turnista” dichiarata dal lavoratore; d) la prognosi clinica; e) l’indicatore di inizio o di continuazione o di ricaduta della malattia; f) la data di rilascio del certificato; g) la diagnosi e la classificazione nosologica della stessa; h) la firma e il timbro del medico che rilascia il certificato. Vanno inoltre compilati gli appositi campi utili a identificare il medico, il lavoratore e, in particolare, l’indirizzo ove il malato è reperibile per l’effettuazione delle visite di controllo (art. 2, co. 2 e 3, D.M. 30.9.1991).
Il modulo b – prognosi è predisposto per la compilazione a ricalco del modello A, è destinato alla attestazione dell’inizio e della durata presunta della malattia e non contiene le informazioni sulla diagnosi (art. 2, co. 4, D.M. 30.9.1991).

VALIDITA’ DELLE CERTIFICAZIONI NON “STANDARD”:
Sono valide le certificazioni rilasciate su modelli non “standard” (es. ricettario privato) o su quelli in uso presso i reparti ospedalieri o il pronto soccorso, a condizione però che dagli stessi risulti una prognosi non di natura strettamente “clinica” ma che, attraverso una precisa diagnosi, metta il medico INPS in condizione di valutare l’incapacità al lavoro; in caso di dubbio, la valutazione della certificazione è demandata al medico di Sede. Questi certificati, comunque da inoltrarsi sia al datore di lavoro che all’INPS, sono validi a condizione che contengano i seguenti dati: nominativo del lavoratore, diagnosi e prognosi, intestazione, data di rilascio, timbro e firma del medico, abituale domicilio del lavoratore ed eventualmente il diverso temporaneo recapito. Ove uno di questi dati manchi, è compito del lavoratore assicurato chiedere, a chi ha rilasciato il certificato, la regolarizzazione, senza che possa supplire il medico curante (INPS, circ. 13.5.1996, n. 99; circ. 25.7.2003, n. 136; msg. 7.11.2003, n. 968).

INDICAZIONE DELL’INDIRIZZO:
L’indicazione dell’indirizzo dove effettuare le visite di controllo è un obbligo che ricade sul lavoratore malato, il quale deve controllare la correttezza di quanto indicato dal medico e, in mancanza, provvedervi direttamente (Cass. S.U. 2.2.1993, n. 1283).
L’indirizzo può riguardare la residenza abituale o un luogo diverso (es. la casa di un parente) purché sia espressamente specificato.
Secondo la giurisprudenza, in linea di principio, l’omessa indicazione dell’indirizzo non è automaticamente equiparabile all’assenza ingiustificata alla visita di controllo (Cass. 18.7.2003, n. 11286 e 23.8.1997, n. 7909; INPS circ. 6.6.1990, n. 129). Se il lavoratore omette l’indicazione dell’indirizzo esatto e completo, si hanno due situazioni distinte:

a) l’INPS non ne dispone e non può procurarselo in altro modo: l’irregolarità comporta la non indennizzabilità fino a quando i dati mancanti non siano completati o se ne venga altrimenti a conoscenza. La perdita della prestazione previdenziale riguarda l’intero evento di malattia o, comunque, tutte quelle giornate attestate da una certificazione priva dell’indirizzo esatto e completo (INPS, msg. 9.10.2009, n. 22747).
b) l’INPS ne è già a conoscenza, per aver effettuato precedenti controlli (INPS, circ. 4.8.1997, n. 182) o ricavandolo da certificati medici già in proprio possesso: in questo caso l’indennità economica deve comunque essere erogata.

È a carico del lavoratore l’onere di dimostrare che l’INPS era in grado di procurarsi l’indirizzo utilizzando l’ordinaria diligenza, per esempio ricavandolo dalla busta o chiedendolo all’interessato, in caso di consegna diretta del certificato (Cass. S.U. 2.2.1993, n. 1283). Qualora, durante la malattia, il lavoratore cambi domicilio indicandolo nella certificazione regolamentare inviata all’INPS e il medico di controllo si sia invece recato al precedente recapito, indicato dal datore, la visita di controllo non può ritenersi effettuata, con inapplicabilità della sanzione prevista per l’irreperibilità del lavoratore, a nulla rilevando che il lavoratore abbia comunicato l’indirizzo solo all’INPS e non al datore; quest’ultimo, infatti, può chiedere il controllo solo attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali (Cass. 26.5.1999, n. 5147).

In caso di malattia all’estero, è inadempiente il lavoratore che affida la comunicazione di variazione dell’indirizzo a un telegramma, senza accertarsi che questo sia effettivamente giunto a destinazione (Cass. 9.10.1998, n. 10036). Se l’indirizzo è insufficiente per reperire il lavoratore ma è uguale a quello riportato sul certificato di residenza, il primo evento di malattia è esente da sanzione ma negli eventi successivi il lavoratore dovrà assolutamente indicare l’indirizzo esatto e completo (INPS, msg. 9.10.2009, n. 22747).

MODALITA’ DI INVIO della CERTIFICAZIONE: DESTINATARI e TERMINI DI CONSERVAZIONE:
salvi gli eventuali obblighi di comunicazione tempestiva e preventiva a mezzo telefono (o altro mezzo: esempio e-mail) stabiliti dal contratto collettivo o regolamento aziendale, e a prescindere dal fatto che la malattia duri fino a 3 giorni o di più (INPS, circ. 6.9.2006, n. 95-bis), il certificato medico deve essere inviato, entro 2 giorni dal rilascio, a cura del lavoratore e mediante raccomandata con ricevuta di ritorno, sia al datore di lavoro che all’INPS, salvo quanto previsto, una volta operativa, dalla procedura di trasmissione telematica (art. 2, co. 2, D.L. 30.12.1979, n. 663, conv. L. 29.2.1980, n. 33; INPS, circ. 6.9.2006, n. 95). È ammessa la trasmissione anche a mezzo di corrispondenza ordinaria ovvero con raccomandata senza avviso di ricevimento, ferme restando le conseguenze di un eventuale smarrimento. Non devono inviare la certificazione all’INPS i lavoratori che non hanno titolo a percepire l’indennità di malattia a carico dell’INPS. Il termine di 2 giorni è perentorio, salvo seri e apprezzabili motivi (Cass. 8.8.2005, n. 16627). Se il giorno di scadenza del termine è festivo, la scadenza è prorogata al primo giorno seguente non festivo (INPS, circ. 28.1.1981, n. 134368). Il datore deve conservare il certificato per 10 anni e, in caso di richiesta, esibire all’INPS la documentazione in proprio possesso.

SE L’INVIO AVVIENE a MEZZO FAX:
la trasmissione del certificato tramite fax è considerata valida ai soli fini del rispetto del termine di invio, previsto per consentire l’effettuazione di visite mediche di controllo, fermo restando che per la concessione dell’indennità occorre che il certificato medico originale pervenga in tempo utile e, quindi, non oltre il termine annuale di prescrizione. Nessun valore è invece attribuibile ad eventuali comunicazioni telefoniche (INPS, circ. 25.7.2003, n. 136). Non è valida, in caso di malattia all’estero, la sola trasmissione a mezzo fax del certificato (specie di difficile lettura) in lingua straniera senza alcuna indicazione dell’indirizzo ove effettuare il controllo (Cass. 24.6.2005, n. 13622).

SE IL CERTIFICATO VIENE RILASCIATO O INVIATO IN RITARDO:
l’indennità di malattia non spetta per i giorni non coperti dalla certificazione. Ne consegue che, in caso di ritardo, sono indennizzabili i primi 2 giorni e non lo sono quelli successivi fino all’effettivo adempimento (INPS, circ. 8.8.1985, n. 179 e circ. 27.1.1983 n. 134399). Se la certificazione perviene in ritardo sia al datore di lavoro sia all’INPS, i giorni di ritardo sono computati avendo riguardo alla data di arrivo della certificazione pervenuta all’INPS. È facoltà del lavoratore addurre e provare l’esistenza di un giustificato motivo del ritardato invio del certificato medico (C. Cost. 29.12.1988, n. 1143; Cass. 8.8.2005, n. 16627). Nel caso di lavoratore che viva da solo, particolare attenzione va posta alle condizioni di salute che, per la loro gravità, abbiano di fatto impedito al lavoratore di lasciare l’abitazione anche per più di 2 giorni.
Se l’invio avviene a mezzo posta, fa fede la data di invio della raccomandata, in caso di consegna a mano occorre che sia apposto un timbro datario sul certificato in presenza del soggetto che effettua la consegna manuale (INPS, circ. 8.8.1985, n. 11).
La decorrenza del trattamento economico (dal 4° giorno di malattia) è computata, in via di massima, dalla data di rilascio della relativa certificazione. Peraltro, l’Istituto ammette la possibilità di riconoscere, ai fini erogativi, la sussistenza dello stato morboso anche per il giorno immediatamente precedente a quello del rilascio della certificazione (INPS, circ. 147/1996).

IN CASO DI CONTINUAZIONE della MALATTIA:
se l’evento morboso si configura quale prosecuzione della stessa malattia, il medico curante deve farne menzione nel certificato (art. 2, co. 6, D.L. 30.12.1979, n. 663, conv. L. 29.2.1980). In caso di continuazione di malattia, non sono coperti dell’indennità economica i giorni di ritardo compresi tra la data di scadenza della prognosi precedente e quella in arrivo della certificazione successiva, fatta eccezione per il giorno immediatamente precedente il rilascio della certificazione medica, regola peraltro non applicabile quando la data di malattia retroagisce di oltre un giorno da quello del rilascio (INPS, circ. 147/1996). Se la certificazione di continuazione, pur essendo pervenuta entro i 2 giorni dal rilascio, risulta rilasciata in ritardo (e cioè oltre i 2 giorni successivi a quelli di scadenza della prognosi precedente) si ha la perdita dell’indennità per le giornate di malattia che non risultano comprovate dalla certificazione. In presenza di successivi certificati intervallati dalla giornata festiva o dal sabato e domenica in caso di settimana corta, si presume che i 2 periodi costituiscano un unico evento morboso (INPS, circ. 28.1.1981, n. 134368).

CERTIFICATO RILASCIATO DAL PRONTO SOCCORSO:
il certificato rilasciato dal pronto soccorso è idoneo a legittimare l’assenza ove non si limiti a indicare la patologia ma precisi anche lo stato di incapacità lavorativa; ove tale indicazione manchi, il certificato non sarà automaticamente respinto ma sarà valutato dal centro medico legale dell’INPS (INPS, circ. 7.11.2003, n. 968).
La certificazione delle prestazioni di pronto soccorso, in quanto non equiparabile al ricovero, deve essere inviata entro 2 giorni dal rilascio (INPS, circ. 25.7.2003 n. 136).

CERTIFICATO DI RICOVERO OSPEDALIERO:
la certificazione rilasciata dall’ospedale è valida ove sia redatta su carta intestata e riporti le generalità del lavoratore, la data, la firma leggibile del medico e la diagnosi (senza quest’ultima il certificato non vale). La certificazione che contenga prognosi successive al ricovero (convalescenza) giustifica l’assenza solo se da esplicito riferimento a uno stato di incapacità lavorative. Il termine per la spedizione è 2 giorni dal rilascio e il lavoratore deve indicare il proprio recapito. Il ritardato invio del certificato è giustificato finché permane il ricovero, non oltre e comunque non oltre il termine annuale di prescrizione (INPS, circ. 25.7.2003, n. 136).

IN CASO DI DIMISSIONI OSPEDALIERE PROTETTE:
si tratta di quelle situazioni che, a fronte di ricoveri che richiederebbero lunghe degenze ai soli fini di eseguire – per la guarigione completa o la stabilizzazione della malattia – un monitoraggio clinico o esami strumentali complessi, prevedono la temporanea sospensione della degenza e il rientro in ospedale dal lavoratore solo nelle giornate programmate; poiché tra un appuntamento e l’altro il soggetto può anche aver recuperato la propria capacità al lavoro, i “periodi intermedi” non sono equiparabili a ricovero ove non sia espressamente certificata, dalla struttura ospedaliera o dal medico curante, l’incapacità al lavoro causata dalla patologia in atto. La certificazione deve essere inviata a cura del lavoratore entro 2 giorni dal rilascio. In caso di rientro nella struttura ospedaliera, al termine del periodo di “dimissione protetta” o anche durante lo stesso, l’evento potrà essere indennizzato, se ne ricorrono i presupposti (evento intervenuto entro 30 giorni dal precedente), quale “ricaduta” (INPS; circ. 25.7.2003, n. 136).
IN CASO DI DAY HOSPITAL:
le giornate in cui si effettua la prestazione in regime di day hospital sono equiparate al ricovero, per cui, a prescindere dalla durata della presenza nel luogo di cura, l’incapacità al lavoro è senz’altro riconoscibile anche se limitatamente al solo giorno di effettuazione della prestazione riportato nella certificazione medica. Ai fini dell’indennizzabilità di ulteriori giorni successivi al ricovero in day hospital, il lavoratore dovrà produrre altro certificato medico di continuazione, compilato in ogni sua parte (INPS, circ. 25.7.2003, n. 136).

CICLI di CURA RICORRENTI:
riguardano i lavoratori che si sottopongono periodicamente, per lunghi periodi, a terapie ambulatoriali, spesso specialistiche, comportanti incapacità al lavoro. Se sul certificato inviato è barrata la relativa casella, si applicano i criteri della ricaduta, ove ne ricorrano i presupposti: trattamento eseguito entro 30 giorni dal precedente. È sufficiente anche un’unica certificazione del curante che attesti la necessità di trattamenti ricorrenti comportanti incapacità lavorativa e che li qualifichi l’uno ricaduta dell’altro. Gli interessati dovranno inviare tale certificazione prima dell’inizio della terapia, indicando i giorni di esecuzione.
A tale certificazione dovranno far seguito, a cura degli interessati, periodiche (es. mensili) dichiarazioni della struttura sanitaria, riportanti il calendario delle prestazioni eseguite, le sole che danno titolo all’indennità. Tale soluzione opera anche in caso di dialisi e di morbo di Cooley (INPS, circ. 25.7.2003, n. 136).

IN CASO DI CIG/CIGS:
se la malattia insorge durante un periodo di CIG o CIGS a zero ore, il lavoratore continua a usufruire delle integrazioni salariali (cioè la CIG/S non si sospende per effetto della malattia) e, poiché il rapporto è sospeso e non vi è obbligo di prestazione, non vi è alcun obbligo di farsi rilasciare né di presentare il certificato medico (INPS, circ. 16.6.2009, n. 82). Se la malattia è insorta prima dell’inizio della CIG, e tutto il personale in forza all’ufficio, reparto, squadra o simili cui il lavoratore appartiene ha sospeso l’attività, anche il lavoratore in malattia entrerà in CIG dalla data di inizio della stessa; qualora, invece, non venga sospesa dal lavoro la totalità del personale, il lavoratore in malattia continuerà a beneficiare dell’indennità di malattia (INPS; circ. 16.6.2009, n. 82).

IN CASO DI TOSSICODIPENDENZA:
anche se la diagnosi è riconducibile a uno stato di tossicodipendenza (a prescindere da un eventuale soggiorno in comunità terapeutica, che non è automaticamente equiparato al ricovero ospedaliero), la certificazione deve indicare lo stato di incapacità lavorativa. Il lavoratore è tenuto a osservare le fasce orarie e può indicare quale luogo per la visita di controllo la comunità di recupero (INPS, circ. 25.7.2003, n. 136).

CONTRASTO tra CERTIFICATI MEDICI:
se la prognosi del curante viene rivista dal medico di controllo che certifica la guarigione del lavoratore, in caso di nuovo e successivo esame da parte del curante che lo ritenga ancora malato, è onere del datore di lavoro chiedere una nuova visita di controllo (Cass. 6.5.1995, n. 4938).
CERTIFICATI in LINGUA ORIGINALE di LAVORATORI COMUNITARI:
i lavoratori comunitari, cittadini degli altri Stati membri sono considerati lavoratori nazionali. Gli Stati membri dell’Unione Europea sono attualmente 27; si definiscono cittadini comunitari coloro che hanno la cittadinanza di uno di questi: Italia, Germania, Francia, Lussemburgo, Olanda, Belgio, Regno Unito, Irlanda, Austria, Spagna, Portogallo, Grecia, Danimarca, Svezia, Finlandia, Polonia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Slovenia, Ungheria, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta e Cipro, Romania e Bulgaria. Per quanto riguarda la certificazione medica da esibire all’INPS in caso di incapacità temporanea al lavoro, i cittadini comunitari non hanno l’onore di farla pervenire in lingua italiana ma possono presentarla, nei termini, in lingua originaria, non essendo esigibile dagli stessi la traduzione della certificazione legittimamente ottenuta nei rispettivi Paesi. L’onere di traduzione grava sulle Sedi dell’INPS (INPS, msg. 3.12.2007, n. 28978).

MALATTIA in PAESI UE o CONVENZIONATI:
se la malattia si verifica in un Paese appartenente all’Unione Europea o che abbia stipulato apposita convenzione, l’assicurato deve presentare all’Istituzione estera, entro 3 giorni dall’inizio dell’inabilità, idonea certificazione di malattia e deve essere munito della Tessera Europea Assicurazione Malattia (che ha sostituito il formulario E111).
L’istituzione estera provvederà a trasmettere all’INPS la documentazione medica acquisita, compresi gli esiti dei controlli eventualmente effettuati (INPS, msg. 3.12.2007, n. 28978 e msg. 1.8.2005, n. 27699). Il certificato rilasciato dal medico o dalla struttura sanitaria straniera è in tutto e per tutto equiparato a quello nazionale e deve essere inviato senza necessità di traduzioni o legalizzazioni particolari, a condizione che tale obbligo sia espressamente escluso dalla convenzione o accordo bilaterale.
I Paesi in questione sono:
1) quelli extra UE con i quali sono stati stipulati Accordi che prevedono l’applicazione della disciplina comunitaria (Islanda, Norvegia e Liechtenstein in base all’Accordo SEE, Svizzera e Turchia); 2) Paesi extra UE con i quali sono state stipulate Convenzioni estese (Argentina, Bosnia – Erzegovina, Brasile, Croazia, Jersey e Isole del Canale, Macedonia, Principato di Monaco, Repubblica di San Marino, Stato di Serbia e Montenegro, Tunisia, Uruguay e Venezuela). Sono esenti da legalizzazione, a condizione che rechino L’”apostille”, gli atti e i documenti rilasciati dagli Stati aderenti alla Convenzione dell’Aja del 5.10.1961.

CERTIFICATO di MALATTIA in PAESI EXTRA UE:
se la malattia si verifica durante il temporaneo soggiorno all’estero in un Paese non appartenente all’Unione Europea o che non abbia stipulato alcuna convenzione o accordo specifico in materia, la corresponsione dell’indennità di malattia avviene solo dopo la presentazione all’INPS della certificazione originale, legalizzata a cura della locale rappresentanza diplomatica o consolare italiana. Spesso le ambasciate o i c

Valutazione del rischio stress

Valutazione del rischio stress

VALUTAZIONE DEL RISCHIO STRESS
(ADEMPIMENTO IN SCADENZA AL 01 AGOSTO 2010)

Senza sconti la valutazione del rischio stress. A differenza di altri fattori di rischio, infatti, nel caso di stress lavoro-correlato il pericolo potenziale esiste sempre, per cui nessuna azienda può esimersi dal farne specifica valutazione basata su elementi oggettivi ch consentano di orientare da subito le azioni preventive. Lo spiega la guida operativa alla valutazione e gestione del rischio da stress lavoro-correlato, approvata a fine marzo dal coordinamento tecnico interregionale della prevenzione nei luoghi di lavoro

IL RISCHIO STRESS E L’OBBLIGO DI VALUTAZIONE DEL RISCHIO.
Il rischio stress da lavoro-correlato ha fatto ufficiale esordio in occasione della prima stesura del T.u. sulla sicurezza lavoro, approvato con il dlgs n. 81/2008. Tuttavia già rientrava nell’operazione di valutazione e prevenzione fin dall’entrata in vigore del dlgs n. 626/1994, che considerava l’esigenza di valutare anche i rischi di natura psicosociale. Con il T.u. sicurezza è stato esplicitato il riferimento, per quanto riguarda lo stress, ai principi dell’accordo europeo 8 ottobre 2004 e, con le modifiche del dlgs n. 106/2009, è stato stabilito che la valutazione deve essere effettuata nel rispetto delle indicazioni elaborate dalla Commissione consultiva permanente e che il relativo obbligo decorre dalla data di tale elaborazione e comunque dal 1° agosto 2010.

Il rischio stress, dunque, appartiene al processo di valutazione rischi. Secondo la guida operativa, si tratta di un rischio in costante aumento e che oggi causa una percentuale tra il 50 e il 60% delle giornate lavorative perse. In linea generale, il processo di valutazione dei rischi si articola in tre fasi: identificazione pericoli, stima del rischio (valutazione preliminare/valutazione semplificata) e valutazione approfondita. In base all’esito del processo vengono adottati interventi di eliminazione o riduzione del rischio e una successiva rivalutazione di verifica dei cambiamenti ottenuti. Nello specifico, l’identificazione dei pericoli consiste nell’individuare le condizioni presenti nell’attività lavorativa che potenzialmente possono causare danni alla salute dei lavoratori per infortuni o malattie da lavoro. I pericoli individuati vengono quindi valutati in via preliminare sotto l’aspetto qualitativo o quantitativo riferendosi, ove possibile, a criteri previsti dalle norme di legge o da raccomandazioni di buona tecnica, al fine di individuare le situazioni di rischio che superano un determinato livello di soglia (livello d’azione) e richiedendo interventi di eliminazione o di riduzione del rischio mediante una valutazione approfondita. Quest’ultima consiste in un’analisi dettagliata dei rischi, allo scopo d’individuare le misure di prevenzione necessarie per la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.

LA VALUTAZIONE DEVE ESSERE DINAMICA E NON STATICA.
Secondo la guida, nel processo di valutazione dei rischi (e in particolare del rischio stress) occorre fare attenzione al modello utilizzato. Quello in uso con il dgls n. 626/1994 è finalizzato ad attestare, nei confronti dei lavoratori e degli organi di vigilanza, la condizione di assenza di rischio o per lo meno di rischio accettabile. Tale modello, spiega la guida, contiene alcuni limiti che diventano più evidenti con il nuovo approccio di sicurezza introdotto dal dlgs n. 81/2008.

Limite fondamentale è quello di sottintendere la valutazione dei rischi come un fatto statico, limite che viene corretto dal nuovo T.u. il quale considera la valutazione dei rischi strettamente finalizzata alla prevenzione e, come tale, soggetta a un continuo aggiornamento. In quest’ottica, la valutazione del rischio stress non può risolversi in una generica attestazione di assenza di rischio. Anche perché, precisa la guida, a differenza di altri fattori di rischio, nel caso di stress lavoro-correlato il pericolo potenziale esiste sempre. È vero che ci sono settori e mansioni a più alto rischio, ma ciò non implica una definizione aprioristica dei luoghi di lavoro a rischio e di quelli che possono essere esclusi dal processo di valutazione. Pertanto, tutte le aziende sono tenute a fare la valutazione del rischio stress con primo appuntamento in occasione dell’entrata in vigore del nuovo obbligo il prossimo mese di agosto.

DOTT.SSA MONICA MELANI

Il cedolino dal consulente

Il cedolino dal consulente

IL CEDOLINO DAL CONSULENTE

Il cedolino paga ai dipendenti può essere inviato per e-mail anche dal consulente del lavoro, su delega del datore di lavoro. Tuttavia, dell’eventuale mancata ricezione, resta sempre responsabile il datore di lavoro su cui ricade la prova consegna. Lo precisa l’interpello n. 8/2010 del ministero del
lavoro.

L’INTERPELLO DEI CONSULENTI DEL LAVORO
I consulenti del lavoro hanno chiesto parere al ministero sulla possibilità, per il consulente che assiste un’azienda, d’inviare il prospetto paga (cedolino) per conto e su delega del datore di lavoro assistito, con posta elettronica certificata, direttamente ai dipendenti. In secondo luogo, i consulenti hanno chiesto se, in caso di gruppi d’impresa, sia possibile l’invio con e-mail certificata, da parte della società “madre”, dei prospetti paga delle aziende facenti parte del gruppo.

IL CEDOLINO ONLINE.
La consegna del cedolino paga ai dipendenti, all’atto della corresponsione della retribuzione, è un obbligo sancito dalla Legge n. 4/1953. Un obbligo, secondo quanto previsto dal ministero nell’interpello n. 1/2008 (se veda ItaliaOggi del 12 febbraio 2008), che può essere assolto anche mediante l’inoltro del prospetto paga come file allegato a un messaggio di posta elettronica, inviato all’indirizzo e-mail del lavoratore provvisto di password personale;
ciò a condizione che, nel rispetto della disciplina in materia di protezione dei dati personali, allo stesso lavoratore siano messe a disposizione “idonee tecnologie e attrezzature informatiche per la ricezione e stampa del prospetto, posto che i costi relativi alla formazione e consegna dello stesso sono a carico dell’impresa”.

LA RISPOSTA DEL MINISTERO.
Tutti gli adempienti in materia di lavoro, previdenza e assistenza sociale dei lavoratori dipendenti possono essere svolti, in luogo del datore di lavoro o suoi dipendenti, dai professionisti individuati dalla Legge n. 12/1979 su delega del datore di lavoro. Si tratta in primo luogo dei consulenti del lavoro, poi tutti i professionisti (ragionieri o dottori commercialisti, avvocati) che possono svolgere attività di consulenza del lavoro previa comunicazione alla direzione provinciale del lavoro. Tra questi adempimenti delegabili, spiega il ministero, rientra anche la consegna del prospetto paga ai dipendenti. E precisa che, poiché il datore di lavoro può effettuare la consegna del prospetto di paga anche a mezzo di posta elettronica, risulta del tutto plausibile consentire che detta consegna avvenga nelle medesime modalità anche da parte del consulente del lavoro delegato. In tal caso, tuttavia, aggiunge il ministero, la responsabilità per la mancata ricezione del prospetto paga da parte del proprio dipendente permane in capo al datore di lavoro ai sensi della Legge n. 4/1953, poiché la delega dell’adempimento non consente (salvo casi eccezionali) lo spogliarsi delle relative responsabilità. In tal senso, peraltro, la prova della avvenuta consegna del prospetto paga ricade sul datore di lavoro; prova che, in assenza di e-mail certificata, sarà evidentemente più difficile fornire.

Stessa soluzione interpretativa fornisce il ministero anche per quanto concerne l’ipotesi di gruppi societari in cui le società del gruppo delegano la capogruppo alla consegna del prospetto paga dei propri dipendenti.

APPRENDISTI, LIMITE FLESSIBILE
È “flessibile” il numero massimo di apprendisti assumibili da un’impresa (100% delle maestranze specializzate e qualificate in servizio presso il datore di lavoro). Il limite, infatti, può essere provato anche riferendosi alle maestranze specializzate e qualificate in servizio presso più imprese, purché legate “da uno stretto collegamento, funzionale e produttivo”. Lo precisa il ministero del lavoro nell’interpello n. 11/2010. Il chiarimento è stato sollecitato da Assovetro che ha chiesto parere sulla corretta interpretazione dell’articolo 47 del dlgs n. 276/2003 che, appunto, fissa il numero complessivo di apprendisti che un datore di lavoro può assumere. Assovetro, in particolare, ipotizzando una risposta affermativa, fa presente che il collegamento tra le diverse imprese è basato su uno stretto rapporto funzionale e organizzativo tra azienda principale e aziende collegate, tale da permettere di sviluppare programmi formativi e di trasferimento di conoscenza alle aziende collegate attraverso i dipendenti; che tutte le imprese collegate sono interamente partecipate dall’impresa principale e sono ubicate nell’area industriale di uno stesso comune; che le imprese effettuano tutte le stesse lavorazioni e che i loro prodotti sono commercializzati con il medesimo marchio e attraverso la stessa rete commerciale. Il ministero spiega prima di tutto che la finalità del limite alle assunzioni di apprendisti è quella di garantire un’adeguata formazione e affiancamento del lavoratore.

Una garanzia che, per il ministero, appare assicurata nell’ipotesi formulata da Assovetro poiché, pur a fronte di più soggetti giuridici, ciò che appare rilevante sono l’identico assetto proprietario e lo stretto legame funzionale, organizzativo e commerciale tra le imprese coinvolte. Peraltro, aggiunge il ministero, la normativa riformatrice del 2003 (il dlgs n. 276/2003) ha sostituito i termine di paragone ai fini della verifica del limite di apprendisti, stabilendo che il rapporto apprendisti/lavoratori specializzati e qualificati debba essere appurato non più “presso l’azienda” (come prevedeva la Legge n. 25/1995), ma “presso il datore di lavoro”

DOTT.SSA MONICA MELANI

Basta doppia contribuzione

Basta doppia contribuzione

SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE A SEZIONI UNITE N. 3240/2010: BASTA DOPPIA CONTRIBUZIONE PER L’AMMINISTRATORE LAVORATORE.

La sentenza della Corte di Cassazione a sezioni unite n. 3240 del 12 febbraio 2010 ha stabilito l’illegittimità della doppia contribuzione (gestione commercianti e gestione separata) per l’amministratore di srl anche socio lavoratore. La contribuzione deve essere unica e rapportata all’attività prevalente tra le due. L’Inps sino ad oggi, nonostante il medesimo principio fosse stato conformemente affermato da precedenti e chiare sentenze del 2007 e del 2008, con nota del 4 dicembre 2007, comunicava che avrebbe aderito a tale interpretazione solo in presenza di un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità e, pertanto, per il momento continuava a considerare obbligatoria la doppia iscrizione.

Adesso, la ns. categoria (consulenti del lavoro), si aspetta una risposta da parte dall’Inps, che, alla luce della sentenza della Corte di Cassazione a sezioni unite, deve rivedere le sue posizioni.
Speriamo che, adesso, la risposta dell’Inps, non sia quella di aspettare una sentenza della Corte di giustizia UE, bensì sia quella di prendere atto dell’indirizzo della giurisprudenza prevalente.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3240 del 12.02.2010 hanno stabilito che:
· La regola dettata dall’art. 1 comma 208 della Legge 23.12.1996 n. 662, in base alla quale i soggetti che esercitino contemporaneamente, in una o più imprese commerciali, varie attività autonome assoggettabili a diverse forme di contribuzione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti (IVS) sono iscritti esclusivamente nella Gestione previdenziale prevista per l’attività alla quale si dedichino in misura prevalente, si applica anche al socio di società a responsabilità limitata (srl) che eserciti attività commerciale nell’ambito della medesima e che, contemporaneamente, svolga attività di amministratore, anche unico;
· In tal caso, la scelta della gestione previdenziale presso cui deve avvenire l’iscrizione spetta all’Inps, secondo il criterio della prevalenza;
· L’ammontare della contribuzione dovuta si determina esclusivamente sulla base dei redditi derivanti dall’attività prevalente e con le regole vigenti nella Gestione di competenza.

Deve quindi ritenersi definitivamente superato l’orientamento dell’Inps in base al quale, se il socio di una srl commerciale partecipa personalmente al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza e, nel contempo, svolge anche funzioni di amministratore, percependo un apposito compenso, era tenuto all’iscrizione ed al versamento della relativa contribuzione:
· Sia presso la gestione commercianti, in relazione all’attività lavorativa svolta nella società;
· Sia presso la gestione separata, ai sensi dell’art. 2 comma 26 della Legge 8.8.1995 n. 335, in relazione all’incarico amministrativo.
Nel caso di imprese commerciali, l’art. 1 comma 208 della Legge 662/1996 ha introdotto una deroga alla regola generale in base alla quale a ciascuna attività lavorativa deve corrispondere il relativo obbligo contributivo, stabilendo invece il principio dell’iscrizione alla sola Gestione previdenziale relativa all’attività prevalente.
In base alla sentenza 3240/2010 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, il criterio della “prevalenza” si applica anche al socio lavoratore di una SRL COMMERCIALE il quale svolga anche l’attività di amministratore.
Pertanto, una volta individuata l’attività prevalente e individuata la Gestione previdenziale cui effettuare l’iscrizione, la medesima sarà l’unica cui sono dovuti i contributi.
La sentenza ribadisce che sarà l’Inps a decidere sull’iscrizione nella Gestione previdenziale corrispondente all’attività prevalente, secondo i seguenti criteri:
· Nel caso in cui si ravvisino i requisiti per l’iscrizione alla Gestione commercianti (partecipazione al lavoro aziendale con carattere di abitualità ed in misura prevalente rispetto agli altri fattori produttivi), per l’attività di amministratore non occorrerà iscriversi alla Gestione separata;
· Nel caso in cui non si ravvisino i requisiti per l’iscrizione alla Gestione commercianti, per l’attività di amministratore occorrerà iscriversi alla Gestione separata.

DOTT.SSA MONICA MELANI

Cambia mansione chi è inidoneo

Cambia mansione chi è inidoneo

MINISTERO DEL LAVORO:
CAMBIA MANSIONE CHI E’INIDONEO

Cambia mestiere il lavoratore che non riesce (fisicamente) a sopportare la movimentazione manuale di carichi. Per questa attività (come per tutte quelle rientranti nel Titolo VI del T.u. sicurezza), infatti, il datore di lavoro è tenuto ad assicurare la sorveglianza sanitaria dei lavoratori. E laddove il medico fornisca giudizio d’inidoneità, è tenuto a spostare il lavoratore ad altra mansione. Lo precisa il ministero del lavoro in una risposta a un apposito quesito concernente l’uso dei Dpi, i Dispositivi di protezione individuale (Faq).

UTILIZZO DEI DPI:

I chiarimenti rispondono ad uno specifico quesito che chiede di conoscere quali sono gli obblighi cui i datori di lavoro e lavoratori sono tenuti ad ottemperare in materia di Dpi. La normativa in tema di uso dei Dpi, spiega il ministero, è regolata dagli articoli 74 e seguenti del T.u. sicurezza (dlgs n. 81/2008).

In particolare, l’elemento di riferimento per l’applicazione dell’obbligo dell’uso di questi dispositivi è l’allegato VIII (estratto in tabella). La normativa pone degli obblighi in materia di uso dei Dpi sia in capo al datore di lavoro che ai lavoratori, prevedendo, che gli stessi devono essere impiegati quando i rischi non possono essere evitati o sufficientemente ridotti da misure tecniche di prevenzione;
mezzi di protezione collettiva; misure, metodi o procedimenti di riorganizzazione del lavoro, e che gli stessi devono tener conto delle esigenze ergonomiche o di salute del lavoratore e poter essere utilizzati dall’utilizzatore secondo le sue necessità.

LE SANZIONI PER I LAVORATORI:
Il corretto uso dei Dpi nei casi in cui questo sia previsto, aggiunge il ministero, costituisce obbligo per i lavoratori, la cui violazione è sanzionata. In particolare, l’articolo 78 del T.u. stabilisce che i lavoratori:
· Devono sottoporsi al programma di formazione e addestramento organizzato dal datore di lavoro nei casi ritenuti necessari;
· Utilizzando i Dpi messi a disposizione conformemente all’informazione e alla formazione ricevute e all’addestramento eventualmente organizzato e espletato;
· Provvedono alla cura dei Dpi messi a loro disposizione;
· Non vi apportano modifiche di propria iniziativa;
· Al termine dell’utilizzo seguono le procedure aziendali in materia di riconsegna dei Dpi;
· Segnalano immediatamente al datore di lavoro o al dirigente o al preposto qualsiasi difetto o inconveniente da essi rilevato nei Dpi messi a loro disposizione.

Con riferimento ai primi due obblighi (formazione e addestramento e utilizzo dei Dpi), vengono richiamate (e così rese applicabili) le disposizioni dell’articolo 20, comma 2 (rispettivamente), lettera h e lettera d, ossia i principi per cui i lavoratori sono tenuti ad osservare le disposizioni e istruzioni impartite dal datore di lavoro, dai dirigenti e dai preposti, ai fini della protezione collettiva ed individuale, e di partecipare ai programmi di formazione e di addestramento organizzati dal datore di lavoro.
Violare questi principi costa ai lavoratori la pena dell’arresto fino a un mese o l’ammenda da 200 a 600 euro.

IL DIRITTO (PER IL LAVORATORE) AD ALTRE MANSIONI.
Il ministero, inoltre, fa presente che, ove le attività lavorative svolte nell’azienda presso la quale il lavoratore presta la sua attività rientrino nel campo di applicazione del Titolo VI del T.u. sicurezza recante “movimentazione manuale dei carichi” il datore di lavoro è tenuto ad assicurare ai lavoratori la sorveglianza sanitaria. Ai sensi della quale, il lavoratore può chiedere di essere sottoposto a visita medica che verrà effettuata qualora la stessa sia ritenuta dal medico competente correlata ai rischi lavorativi. In relazione al giudizio di idoneità o meno alla mansione specifica espresso dal medico, il datore di lavoro, anche in considerazione di quanto disposto dalla legge n. 68/1999, è tenuto ad attuare le misure indicate dal medico competente e, qualora le stesse prevedano un’inidoneità alla mansione specifica, deve adibire il lavoratore, se possibile, ad altra mansione compatibile con il suo stato di salute.

DOTT.SSA MONICA MELANI
TRATTO DA ITALIA OGGI DEL 25 GENNAIO 2010

LE INDICAZIONI DI CARATTERE GENERALE
Protezione dei capelli
I lavoratori che operano o che transitano presso organi in rotazione presentanti pericoli di
impigliamento dei capelli, o presso fiamme o materiali incandescenti, devono essere provvisti di appropriata cuffia di protezione, resistente e lavabile e che racchiuda i capelli in modo completo.
Protezione del corpo
I lavoratori esposti a specifici pericoli di offesa al capo per caduta di materiali dall’alto o per contatti con elementi comunque pericolosi devono essere provvisti di copricapo appropriato. Parimenti devono essere provvisti di adatti copricapo i lavoratori che devono permanere, senza altra protezione, sotto l’azione prolungata dei raggi del sole.
Protezione degli occhi
I lavoratori esposti al pericolo di offesa agli occhi per proiezione di schegge o di materiali roventi, caustici, corrosivi o comunque dannosi, devono essere muniti di occhiali, visiere o schermi appropriati.
Protezione delle mani
Nelle lavorazioni che presentano specifici pericoli di punture, tagli, abrasioni, ustioni, causticazioni alle mani, i lavoratori devono essere forniti di guanti o altri appropriati mezzi di protezione.
Protezione dei piedi.
Per la protezione dei piedi nelle lavorazioni in cui esistono specifici pericoli di ustioni, di causticazione, di punture o di schiacciamento, i lavoratori devono essere provvisti di calzature resistenti ed adatte alla particolare natura del rischio. Tali calzature devono potersi sfilare rapidamente.
Protezione delle altre parti del corpo
Qualora sia necessario proteggere talune parti del corpo contro i rischi particolari, i lavoratori devono avere a disposizione idonei mezzi di difesa, quali schermi adeguati, grembiuli, pettorali, gambali o uose.
Cinture di sicurezza
I lavoratori che sono esposti a pericolo di caduta dall’alto o entro vani o che devono prestare la loro opera entro pozzi, cisterne e simili in condizioni di pericolo, devono essere provvisti di adatta cintura di sicurezza.
Maschere respiratorie
I lavoratori esposti a specifici rischi di inalazioni pericolose di gas, polveri o fumi nocivi devono avere a disposizione maschere respiratorie o altri dispositivi idonei, da conservarsi in luogo adatto facilmente accessibile e noto ai lavoratori.
Fonte: Allegato VIII dlgs n. 81/2008
LE SANZIONI
Il datore di lavoro e il dirigente sono puniti con la pena dell’arresto da 3 a 6 mesi o con l’ammenda da 2.500 a 6.400 euro per:
· Mancato impiego dei DPI in presenza di rischi che non possono essere evitati o sufficientemente ridotti da misure tecniche di prevenzione, da mezzi di protezione collettiva, da misure, metodi o procedimenti di riorganizzazione del lavoro.
Violazione degli obblighi di:
· Mantenere in efficienza i DPI e ne assicura le condizioni d’igiene, mediante la manutenzione, le riparazioni e le sostituzioni necessarie e secondo le eventuali indicazioni fornite dal fabbricante;
· Provvedere a che i DPI siano utilizzati soltanto per gli usi previsti, salvo i casi specifici ed eccezionali, conformemente alle informazioni del fabbricante;
· Destinare ogni DPI ad un uso personale e, qualora le circostanze richiedano l’uso di uno stesso DPI da parte di più persone, prende misure adeguate affinché tale uso non ponga alcun problema sanitario e igienico ai vari utilizzatori;
· Mancato addestramento nelle ipotesi indispensabili per legge.
Il datore di lavoro e il dirigente sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria da 500 a 1.800 euro per:
· Mancata fornitura di istruzioni comprensibili per i lavoratori;
· Mancata fissazione delle procedure da seguire, al termine dell’utilizzo, per la riconsegna e il deposito dei DPI

DPI, DIVISE E ATTREZZATURE DI SOCCORSO ESCLUSE

Per i dispositivi di protezione individuale (denominati “Dpi”) si intende ogni attrezzatura destinata a essere indossata e tenuta dal lavoratore allo scopo di proteggerlo contro uno o più rischi suscettibili di minacciarne la sicurezza o la salute durante il lavoro, nonché ogni complemento o accessorio destinato a tale scopo. Non costituiscono Dpi: gli indumenti di lavoro ordinari e le uniformi non specificatamente destinati a proteggere la sicurezza e la salute del lavoratore; le attrezzature dei servizi di soccorso e di salvataggio; le attrezzature di protezione individuale delle forze armate, delle forze di polizia e del personale del servizio per il mantenimento dell’ordine pubblico, le attrezzature di protezione individuale proprie dei mezzi di trasporto; i materiali sportivi quando utilizzati a fini specificatamente sportivi e non per attività lavorative; i materiali per l’autodifesa o per la dissuasione; gli apparecchi portatili per individuare e segnalare rischi di fattori nocivi. I Dpi, tra l’altro, devono essere adeguati ai rischi da prevenire, senza comportare di per sé un rischio maggiore e alle condizioni esistenti sul luogo di lavoro; devono tenere conto delle esigenze ergonomiche o di salute del lavoratore; devono poter essere adattati all’utilizzatore secondo le sue necessità. In caso di rischi multipli che richiedono l’uso simultaneo di più Dpi, questi devono essere tra loro compatibili e tali da mantenere, anche nell’uso simultaneo, la propria efficacia nei confronti del rischio e dei rischi corrispondenti.